Tra tutti i generi musicali che puntellano le città, uno soltanto rimane veramente di nicchia: il metal. Genere subissato dallo splendore mediatico delle altre varietà musicali, dall’hip-hop, dalla trap, dal pop e persino dal jazz e dalla musica folkloristica e da qualunque altro “genere” – lo mettiamo tra virgolette poiché riteniamo ormai obsoleto etichettare la musica –, il metal si ritrova a essere tra gli ultimi, soprattutto qui in Italia, e proprio per questo è destinazione di chi il metal lo conosce davvero. Eppure, così come i generi evolvono, pure il metal è cambiato. Scansatevi detrattori turbo fighetti del balletto disincantato berlinese, poiché negli anni le chitarre stridenti dagli accordi aerei hanno trovato come alleati l’EBM, l’ambient, la drone, la synthwave, ma al posto del dancefloor la pista da pogo ed headbanging tra i ruggiti viscerali del growl, che fan tremare l’intestino come accade davanti ai grandi felini predatori: ancestrale.

Quanto piace alla moda e all’arte quello stile da blackletter che da DECENNI è sinonimo del deathmetal?

Ma per vedere il cambiamento, basta pure pensare a come quello stereotipo di metallaro-capelli-lunghi-anfibi-catene-pellescura-gothdeathfont sia non soltanto antiquato ma totalmente sussunto all’immaginario di massa. Quanto piace alla moda e all’arte quello stile da blackletter che da DECENNI è sinonimo del deathmetal? Oppure ricordare che tra le poche cose che stanno accadendo nel mondo e che rappresentano una relativa novità, c’è per esempio il fatto che negli ultimi anni il metal è diventato pure materia e piattaforma di studio negli ambiti filosofici e di teoria critica (vedi qui in Italia il Gruppo di Nun ma pure James Bridle). Insomma, mentre speriamo in una rivalsa nera, pessimista e growl del genere più energico di tutti, ecco che al Legend Club atterra uno dei gruppi più matti della scena deathcore e metalcore americana: direttamente da Atlanta – diversamente famosa per l’omonima serie e il movimento dei diritti della comunità afroamericana – arrivano gli Attila.

Sapendo con nitida certezza che in pochissimi sarete eccitati dal loro arrivo, urge rimedio. Nati nel 2005 e arrivati al nono album, hanno svettato nelle classifiche nel 2013 con About That Life e con Chaos nel 2016, in cui ribaltavano un genere da capo a piedi con testi screanzati e festaioli ma gridati con quello sforzo gutturale da strillo, lanciando bombe a mano e adrenaliniche tanto affilate e a volte dalle cadenze a flow con linee elettroniche a sfondo, che hanno fatto discutere l’ambiente del metal proprio per l’attitudine a prendersi poco sul serio. Parliamo insomma di una delle band più wild in circolazione.

Ad accompagnarli, ci sono i Dropout Kings, da Phenix, propriamente Nu Metal e i Ghost Iris, metalcore danese.