Alla prima uscita di Coriandoli, ormai due anni fa, avevamo dedicato un articolo di approfondimento, e la ragione era semplice: quell’idea di fare della cultura una festa, di farne un grande carnevale, ci divertiva. Ci azzardiamo a dire che la ritenevamo importante, e la ragione si fa presto a dire: i commensali della cultura, riuniti tutti alla grande tavola del lavoro culturale, indossano notoriamente maschere ma non lo dicono – complice il demonio della reputazione, del successo clownesco per cui tutti, ma proprio tutti, s’impegnano a recitare la parte dei protagonisti, così da fare dell’esercizio della cultura un palcoscenico affollatissimo, dove tutti sbracciano e s’agitano e recitano ditirambi per far rilievo -, e qui grazie a dio tutto è esplicito. La vera festa è togliersi le maschere, esplicitando senza remore rimorsi o timori che sì, questa è una maschera e la indosso come e quando mi pare. Tant’è che il titolo a cappello di quel primo numero nel 2022 era: «Chi ti credi di essere?». La nostra gioia fu grande. Quel misto di malignità e giusta simpatia sorniona, un miele dolcissimo.
Il secondo numero non è da meno: s’intitola «A che gioco stai giocando?». Sempre domande giuste quelli di Coriandoli. E ora immaginate: se qualcuno vi ponesse una simile domanda – terribile – d’un tratto vi trovereste catapultati, vostro malgrado, in un posto dove niente di quel avete fatto o state facendo è eleggibile a vero. Al ché, il mondo si divide in due. C’è chi, adulto e afflitto dallo spirito di gravità, se la prende a male e s’offende perché sente lesa la sua presunta sincerità o, peggio, la sua serietà; e c’è chi prende sul serio la questione, e realizza d’un tratto che deve giocare: performare una parte, e una vale l’altra, esagerare all’occorrenza e sfidare gli altri giocatori, ma tutto, finalmente e ancora, a carte scoperte. S’è detto chissà quante volte, ma ripeterlo non fa male: il gioco è una cosa seria. È uno spazio di regole verosimili e inventate in cui s’esercita la realtà – se non il posto in cui la si cucina prima di mangiarla.
Va da sé che, ben fermi sulla festa dei coriandoli, questo secondo numero è tutto un gioco: tutto il giornale, tra testi, scatti, disegni, è fatto di giochi. È fatto per giocare. C’è dunque Conciati per le feste, un gioco da tavolo e real life che promette centinaia di avventure deputate a raccontare, immedesimandosi in certi personaggi, l’inusuale mondanità in cui pressappoco tutte le persone si ritrovano a navigare, con tanto di look stravaganti, Duomo di Milano e Case Stregate. Ci sono bugiardini scritti per poter riconoscere alleati e per muoversi strategicamente nel dungeon dell’arte contemporanea, c’è un quiz scritto da M¥SS KETA (un QU¥Z), un’intervista a Porpora Marcasciano e tanti altri.
I Coriandoli si mettono in gioco, e chiamano tutte e tutti a giocare. Chiudiamo con una citazione felice dall’editoriale di Alessandro Merlo, primo coriandolo, che la dice lunga: «la favolosità non è un’opinione, ma uno stile di vita».
Come ogni coriandolo, poi, a mezzanotte si va al Plastic.
Geschrieben von Piergiorgio Caserini