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Nathan Fake

19/3/2008 Magazzini Generali, via Pietrasanta 14

di Raffaele Paria

E ora qualcosa di completamente diverso: il ragazzino inglese spettinato sale in cattedra, con la maglietta sdrucita e i polsini da tennista. Il palco è tutto per il suo live: due laptop, una tastiera Roland TB 303, un joystick per giocare col cross-fader e un altro per distorcere e filtrare. Nathan alza gli occhi e scatta una foto al migliaio di fratellini maggiori che sono lì per lui. È il segnale. Fa scorrere le dita sul portatile coperto di adesivi Space Invaders: si comincia con una traccia ambient dal sapore di etichetta Border Community. Le nuvole scorrono veloci sul megaschermo, il mio vicino con la maglietta Fuck Art Let's Dance comincia a dondolare. Sotto la consolle i duri e puri scuola Warp commentano e annuiscono. Mi faccio largo verso le casse proprio quando Fake fa cadere il primo basso. La vibrazione mi fa tremare le costole. E non solo le mie, a giudicare dal boato tra il pubblico. Un'altra scarica di beat rotondi e le mani si alzano all'unisono, mentre un laser verde mi acceca. Riapro gli occhi e faccio amicizia con un giapponese che balla sui pattini a rotelle. Mi dice che Nathan è l'artista più influente del decennio. Gli credo, i giapponesi dicono sempre la verità.

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