Wo

Cinema Godard - Fondazione Prada
Largo Isarco 2, 20139 Milano

Wann

Samstag 08 Februar 2025
H 20:30

Wie viel

4/6 €

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Quando ho parlato con Suranga Deshapriya Katugampala, regista di Still Here, non mi sarei mai immaginato che la nostra conversazione sarebbe iniziata con un invito a un bar. E non a un bar a caso, bensì l’unico luogo vivo del suo film. Ma ci arriveremo alla fine.

Suranga, nato nel 1987 a Negombo, in Sri Lanka, ma trapiantato in Italia dall’età di 10-12 anni, mi ha presentato il proprio film come una favola nera, di luoghi e non luoghi e un film indipendente che fa propria la lezione estetica dei film di serie B, cioè quelle opere di qualità mediocre realizzate con pochi mezzi e tempi esigui. La storia segue la vicenda di Nico, un’ex attrice proprio di film di serie B, Sunil, un uomo di mezza età, e i loro due figli, Iman e Irene. Nico affida i bambini a loro padre e svanisce nel nulla, Sunil affoga i propri dolori nell’alcol e Iman e Irene vivono nell’illusione che la madre ritorni. Una famiglia disintegrata, che altro non è che la personificazione del vero protagonista di Still Here: lo spazio urbano.

Il film è girato in parte a Milano, nel quartiere Corvetto, e in parte a Colombo, capitale dello Sri Lanka, nel sobborgo Slave Island. Ecco, quindi, la dicotomia luogo-non luogo: i due territori esistono, ma si trovano distanti l’uno dall’altro. E cosa li accomuna? Per rispondere, bisogna considerare innanzitutto che quasi tutto il film è girato di notte. Sia Corvetto che Slave Island sono due quartieri che vivono all’ombra di una grande città, che sta subendo a poco a poco un inevitabile processo di gentrificazione, tema cardine del film. La classe borghese sta soppiantando quella operaia, le case popolari stanno scomparendo, facendo spazio al progresso.

E i personaggi adulti di Still Here come reagiscono? Semplice: accettano passivamente questo cambiamento. Si vedano Sunil, che elude le proprie responsabilità e la realtà preferendo l’alcol, e le signore del bar, che si lanciano in discorsi frivoli e disinteressati. Se poi ci si sofferma sul titolo, ciò appare ancora più evidente: Still Here significa che gli abitanti sono “ancora qui” nonostante la gentrificazione, ma still, in inglese, significa anche “fermo”, “morto”. Nel Corvetto come in Slave Island c’è rigidità, non c’è slancio. Rigidità appartenente anche ai bambini: essi vivono in un’innocente illusione, rappresentata visivamente da pesci colorati che nuotano sui muri. Vivono, appunto, in una favola nera, dove un occhio attento nota che i social network e i cellulari non esistono. L’illusione non è virtuale, è reale.

Suranga però ha tenuto a precisare che il film non intende dare un giudizio sulle vicende, ma preferisce seguire l’insegnamento del regista ungherese Béla Tarr. Questi, in un’intervista, ha dichiarato che, durante la realizzazione di Sátántangó, ha preferito evocare le emozioni suscitate dalla storia di partenza più che seguire fedelmente gli eventi. Still Here è infatti anch’esso un film di emozioni, vissute in primo luogo dagli spazi stessi, che ridono e piangono proprio come i personaggi che li abitano. 

Resta, però, il cartellone del palazzo in costruzione, simbolo concreto della gentrificazione, con l’enigmatica frase “L’altezza dell’indulgenza”. Il regista è rimasto colpito dalla “poesia del lusso” che ne traspare. Oltre alla connotazione distopica, che richiama Essi vivono di John Carpenter, il cartellone rappresenta uno sbilanciamento di Suranga nel giudicare il progresso come un evento di creazione ma anche distruzione. Ma poi c’è il bar.

Eccoci giunti all’unico luogo puro del film, “Le nuveau port”, fulcro della ricerca di Suranga sui film di serie B italiani anni ‘70 e ‘80. È l’unico luogo di aggregazione dei personaggi, altrimenti ecosistemi a sé stanti. È l’unico luogo in cui c’è luce e c’è musica, ma anche il primo luogo che sta per essere spazzato via. È qui che Suranga mi ha invitato, nel luogo che è il cuore del progetto di Still Here, in quanto è “ancora qui” ad aggregare culture differenti finché non sarà dismesso. Ma non solo nella finzione cinematografica, ma anche nella realtà. E lo spettatore è chiamato a farne parte.

Dopo la proiezione di Still Here da non perdere la conversazione tra il regista Suranga Deshapriya Katugampala e Alessandra Speciale, direttrice artistica del FESCAAAL.

 

Geschrieben von Riccardo Sciannimanico