Ricordo nitidamente quando al Mi Ami il palchetto rap era dislocato ben lontano dalla calca indie/cantautorale del palco principale. Un sempre eclettico showcase degli avanzamenti e delle neanche tanto piccole conquiste delle 16/32/64 barre italiane che, nonostante l’iniziale occultamento, ha sempre macinato proseliti e pienoni. Ora che “indie italiano” è un termine ancora più impalpabile di quanto lo fosse allora, si è passati da timidi headliner sul Palco Pertini a questa “special edition” invernale di Mi Ami Ora, che ribalta la “ghettizzazione” iniziale proponendo sostanzialmente solo rap e affini. Sono cambiati i tempi? Può darsi. È cambiato il trend dell’industria discografica? Sicuro. Sta di fatto che fra Ghemon, Rkomi, Night Skinny, Ensi e Coma Cose la rosa rappresentativa della prosa italiana è rispettata. Che gli oltranzisti (non convertiti) dell’indie italiano possano storcere il naso? Probabile, ma questi sono i tempi. A me personalmente basta che non si canti troppo di brand e cocaina.
Classe 1994, di Milano, Rkomi è uno dei nomi più interessanti e meno „normalizzati“ della scena trap italiana contemporanea, incarnazione di un rap emancipato dagli „skrrrr“ e i „we we“, orientato alla sperimentazione di significato e significante. In occasione del live di stasera per Mi Ami Ora, ultima data del tour del suo album d’esordio Io in terra, abbiamo chiesto a Rkomi di scegliere e commentare dieci musicisti e altrettanti brani che sono stati importanti per la sua formazione: da King Krule («Nuova vecchia linfa, il compromesso che ho sempre cercato. Da ascoltatore intendo») a Kid Cudi («Essere umano, malessere d’artista»), fino a Noyz Narcos («Luce in ombra»), Anderson East («Quando tutto va male, quando tutto va bene. Versatile, spontaneo») e Anderson .Paak («Riesce a ricordarmi il motivo per cui ho iniziato, inconsciamente e consciamente. Non c’è incapacità nella sua discografia»).
Geschrieben von Andrea Pagano