Amava il jazz, girava per la città in un’auto malconcia, osservando e raccogliendo oggetti e informazioni da chiunque. Reperti che poi finivano in tutti gli studi d’arte che condivideva con i colleghi. Spesso andava a ballare al Piper, dimenandosi in modo strano, energetico. Leggeva voracemente, amava il cinema e frequentava le vecchie sale della metropoli. Si infuriava per la morte dell’eroe del film. Pino Pascali, uomo galvanizzato dalla vita.
Pino Pascali, artista esibizionista: così è come lo presenta Mark Godfrey, il curatore di quest’ampia retrospettiva dedicata all’artista barese in Fondazione Prada. Qui Pino Pascali è esibizionista per la sua capacità di creare con le proprie opere ambienti coinvolgenti seppure temporanei, e per aver saputo individuare – ben prima che si potesse parlare a buon diritto di società delle immagini – dell’importanza dell’aspetto grafico e di comunicazione pubblicitaria dei suoi lavori, dedicandosi a collezionare e diffondere scatti delle sue mostre prima e dopo l’allestimento.
La sua folgorante e brevissima carriera – morì a soli 32 anni in un incidente in moto – è raccontata attraverso quattro nuclei espositivi, in un percorso a firma di 2×4 che include quarantanove opere: nel Podium, sono nuovamente allestite cinque mostre personali realizzate tra il 1965 e il 1968, e che documentano la furia creativa di Pascali in risposta alle reazioni alla 32esima Biennale d’Arte del 1964 (la scandalosissima biennale degli americani, con le sue porte aperte alla Pop Art). Qui, avventure favolose di animali preistorici, draghi e giraffe riemergono dal subconscio. Al centro del Podium, una colonna è attraversata da un corpo di delfino, parte dell’allestimento del ’66 Pino Pascali. Nuove sculture, che negli spazi della galleria romana L’Attico si completava di ventiquattro pannelli di onde trafitti da un fulmine. Ancora negli spazi del Podium, l’“arsenale” di macchine da guerra (finte, ma sorprendentemente verosimili) esposto da Gian Enzo Sperone a Torino nel 1966, che, secondo il racconto del gallerista Giorgio Frachetti fu trasportato in un furgone con alla guida Pascali stesso. Fermato dalla polizia, non fu facile spiegare l’oggetto a rimorchio era in effetti di un cannone, ma innocuo.
Invitato a partecipare alla 34esima Biennale di Venezia (quella colpita dal vento di rivolta del 1968) con una sala dedicata solo ai suoi lavori, Pascali fu l’unico artista disposto a dialogare con gli studenti in protesta contro la mostra, ritenuta parte del meccanismo di mercificazione dell’arte. Le opere che scelse per l’occasione sono parte di questa retrospettiva, esposte al piano superiore del Podium assieme ad alcune bellissime foto d’epoca che ritraggono Pascali in dialogo con i manifestanti.
Si aggiunge poi un vastissimo focus sui materiali, a catalogare nel dettaglio (anche grazie a numerosi contributi video di esperti del settore) gli elementi del nuovo regno artificiale fatto di plastica, scarti industriali e nuovi materiali come eternit, lana d’acciaio, pelliccia sintetica cui lo iniziò il suo maestro Toti Scialoja, pittore e poeta dallo spirito iconoclasta.
Nell’ala sud, alcune opere pensate per mostre collettive vengono contestualizzate insieme a quelle dei contemporanei Kounellis, Bonalumi, Pistoletto – per citarne solo alcuni. Completa la mostra l’allestimento dell’ala nord, dove alcune tra le opere più note di Pascali come i colorati Cinque bachi da setola e un bozzolo (allestiti con tanto di ragnatele e parte della collezione della Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare), la Vedova Blu (il grande ragno Blu Klein in pelliccia sintetica), 32 mq di mare circa (trenta vasche quadrate in lamiera di ferro e acqua colorata) sono esposte insieme ai bellissimi scatti in cui Pascali – facendo sua la lezione del gruppo teatrale newyorchese Living Theatre – diventa attore delle sue performance, abitando o mimando le sue sculture con attitudine giocosa e con un irresistibile senso del racconto.
Geschrieben von Beatrice Atzori