Quello che ho sempre ammirato nei Jessica93 è la coesione che traspare da ogni disco: dagli Ottanta dei primi Cure ai Novanta tutti echi fuzz e shoegaze, i quattro parigini guidano l’ascoltatore attraverso tunnel sonori perversi e oscuri. Il risultato suona spesso claustrofobico e compulsivo: le melodie, talvolta luccicanti, altrove evocative, rimbalzano nella mente dell’ascoltatore e si sfilacciano con la stessa semplicità con cui i riff di chitarra creano uno stato di lacerazione e insanità mentale. Il risultato è uno stato di attrito crescente che in sede live diventa ancora più definito, attraverso un flusso dinamico fatto di bassi distruttivi e chitarre dissonanti. Più inquietanti di un coltello a serramanico sospeso sopra un polso.