Da più di 20 anni l’Atomic è il posto dove la notte comincia, dove gli sconosciuti ti invitano alle feste, dove – per dirne una – amava ubriacarsi Joe Strummer quando passava da Milano. Nonostante alcune voci insensate, anche questa stagione il locale di via Casati ha aperto i battenti e ci aspetta per il gin tonic della staffa, o il primo di una serata da (non) ricordare. In questa intervista Franco “Tucci” Ponti (Milano, 1975), ci racconta i nuovi progetti, come ha cominciato a fare questo mestiere, la sua prima serata – nel 1993! – in quello che sarebbe diventato il suo locale, ma non quello che è successo ieri sera, perché «what happens in Atomic stays in Atomic».
Come e perché hai iniziato a lavorare al bancone?
Ho iniziato a fare questo lavoro perché volevo sentirmi indipendente, avevo 16 anni, andavo al liceo e con un paio amici avevamo deciso di andare all’avventura in giro per l’Europa zaino in spalla quell’estate. L’unico ostacolo al nostro progetto a parte i genitori erano i soldi, allora decidemmo tutti e tre di cercare un lavoro dopo scuola e io ne trovai uno in zona San Babila come lavabicchieri e addetto al taglio della frutta. Era il 1991 e la frutta da tagliare era tantissima, i bicchieri da lavare erano sempre troppi, eravamo ancora nel pieno della “Milano da bere”.
Il primo mese lavorai completamente senza paga perché dovevo imparare il “mestiere”. Dopo 3-4 mesi “il ragazzo” che aiutava il barman partì per militare e mi proposero il passaggio di grado, che accettai per via delle 5 mila lire in più al giorno.
Il titolare mi comprò la divisa: camicia bianca, farfallino nero, giacca Bianca e pantalone nero, la provai e poi mi tagliai la mia amata cresta da punk.
Così iniziò la mia avventura dietro un banco, ricordo che dovevo stare immobile con le mani dietro la schiena di fianco ma leggermente arretrato rispetto alla posizione del barman, senza poter parlare se non quando mi veniva posta una domanda o impartito un commando. Il mio compito era quello di assicurami che il barman avesse tutto il necessario per lavorare tipo bicchieri, succhi di frutta, il sifone della soda, raffredare il mixinglass e passargli le bottiglie. Ricordo che il barman non mi diceva le bottiglie da passargli ma solo il nome dei cocktail, e se per caso sbagliavo bottiglia mi arrivava un barspoon sulle nocche (cucchiaino lungo da barman, ndr). Così da dicembre a luglio per sei giorni alla settimana, dalle 16 alle 22.30. Fu veramente tosto ma fu una dell’esperienze più formanti della mia vita e poi quell’estate in giro per l’Europa fu davvero fantastica.
Tornato dalle vacanze continuai a lavorare per potermi pagare la prima Vespa e la sua assicurazione, in generale andai avanti per mantenere la mia indipendenza e per finanziare il mio progetto di partire per Londra dopo la maturità, ma sopratutto questo lavoro lo potevo fare in tutto il mondo e quindi potevo viaggiare per il mondo lavorando!
In attesa della maturità avvenuta due anni dopo feci i tre corsi all’Aibes (associazione di categoria dei barman, ndr).
Chi è stato il tuo maestro?
Caratterialmente parlando credo mio padre, che mi ha insegnato cosa sono il rispetto, il lavoro duro e l’umiltà. Qualche volta gli ricordo quello che mi diceva quando ho iniziato a fare questo lavoro: «Tucci, ricordati che se sarai un pirla ad asciugare i bicchieri e a tagliare la frutta, sarai un pirla a dirigere la Fiat».
Guardando al lavoro sono tantissimi i miei maestri, credo che ogni barman possa insegnare a un college un piccolo trucco o una piccola chicca da inserire nel proprio bancone, ho un sacco di colleghi molto bravi in giro per il mondo, come ispiratori o come modello a cui ispirarmi direi sicuro Mirko Stocchetto e suo figlio Maurizio del Bar Basso, lo stile e classe pura.
Qual è il primo drink che hai preparato? Com’era?
Il primo drink che ho preparato era un Negroni al quale al posto del vermouth rosso misi l’extra dry, un disastro…
Puoi raccontarci la tua esperienza professionale?
Sono circa 25 anni che sto dietro un banco e mi piace tantissimo, ho avuto la fortuna, come dicevo prima, di viaggiare tanto con il mio lavoro, dopo il liceo sono scappato a Londra per un anno come barman in un ristorante vietnamita in Old Brompton Road a South Kensington, poi il militare, poi Los Angeles per 3 anni, allo Standard Hotel. Tornato a Milano nel 1999 fui accolto dagli amici dello Union Club come cameriere fino al 2001, quando approdai al Cuore e alle Piscine Solari fino al 2004. Poi Atomic….
