Casoretto è il quartiere che non c’è, ma c’è. Un po‘ come la celebre Isola cantata da Edoardo Bennato. Analogia cantautorale a parte, Casoretto è un quartiere da scoprire – letteralmente. La sua forma così come la sua esistenza si concretizzano attraverso la logica additiva della sottrazione – meno per meno più. Non è Lambrate non è Loreto, ha la forma di una casa, ma non è una casa essendo per l’appunto un quartiere. Casoretto è un luogo in cui da sempre si vive e, poco spesso, si va intenzionalmente. Non ci sono i negozi, ci sono le persone, però. Le sue piccole arterie volgarmente chiamate vie si ascrivono più all’ontologia esistenziale dello stare, che a quella dell’andare. Tuttavia c’è ben più di un motivo per recarcisivi con cognizione di causa. Le case colorate e i giardini tropicali ci fanno immergere in una Nothing Hill caraibica mai propriamente lessicalizzata dal Trip Advisor meneghino del #placetobe; una specie di Oasi urbana che non sapevi ci fosse, ma per l’appunto c’è. E se ci concentriamo e chiudiamo gli occhi mentre ci passeggiamo la sentiamo bene quella armonica a bocca sputare fuori suoni fluorescenti, quella polvere di stelle di Peter Pan che ogni maledetta primavera ci fa starnutire e, in men che non si dica, iniziamo a cantare insieme (ma insieme a chi poi?): Seconda stella a destra/Questo è il cammino/E poi dritto, fino al mattino/Poi la strada la trovi da te etc.
Le case colorate e i giardini tropicali ci fanno immergere in una Nothing Hill caraibica mai propriamente lessicalizzata dal Trip Advisor del #placetobe
Claudicando per Casoretto è facile imbattersi in un po‘ di cristianità, in un po‘ storia rossa, in un po‘ di hipsteria e in un po‘ di cibo milanese che ha preso un volo Ryanair e si è fermato in Libano, in Sicilia o in Grecia; dall‘Abbazia quattrocentesca fino al murale dedicato ai giovani Fausto e Iaio, giovanissimi militanti assassinati del primo Leoncavallo; dal giovane Spazio Martìn in cui due architetti e una pittrice immaginano Milano dentro Milano fino alla trattoria libanese, il mini-market pakistano e al rinomato grissinificio Edelweiss con la insegna un po‘ DDR – adesso siamo in Stazione Centrale, abbiamo preso un Frecciarossa per Torino e per una volta non per andare a ballare al Club2club, ma andiamo in questo negozietto rinomato perché avevamo bisogno di carboidrati germanofoni – insomma il Casoretto è la casa in cui vorrai sempre stare proprio perché non sai che c’è, e soprattutto, non sai ancora bene chi ci abita; la magia de „El Casoret“ è una sfinge che ti urla in faccia un dubbio cartesiano urbanizzato che aspetta solo di essere risolto: taaaac