Torna la rassegna estiva dei migliori film passati in sala, con alcune anteprime. Le proiezioni si tengono ogni sera presso Arianteo Chiostro dell’Incoronata, con due sale, audio in cuffia wireless e posto assegnato; Arianteo CityLife; Arianteo Conservatorio; Arianteo Palazzo Reale; Arianteo UmanitAria. Il programma completo è QUI, ma abbiamo anche selezionato i migliori film da rivedere, o, per chi li ha persi, da ripescare, nei vari luoghi dell’estate milanese (per ora fino al 31 luglio).
Animali Notturni
(28 giugno a CityLife, 9 luglio a Incoronata2, 20 luglio all’Umanitaria, 29 luglio alla Fabbrica del Vapore)
Lo si potrebbe leggere come un racconto morale e crudele sul matrimonio; una messa in scena neo-noir sorretta da piani narrativi imponderabili per un thriller psicologico (ma il termine è ormai fin troppo abusato) ben curato e con un’estetica di grande effetto visivo. Ottimo il lavoro di e su Amy Adams, sia quando appare con un look chic e curato che quando appare sobria. La peculiare forza espressiva di questa attrice, con quei suoi sguardi che ti sfiorano docilmente, non mi ha lasciato indifferente nemmeno in Arrival. In definitiva, Animali Notturni è un film che, fin quando non arrivi alla fine, hai l’impressione di star guardando qualcosa di particolare, ma che poi, una volta arrivatoci, sorge in te l’impressione che forse, ma forse, Tom Ford abbia messo un po’ troppa carne al fuoco. Cinema per la massa generalizzata mascherato da cinema di genere? Lo rivedrei, in ogni caso.
Io, Daniel Blake
21 giugno a CityLife, 1 luglio a Incoronata1, 11 luglio a Fabbrica del Vapore, 25 luglio a Palazzo Reale, 31 luglio all’Umanitaria)
“Non sono un cliente, né un consumatore. Non sono uno scansafatiche, uno scroccone, un mendicante e neanche un ladro; non sono un numero di previdenza sociale e neanche un bip sullo schermo di un computer. Ho fatto la mia parte fine all’ultimo centesimo e ne sono orgoglioso. Non accetto né chiedo carità.” A qualche politichino che sui social ci tiene a far sapere di guardare Il Trono di Spade (e che insiste col vendere l’idea di un futuro laccato che non esiste) consiglierei per lo più la visione dell’ultimo e acclamato lavoro dell’ottantenne Ken Loach, il venticinquesimo, per l’esattezza. Lo so, il vecchio ci può stare sull’anima perché quando racconta le sue storie lo fa senza ricorrere all’escamotage, poiché egli non è uno che ci tiene a usare mezze misure o che tenta di nascondersi dietro allo scudo del falso buonismo. Il suo è puro realismo che non cerca la facile lacrimuccia (che inevitabilmente poi scende). Io, Daniel Blake è il martirio sociale di un uomo dalla salute precaria che per sua disgrazia finisce vittima di quell’immenso e contorto macchinario anti-umano a nome “burocrazia”. Che se non sbaglio, in modo piuttosto canzonatorio, sottintenderebbe qualcosa come “la miglior forma di organizzazione”.
Jackie
(25 giugno a CityLife, 10 luglio a Palazzo Reale, 27 luglio a Incoronata1)
A cinque giorni dall’assassinio di John F. Kennedy, avvenuto nel 1963 a Dallas, il settimanale americano Life irrompe alla Casa Bianca per testimoniare l’abisso interiore della First Lady, la vedova Jackie O. Siamo davanti a un’opera di tutto rispetto stancamente etichettata come semplice biopic del cileno Larraín, stesso regista di NO – I Giorni dell’Arcobaleno e che, guarda il caso, non ha stranamente ricevuto i consensi che gli sarebbero invece spettati. Nonostante le varie candidature, Natalie Portman non ha ottenuto nessun Oscar per la sua impressionante, devastante, interpretazione del ruolo di attrice protagonista. Troppo impeccabile, forse, per l’“istituzione” del Cinema che di recente è riuscita persino ha sbagliare l’assegnazione del premio al miglior film del 2016. Colpa dello smartphone, hanno detto.
La La Land
(24 giugno a Palazzo Reale, 30 giugno alla Fabbrica del Vapore preceduto da concerto alle 21:00 6 luglio a Incoronata 2, 13 luglio all’Umanitaria, 26 luglio a CityLife)
Gosling, con quel sorriso da pacca sulla spalla, non può che starti simpatico. Già aveva dato prova di saperci fare in Drive di N. W. Refn, ma ancora prima mi era piaciuto nel bizzarro, quanto interessante ruolo di ebreo nazista in True Believer, all’inizio dei cosiddetti anni zero. Il successo della Stone, se devo essere sincero, non sono invece in grado di comprenderlo appieno. I tabloid la danno come una delle attrici contemporanee più affascinanti (c’è chi addirittura la vede come un sex symbol) e già qui sorgerebbe un grande punto di domanda. Come recitazione ci può pure stare, non lo so. Dunque che dire di questo La La Land? Secondo certi scribacchini la sua uscita coincide con uno dei periodi storico-politici più imbarazzanti della storia degli Stati Uniti, pertanto i contenuti del musical contemporaneo diretto da Damien Chezelle (stesso autore dell’interessantissimo Whiplash) sarebbero troppo dreamy e quindi fuori tempo massimo rispetto al “drammatico” periodo corrente. Concordo, anche se poi insomma, “è stato un successone”, piaccia – a me no – o meno.