In generale sono stato dietro molti banconi in Milano e all’estero e ho macinato millemila drink.
Come e quando sei arrivato all’Atomic Bar? E quando e perché hai deciso di diventarne il boss?
La prima volta che entrai all’Atomic era il 1993, il fratello di uno dei proprietari era fidanzato con una mia compagna di classe, fu amore a prima vista sia per il posto che per la musica ma soprattutto per l’eterogeneità delle persone. Ricordo ancora due personaggi al bancone, uno in giacca e cravatta che rideva allegramente con un super punk e per la prima volta vidi due uomini baciarsi, e anche due donne.
Non ho deciso di diventare il boss, diciamo è stato anche questa volta il caso. Era giugno del 2004, ero al Plastic e stavo fumando una sigaretta seduto su un gradino un po’ pensieroso perché era un periodo sfortunato, avevo puntato su un progetto (bar) che purtroppo non ha mai aperto però al quale credevo molto e in più non ero contento del posto dove lavoravo. Si siede di fianco un amico, Massi del Rocket, gli spiego tutta la mia situazione e lui senza scomporsi mi guarda e mi dice: «Ma lo sai che Tony vende l’Atomic, facci un pensiero!”. Il martedì sera dopo ero già li a chiedere!
Raccontaci qualche aneddoto sull’Atomic che non conosciamo.
“What happens in Atomic stays in Atomic”.
El Tombon de San Marc, Al Cortile, Fonderie Milanesi… Puoi parlarci dei tuoi nuovi progetti? Cosa stai facendo? A parte andare in Asia, dico.
Atomic è casa e lo sarà per sempre, ma sono nato irrequieto e ho bisogno di sfide e stimoli nuovi. Il primo progetto fuori dall’Atomic nacque quando due amici, Eugenio Roncoroni e Beniamino Nespor – chef e proprietari di Al Mercato – mi coinvolsero nel loro progetto del Noodles Bar.
Il primo progetto fuori dall’Atomic: Tucci con Beniamino Nespor ed Eugenio Roncoroni in un video di Zero a pochi giorni dall’inaugurazione di Al Mercato Noodles Bar, settembre 2013
Da un loro contatto fui chiamato alla Food Genius Academy a insegnare Merceologia degli alcolici (differenza tra un rum e un whisky, eccetera) e poi la direttrice della scuola Desirè Nardone mi volle coinvolgere nel progetto di un temporary restaurant che ospitava chef stellati durante il periodo dell’Expo e mi volle come bartender di Al Cortile. Lì studiammo una formula di food pairing, cioè di abbinamento di piatti con cocktail: il mio compito era di proporre un mio drink d’aperitivo e uno da pre dessert, così mi potei confrontare con piatti di chef come Kobe Desramaults (In the Wulf, Belgio), Anthony Genovese (Il Pagliaccio, Roma), i fratelli Trentin del Magorabin (Torino) e Poul Andrias Ziska (Koks, Fær Øer) e tanti altri.
Alle Fonderie, insieme al capo barman Daniel Castiglia, abbiamo studiato una nuova drink list e fatto un po’ di cambiamenti al fine di offrire un miglior servizio ai loro già numerosissimi clienti.
La mia ultima avventura in ordine cronologico è El Tombon de San Marc, locale storico di Milano nel quartiere di Brera, esiste dal 1956 ed è un cocktail bar dove ho voluto interpretare i classici dell’aperitivo italiano, con una sezione del menu dedicata a spritz (Noir con tequila infuso alle foglie di kaffir, lime, sale kosher, Aperol, spumante e soda) o Negroni (tipo la nostra interpretazione dell’Americano: soda affumicata home made, bitter Campari, vermouth rosso con rosmarino e cetriolo freschi, bitter al cioccolato).
Penso che l’aperitivo all’italiana sia una parte importante della nostra cultura e identità, molti dei miei colleghi sono esterofili e hanno trascurato le nostre origini, trovano a volte poco gratificante fare uno spritz, ma sono punti di vista.
Abbiamo anche una sezione dedicate ai sanguinari (Bloody Mary), tipo Mexican Mary (mezcal, succo di pomodoro, curcuma, salsa Worchester, sale Maldon, pepe del Madagascar, foglie di Kaffir, lime) e i nostri signature cocktail tipo il Winnie de Rum o l’Orient Express (London dry gin, sciroppo al rosmarino, succo di limone e soda al cardamomo home made).
