Siamo a Brenta, dove la città sfuma in periferia. Ma in realtà siamo a Samarcanda. Payam Majidzadeh, musicista e cantante persiano, suona il santur e canta. Oggi è Nowruz, il capodanno persiano, e il locale è pieno: gente che sgomita tra balli tradizionali e leccornie di ogni tipo. Profumi di spezie e mandarini, ci si trova immersi in quel regno misterioso dell’Asia centrale, crocevia della Via della Seta, dove culture turche, russe e mongole si intrecciano in uno strano cocktail.
Samarkand è un concentrato d’Asia: qui Uzbekistan, Tagikistan, Afghanistan e Iran fanno festa e si riconoscono in un’unica grande famiglia.
Samarkand è un concentrato d’Asia: qui Uzbekistan, Tagikistan, Afghanistan e Iran fanno festa e si riconoscono in un’unica grande famiglia. Il dovere chiama e, come novelli Marco Polo, ci immergiamo nel mix di culture che il viaggio ci serve in tavola.
Assaggiamo il palaw – riso allo zafferano e spezie, condito con uvetta e carne – talmente buono che fatichiamo a lasciarne un po’ agli altri commensali. Tra un passo di danza e l’altro ci avviciniamo al seekh kebab, tenera salsicciotta grigliata e marinata in un’esplosione di spezie.
Ci guarda con desiderio – o forse siamo noi a desiderarlo – il fesenjān, stufato persiano in salsa agrodolce lucida e invitante, fatta di noci tritate e melassa di melograno. Poi arriva lui, il mirza ghasemi – melanzane affumicate, pomodori, aglio e uova strapazzate – che ci congeda con un sorriso e un invito discreto: una doppia bustina di Maalox.