Angel Bat Dawid suona per lo più da sola: il clarinetto è il suo strumento principale, quello che strapazza fino a strappargli suoni lancinanti, da cormorano ferito. In mezzo poi drum machine, sintetizzatori, una voce che alterna spoken word e canto, descrivibile solo come ancestrale. Non ci sono virtuosismi, solo voglia di creare uno spazio sonoro denso e libero; che avvolga l’ascoltatore, lasciandolo scivolare in profonde sabbie mobili di umori e informazioni.
D’altronde il mondo ha bisogno di spiritual jazz oggi più che mai. La Dawid è comparsa sui nostri radar quando la pandemia di COVID iniziava ad infuriare. Il suo album di debutto, „The Oracle“, è diventato di culto poco dopo, mentre eravamo rintanati in casa, a fare i conti con un fenomeno spaventoso – alla ricerca di sollievo per spirito e mente. Sembra incredibile ma guardando indietro, in confronto al panorama geo-politico di oggi, quella sembra una sorta di strana età dell’oro: l’ultima pausa prima di un’accelerazione malata, senza nulla di umano.
La musica di Dawid è fortunatamente intrisa di umanità. Non offre solo sollievo, ma soprattutto strumenti di riflessione sulle storture del mondo, in prospettiva storica e contemporanea. Al folgorante debutto è seguito l’ambizioso „Requiem for Jazz“ del 2023, un’ora di introspezione e riflessioni senza peli sulla lingua sulla condizione dei neri americani. Nel mezzo c’era stato spazio per un intenso live album, „LIVE“ del 2020, e soprattutto per „Hush Harbor Mixtape Vol. 1 Doxology“: un lavoro quasi gotico, spaventoso, a partire dalla copertina. Tutti gli album sono stati pubblicati da quel miracolo di Chicago che corrisponde al nome di International Anthem.
Come ha scritto Joe Muggs per Bandcamp Daily, lo spiritual jazz nacque originariamente in un periodo di grande tumulto. Fu un genere che: „pose l’accento sull‘esplorazione intellettuale senza compromessi e sulla ricerca di significato in un momento in cui l’ubiquità dei mass media e della cultura pop sembravano appiattire proprio quelle cose. Soprattutto, si trattava di un discorso sul concetto di comunità, quella in carne e ossa: il tipo di connessione che ha luogo quando menti simili, sintonizzate sulle stesse idee e sullo stesso ethos, interagiscono in una stanza.“
Il compito dello spiritual jazz contemporaneo (ma anche del free jazz, di ogni musica creativa e sperimentale) non è solo quello di sollevare oltre le nubi scure che circolano sulle nostre teste. È soprattutto quello di portarci dentro quelle nubi, conoscerle e provare a diradarle. Pochi artisti oggi si sobbarcano questo onere più di Angel Bat Dawid. La possibilità di ascoltarla a Roma, in uno dei pochi luoghi che non smettono di resistere come il Trenta Formiche; stretti nella stessa stanza con menti simili e meno simili; si tratta di un momento che va oltre il concerto. È necessario.
Geschrieben von Giulio Pecci