Don’t believe the hype. Non credere alle dicerie. O meglio, “non credere alle montature pubblicitarie”, che poi (suffragate dalla pigrizia cronica dei consumatori) sono gli espedienti che fanno prosperare gli esempi peggiori di capitalismo, dalle catene di fast food che servono topo fritto nella sugna ai produttori di SUV più ingombranti di un carro armato. Nel loro piccolo (leggi “underground”) anche i Dwarfs of East Agouza hanno sofferto di hype. Il loro (primo) tour infatti non mi convinse appieno, si parla del 2016, e vuoi per la confidenza tra i musicisti ancora da perfezionare (l’improvvisazione è un elemento cruciale nella loro musica), vuoi per le aspettative troppo elevate (il nuovo trio di un ex-Sun City Girls, fondato al Cairo, il primo album è bellissimo, che fai, non ci vai? Ma subito, col tappeto volante e le babbucce a punta!), delusero parzialmente, tanto da farmi dire “possono migliorare”. O forse li hanno portati a degustare il topo fritto e non hanno digerito, vai a sapere.
Sette anni dopo, gli album pubblicati sono quattro (più uno nuovo che presenteranno in concerto) e hanno rifinito la loro cifra stilistica che a grandi linee si colloca fra psichedelia ipnotica, free jazz e musica nubiana. Alan Bishop, Maurice Louca, Sam Shalabi, tocca a voi. Prometto che stavolta i topi non li lasceremo uscire dal titolo del vostro secondo album “Rats Don’t Eat Synthesizers”…
Geschrieben von Andrea Cazzani