La Ragazza del Treno
(1 luglio a Incoronata 1, 16 luglio a Fabbrica del Vapore, 28 luglio a Palazzo Reale)
Se già non mi avevano convinto le milionate di copie del best-seller “letterario” (della Hawkins) di certo non poteva allettarmi la tanto chiacchierata versione in pellicola di The Girl on the Train. Partiamo dal fatto che il primo diktat del cinefilo, su cui mi trovo d’accordo solo in parte, è quello di non giudicare un film senza prima averlo visto. Ritengo, invece, che spesso siano sufficienti pochi minuti per capire se quel che sta prendendo forma sullo schermo sia qualcosa per cui valga consumare le proprie ore di vita o meno. In siffatto caso, mi è bastato un quarto d’ora della gelida Blunt seduta comodamente in prima classe per carpirne la pretenziosa seriosità, la stessa che caratterizza anche la fotografia, l’intreccio, la recitazione (con annesso l’odioso doppiaggio) e il sonoro di fondo. “Uhm”, è dunque il mio giudizio finale, anche se c’è chi mi ha rimproverato consigliandomi che forse sarebbe il caso che gli dessi un’altra possibilità. “Uhm”.
Manhattan
12 giugno a Palazzo Reale
Dopo essersi ingiustamente preso aspre critiche per la presunta pesantezza e per la drammaticità del validissimo e bergmaniano Interiors, Woody rispose all’epoca – siamo nel 1979 – con Manhattan, una love story e insieme una commedia fatta di tradimenti, innamoramenti e dialoghi epocali come il bianco e nero della pellicola, resa oggi ancora più elegante da questa operazione di restyling e soprattutto di marketing, visto che è anche un pretesto per rilanciare, e giustamente, il film. In Manhattan, come ricorderemo, Woody discetta sulle cose per cui valga la pena vivere. Risponderei, non per piaggeria, che tra queste vi è senz’altro il suo cinema, d’altri tempi e per ogni tempo. Per sempre invalicabile la romantica potenza dell’immagine di Allen e Diane Keaton (e c’è anche il di lei cagnolino al guinzaglio) seduti vicino al ponte mentre sta per scendere l’alba.
Pastorale Americana
(19 giugno a Palazzo Reale, 11 luglio a Incoronata 2, 20 luglio a CityLife, 30 Luglio a Fabbrica del Vapore)
Quando un libro lascia in noi un solco profondo, avvicinarsi alla trasposizione cinematografica dello stesso può essere azzardato, poiché se si rimane delusi si rischia di insozzare la memoria della narrazione cartacea che tanto ci ha allietato. Per un attore che esordisce alla regia può essere vieppiù rischioso cimentarsi con uno dei più grandi esempi di letteratura americana degli ultimi vent’anni, che in questo caso è il romanzo di Philip Roth da cui il titolo del film. Va detto che l’esordiente in questione non è un cretino, bensì un attore che sa il fatto suo come Ewan McGregor e che in questo periodo si sta lasciando adorare nel suo doppio ruolo in Fargo, serie che non riesce a smettere di farsi tallonare. Ma parlavamo, per l’appunto, di Pastorale Americana. Infatti: lasciate perdere, se come me siete molto attaccati al libro. Né l’ordinarietà della narrazione né le performance dello stesso McGregor e di Jennifer Connelly (non ricordo altre sue interpretazioni eccelse oltre all’esordio in Phenomena, quando era poco più che un’infante) sanno infatti rendere giustizia al romanzo che ha come protagonista il grande Seymour Levov. Se, diversamente, non avete letto il testo, non lo avete particolarmente amato o in generale non vi ponete troppe remore potreste anche non rimanere delusi.
Sully
(9 luglio a City Life, 18 luglio alla Fabbrica del Vapore, 26 luglio all’Incoronata 1)
Ma dico, come osa, la gente, rimproverare qualcosa a un soggetto come Eastwood? Tacciarlo di patriottismo, dandogli dello “sporco trumpista”; che, penserete mai che a uno con una pellaccia stupendamente rugosa e pestata dal tempo come la sua gliene freghi qualcosa delle vostre illazioni? Clint è così, prendere o lasciare. Clint è uno con le palle, un intoccabile, è come lo vedi sullo schermo. Per lui invecchiare è tutta linfa creativa, come dimostra l’ammirevole sostanza dei film da lui diretti in questo secolo sospeso. Tra questi figura indubbiamente anche Sully, che è la ricostruzione, forse fin troppo fedele, della vicenda del pilota Chesley “Sully” Sullenberger, messo sotto inchiesta dall’ente aeronautico dopo che un aereo da lui pilotato, partito da New York nel Gennaio 2009 e con a bordo 155 passeggeri, era finito nel fiume Hudson. Colossale. E in lingua, visto in anteprima al 34° Torino Film Festival, Hanks lo si è apprezzato anche di più.
Geschrieben von Simōne Gall