Pochi artisti italiani viventi sono oggetto di un culto paragonabile a quello dedicato a Corrado Levi. Intellettuale e collezionista raffinatissimo, autore di installazioni, interventi a scala architettonica, dipinti, scritti sublimi, la sua opera sfugge a ogni definizione e sollecita sguardi obliqui, sorrisi carbonari, brividi di complicità tra gli astanti. La mostra in Triennale ordita da Damiano Gullì con Joseph Grima, e naturalmente con l’attiva partecipazione di Corrado Levi stesso, è un monumento a questa sua trasversalità e interstizialità. Disseminata nei luoghi più centrali e più nascosti del Palazzo dell’Arte, porta lo spettatore a scoprire la scala di cemento dietro il bookshop – lì dove è appeso il chiodo di pelle che Carol Rama aveva confezionato per lui, ornato di una camera d’aria – oppure taglia lo scalone con l’erotica tenda di cinture di Gucci, di El Charro o di Campero intitolata Desiderando gli amici.
Campeggia nel Salone d’Onore con la cornice estroflessa dell’89 (Cornici e vuoti) e occhieggia, con un fortissimo rosa della panchina triangolare dedicata alle vittime omosessuali del nazismo, dal giardino. Si insinua nell’ascensore, sfotte il design nel nuovo Museo con l‘Attaccapanni di scotch e cartone, parodia anticonsumista del pezzo iconico Sciangai. Buca l’ingresso con il piercing architettonico che riproduce Baci Urbani, l’opera realizzata con Cliostraat su un palazzo di Torino. E fa molte altre cose, che rivelano la cura infinita di un lavoro amato.
Geschrieben von Lucia Tozzi