La nostra piccola cucina propone i piatti della tradizione milanese in chiave moderna: abbiamo piatti unici tipo risotto alla milanese con cotoletta vestita o ossobuco e assaggi di fritto misto alla milanese (cervella e animelle), pesciolini in carpione, mondeghili, paté di fegatini, bolliti, lesso eccetera…
Ci racconti della tua esperienza di brand ambassador con Jameson?
Sono stato bartender brand ambassador per il nord e centro Italia di Jameson per l’esattezza, sono molto orgoglioso di essere stato scelto insieme a Patrick Pistolesi (stesso mio ruolo ma per il centro sud). Un super lavoro, di prestigio, Jameson è uno dei whiskey più importanti del mondo ed è uno dei più venduti in Usa, ma soprattutto è un prodotto di qualità e si presta tantissimo alla miscelazione, il mio compito era quello spiegare ai miei colleghi nello specifico come viene prodotto il Jameson e quali utilizzi ha nella miscelazione. È stato semplicemente fantastico viaggiare per l’Italia e confrontarsi con moltissimi professionisti.
É un periodo parecchio favorevole per il mondo dei bar e dei barman a Milano: aprono sempre più locali, alcuni anche di qualità. Qual è il tuo punto di vista? Li frequenti? Quali frequenti? Quanti cocktail bar di qualità possono coesistere in una città come Milano?
Come si dice, più si è meglio è. Avere tanti concorrenti alza l’asticella della qualità e stimola a creare cose nuove, purché non si apra un bar per scimmiottarne un altro. Siamo nella seconda golden age dei cocktail ma a differenza della prima abbiamo molta più consapevolezza e più scambio d’informazioni, i prodotti che possiamo usare sono praticamente illimitati e provenienti da tutti i continenti, anche il tipo di ghiaccio, a livello qualitativo anche le tecniche che si possono usare per creare cocktail sono infinite .
In questa mia Milano ci sono parecchi punti di riferimento per il bere bene, come il Tibi, il Pinch, il Pravda, lo Zinc, il Mag o anche il Morgante; mi vedono spesso i ragazzi del Lacerba perché è proprio sotto casa. Tutti questi locali mi piacciono non solo perché si beve bene ma anche per il servizio di sala e l’ambiente.
E ti sei fatto un’idea sui club che provano a fare buoni drink in discoteca? È una direzione possibile o meglio puntare sulla semplicità e il rapporto qualità/prezzo, migliorando ghiaccio e pulizia innanzitutto?
Questa evoluzione o tendenza del bere bene nei club era inevitabile, dato che i clienti sono molto più attenti a quello che bevono anche a note fonda. Certo la semplicità del drink è fondamentale per i tempi d’esecuzione del drink da parte del bartender e di conseguenza i tempi d’attesa per il cliente. Bisogna raggiungere un compromesso, sono anche convinto che il cliente sia anche disposto a spendere qualche euro in più per un prodotto di qualità. Sulla pulizia penso che faccia parte della deontologia del proprietario/bartender del club, ma questa deontologia dovrebbe essere di tutti, anche dei cocktail bar o nella ristorazione in generale.
Quali sono i bar e ristoranti di Milano che frequenti?
Trippa, Mam (oltre al cibo i cocktail di Roby Tardelli sono un a bomba), Al mercato (tutti e 3), Macelleria Popolare, Mangiari di strada, Contraste, 28 posti, Mong Kok, Pizza Am, Essenza, Lon Fon, Mercato del suffragio e Birrificio Brioschi, dove preparano il miglior hamburger di cavallo che abbia mai assaggiato.
Cosa ti piace fare in città quando non lavori? Dove vai?
Mi piace godermi la giornata, godermi Milano quasi come se fossi un turista: giro per mercati, vado a vedere delle mostre o al cinema. Fondamentalmente giro Milano a piedi con un sacco di musica nelle orecchie.
Che città consiglieresti per un weekend dedicato al bere bene? Perché?
Londra, perché nella classifica dei World’s 50 Best Bars ha circa 10/12 bar tra i primi 30.
Tu cosa bevi di solito?
Mezcal miscelato o liscio.
Bevi tutti i giorni? Cosa significa per te bere responsabilmente?
Sì bevo quasi tutti i giorni. Il bere responsabile è un dovere civile al quale ognuno di noi dovrebbe essere educato, perché le conseguenze del non essere responsabili possono coinvolgere altre persone. Bisognerebbe spingere sul fatto che se uno spende 200 euro per un paio di sneakers potrebbe spendere 15 euro di taxi per tornare a casa sano e salvo senza danni collaterali che possono essere disastrosi o mortali per sé anche e per gli altri.
E qualora avessi esagerato, qual è il rimedio per riprendersi da una sbronza?
Una zuppa calda con brodo di carne cinese o giapponese.