Chi ha visto la biennale di Gioni, quella del 2013, forse si ricorda dei piccoli presepi (T, Vladimirescu) di Andra Ursuţa, che riproducevano nella maniera più accurata possibile le stanze dove aveva vissuto nella sua infanzia rumena, luoghi fantasmatici perché erano stati sostituiti da altri palazzi e altri abitanti. La modestia degli ambienti e il realismo infantile di quelle riproduzioni era tanto più straniante in relazione alle altre opere in sala, che costituivano una specie di sexy room. Al New Museum di New York, invece, un paesaggio artificiale ricontestualizzava una serie di sculturone-obelischi scolpite in precedenza, le Whites, mentre in un’altra stanza i corpi inquietanti di manichini in balia dell’import-export languivano a terra. Sullo stesso registro la memorabile opera Crush (esposta nel 2011 nella prima personale a New York da Ramiken Crucible), dove il calco di una figura femminile – ripreso dal corpo dell’artista – giace a terra. La scultura è costituita da materiali scuri che ricordano una mummia senza bende o un cadavere in decomposizione. Il tutto è ricoperto da gocce di cera, molto simili a sperma, con riferimento alla violenza fisica e mentale che le donne subiscono quotidianamente.
Il nome della mostra da Massimo de Carlo, The Man from the Internet, si riferisce a una serie in cui, partendo da una foto a bassa risoluzione del corpo riesumato di un soldato ribelle ceceno, trovata per caso sul web, l’artista ha ricreato l’immagine fotografica attraverso un disegno meticoloso e pieno di particolari. Le opere presentano un forte contrasto fra la grana digitale dei pixel e la tecnica, decisamente più tradizionale, del disegno ad inchiostro, assumendo l’aspetto di vecchie incisioni scientifiche.
Geschrieben von Lucia Tozzi e Domitilla Argentieri Federzoni