La storica rivista americana Downbeat, tentando di descriverne lo stile, lo ha definito un „ibrido di Abdullah Ibrahim, Thelonious Monk e Chick Corea“. Diciamo non proprio tre a caso, ecco.
Amaro Freitas viene dai sobborghi di una periferia brasiliana, ma ha fatto proseliti in giro per il mondo grazie a uno stile pianistico veramente unico e personale. I tre mostri sacri sopracitati aiutano a rendere l’idea, ma non riescono a racchiudere tutte le sfumature di quella tavolozza infinita che sono le sue mani. Dentro troviamo anche il folkore brasiliano, la musica classica tra barocco e classicismo, la mitologia afrofuturista.
Da Monk prende sicuramente la capacità di sorprendere, usare ogni nota come l’anello di una catena infinita, in un discorso musicale che vive un presente costante, pur essendo contemporaneamente proiettato nel futuro e nel passato; con Ibrahim condivide una gentilezza nel tocco che non scompare mai, neanche nei momenti più concitati e durante i quali i tasti sembrano staccarsi e volare dal pianoforte; di Chick Corea quella versatilità che gli permette di utilizzare i generi musicali a proprio piacimento, riunirne sei in un brano di quattro minuti.
Ad Officina Pasolini il pianista arriva forte dell’uscita dell’ultimo album „Y’Y“, un lavoro irresistibile impreziosito da collaborazioni eccellenti. Per l’occasione però potremo godercelo in solo, una forma che spesso riserva sorprese e permette di apprezzare in modo „puro“ lo stile di un pianista.
Geschrieben von Giulio Pecci