La prima serata d’autunno. Attorno ai lampioni c’è un po‘ di foschia. Che bella Milano quando arrivano i primi freddi: fa venire appetito e voglia di tradizione. Come conciliarla col desiderio di nuove scoperte? Propongo il Pont de Ferr: il mio amichetto del cuore accetta all’istante, la poetessa ci segue distratta, il direttore d’orchestra (forse) ci raggiungerà.
Bisogna arrivarci attraversando il naviglio, percorrendo a piedi il ponte di ferro: fa parte dell’esperienza, un po‘ come arrivare a Venezia dal mare, come consigliava Thomas Mann. Bisogna anche prendere l’aperitivo al Rebelot: all’AmoreAmaro non si può proprio rinunciare. Per la poetessa è un problema tutto mio: «La ami soltanto perché scappa». Annego l’amore nel mio cocktail preferito.
Entriamo al ristorante alle ventidue in punto. L’accoglienza di Maida Mercuri è sempre attenta. Ci accomodiamo al tavolo in fondo, il mio preferito in assoluto: seduto sulla panca, posso vedere tutto il ristorante.
Apriamo le tre ante del menu e rimaniamo tutti a bocca aperta. La poetessa sceglie il nome più bello: Benvenuti a Milano (filetto alla milanese, salsa allo zafferano e gocce di Campari). Piacerebbe un sacco al direttore di Zero. Il mio amichetto sceglie il menu “Dal Mercato” (75 euro), io invece quello “Tradizione” (65 euro): in questi casi è sempre bene alternarsi. Il rapporto qualità prezzo sembra ancora imbattibile. Siamo curiosi e affamati.
Per cominciare ci portano un assaggio. I cucchiai hanno l’impugnatura piegata: sarebbero piaciuti a Bruno Munari. Brindiamo a un grande milanese.
Il paté di tinca è delicatissimo, il mondeghilo sa di polpette di una volta (le faceva la zia Nina con gli avanzi del bollito), delicatissima la stringa, buono il sushi di tonno con cipolla rossa. La sfoglia di risotto sembra un’ostia (devo chiedere a un mio amico cattolico), per i miei gusti è anche troppo delicata. Invece il salmone al Campari è davvero memorabile. «Mai più salmone senza Campari!» esclama il mio amichetto. Chiudiamo con l‘oliva del Martini, imbevuta nel gin con dentro il fois gras. Tutto ciò aumenta il buon umore.
Il direttore d’orchestra non si è fatto più vivo: si sta perdendo qualcosa di importante. Comincio a scrivere sulla sua tovaglietta di carta, molto carina, illustrata da Gianluca Biscalchin. Il mio amichetto è sempre il più informato: pare che un tempo facesse ritratti di musicisti. «Ora, per fortuna, si è convertito al cibo».
Ci tuffiamo nel menu quasi in apnea. La cipolla rossa di Tropea ripiena di formaggio di capra e cipolla caramellata è meravigliosa, sembra un bolide vitreo ma è tutta realizzata con lo zucchero soffiato: parrebbe fatta a Murano. Angelo Barovier avrebbe gridato al miracolo.
Nel frattempo immergo dei pezzi di tempura nel sorbetto di Campari (con profumo di arance amare). Ottima scelta: sembra che Fusari conosca i nostri gusti. Anche la poetessa è contenta, la milanese è delicatissima. Ci recita un verso di Maurizio Cucchi. Mi ricorda la canzone di un cantautore romano: lo penso ma non lo dico.
Proviamo il sashimi di filetto di bue, foie gras, salsa bernese e prugne umeboshi. Mi viene nostalgia del Piemonte. Fantastica la cruda di gamberi rossi di Santa Margherita e gioco di pistacchi. Il gioco è un gelato. Lo scarto di temperatura è davvero notevole: mi ricorda un tuffo, tanti anni fa, proprio nel mare blu di fronte a San Fruttuoso.
Alla poetessa piace moltissimo il pane. Chiede tutta la sera «ma questo chi l’ha fatto?». Ovviamente è un’altra meraviglia della cucina. La poetessa è ammirata e quasi non si fida.
Il risotto „d’Estate“ è una vera genialata: servito in una coppetta, come sui tavolini sotto i portici, con il gelato al parmigiano in fondo e del midollo grattugiato in superficie.
A parte qualche piatto di forma irregolare, qui c’è tantissima autarchia. Italia, Italia e ancora altra Italia. Camillo Langone sarebbe soddisfatto. Gliene parlerò nei prossimi giorni.
Mi distraggo, guardo intorno: ci piace davvero questa osteria. Non parlo della cucina ma della gioia di ritrovare, dopo tanti anni, ancora il muro ruvido, i mattoni facciavista, i tavolacci di legno e gli appendini in ferro battuto che sono davvero da osteria: di certo non li fece il miglior fabbro (piccolo regalo alla mia amica poetessa).
Proviamo poi il fletto di ricciola pescato all’amo servito con purè di melanzane alla griglia, cagliata di latte e pomodori arrostiti, la morbidissima pluma di maiale iberico lasciata rosata con ricci di mare e burrata e uno dei capolavori della serata: il piccione con germogli di lenticchie e crema alla senape. Morbidissimo e inaspettatamente freddo. Pare venisse dalla Francia, decapitato, anzi ghigliottinato, prima dello svezzamento. Vive la Révolution! Parliamo col mio amichetto del suo prossimo viaggio a Cuba.
Chiudiamo con la memorabile cheesecake: dall’America a Milano. Un piatto che esalta: c’è una bottiglia di Camparisoda, proprio come quella di Depero, vetrificata in zucchero, e attorno una sfericazione di Campari. Resto ammutolito. Al mio amichetto tocca „Ci è scappato il Tiramisù„: olive taggiasche, spuma di caffè, cremoso bianco e tegolino di cioccolato nero. L’oliva taggiasca gli piace tantissimo ma il caposala si raccomanda: «va mangiata per ultima». Attesa e godimento: è sempre la solita storia.
Penso al mio amore lontano, così dolce e così amaro. In quel momento mi arriva un messaggio: «Ho un’idea. Cosa fai domani?». Mento spudoratamente: «Niente!». «Dai, vieni in gita a Roma?». Sono al settimo cielo. L’amaro sparisce nel tombino più lontano. Annullo tre appuntamenti e prenoto il treno nel giro di un minuto.
Prosegue la degustazione di vini: ci servono un Bonmé Poderi Colla, eccellente vino da dessert. La poetessa ci regala tre versi:
Adesso dormo in una bolla d’oro.
Corro alla bocca di leone
e sparisco con il tuo segreto.
Una serata memorabile: ora abbiamo anche l’inedito. Cosa si è perso il direttore d’orchestra, lui e quella sua passione per il Manchester United. La prossima volta lo portiamo con noi. Ammanettato. Senza scuse. Con la bacchetta nel taschino, a provare queste leccornie milanesi.
Articolo di Corrado Beldì