La porta è sempre aperta, senza buttafuori, liste o prenotazioni: ottimo segnale. Entriamo, diamo un’occhiata al cortile e veniamo accolti col sorriso dai ragazzi in sala. “Ci accomodiamo al bancone, grazie”. Detto fatto: lì ci aspettano barman fuoriclasse, che – dopo averci lasciato guardare la lista dei drink – ci consigliano in base ai nostri gusti e ci propongono anche dei cocktail fuori menu. Cominciamo con due rivisitazioni del Bloody Mary, che ci soddisfano per qualità, numero degli ingredienti utilizzati, tecniche nuove e velocità di preparazione. I barman, con lo stile informale di tutto il locale, trovano anche il tempo di “raccontarceli”. Continuiamo a bere mangiucchiando qualcosina. Intanto dietro di noi si alza il vocio del grande tavolo unico a forma di croce, al quale ci ripromettiamo di sederci una volta in cui ci sarà un posto libero (vedi sotto). Sempre che riusciremo a non fermarci al bar, la zona che più ci piace della Segheria.
Simone Muzza
Di seguito la recensione del ristorante
L’atmosfera è sempre magica, impossibile negarlo. Le pareti di intonaco grezzo, i velux degli anni Quaranta, le colonne in calcestruzzo, i lampioni che non ti aspetteresti mai e soprattutto la tavola, una grande croce di Sant’Andrea in legno di abete dipinto di bianco. È al centro di tutto e invita allo stare insieme. Carlo e Camilla in Segheria compie tre anni e non dimostra segni di invecchiamento.
Partiamo nella prima sala, la lista dei drink è sempre ottima e qui l’aperitivo qui non si può saltare, anzi è il solo ristorante a Milano in cui non devi organizzarti un drink prima di cena. Stasera proviamo Quel gran fico del Conte, con fichi arrostiti, negroni gastrique, bourbon, lime e soda di vermouth analcolica. È un drink spumoso ma super dissetante che mi fa subito riprendere da un leggero malessere per il vaccino quadrivalente che ho fatto oggi. Non sia mai che un giorno mi possa venire il morbillo. Ho deciso: alcol e vaccini sono la mia vera cura.
Ci sediamo sul lato corto della croce, siamo in quattro e sembra di stare al centro di un teatro. Il benvenuto è un tonno di primavera con burrata, barba del prete, varie foglie d’insalata e salsa di gazpacho, che giustifica la scarpetta con vari panini fatti in casa. I grissini sono speciali e finiscono all’istante. Li riordineremo varie volte nel corso della serata.
Prendiamo una bottiglia di Suber di Daino, azienda siciliana di Caltagirone, 70% merlot e 30% nero d’Avola, biologico e sincero. Ci piace.
Ci guardiamo intorno e la tavola è davvero speciale, con tutti questi piatti della collezione Richard Ginori. Sono tutti diversi tra loro e in centro ci sono scodelle, vassoi, zuppiere e una teiera con rose bianche e peonie. Sono i suoi fiori preferiti. Vorrei condividere questo momento con lei.
Ci portano il primo, un curioso tributo alla Romagna. Sono ravioli ripieni di salsa di ragù, carpaccio di manzo e spuma al parmigiano cui segue un risotto affumicato al fieno e pezzetti di buccia pompia candita, un agrume sardo simile al cedro. Devo chiedere a Paolo Fresu. È fantastico il contrasto tra dolce e salato e soprattutto sorprende il profumo di campo estivo, dipende tutto dal burro che viene affumicato nel fieno. Accompagniamo questa delizia con un barbaresco Carlo Giacosa, meno noto dell’altro Giacosa ma decisamente più interessante.
C’è del bebop in sottofondo, Lee Morgan, Sonny Rollins e poi il fantastico Bud Powell. Ah, se fosse ancora qui tra noi, gliela farebbe vedere lui a tutti quegli insipidi jazzisti di oggi!
Il secondo è un morone con crema allo zafferano, aglio, finocchio di mare e foglia di cavolfiore. Per hi non lo sapesse, è una ricciola di fondale. Il connubio è dedicato. Ci piace assai.
Il servizio è attento e tutto questo buio intorno fa pensare di essere degli attori al centro di un palcoscenico con i fari puntati addosso, è una sensazione piacevole, di attenzione. Siamo cullati ed è un po‘ come stare in una SPA dove ti somministrano piatti al posto di cure e massaggi.
Ci portano un pre-dessert, un gelato di verbena su un letto di neve di yogurt, e pallina di cioccolato bianco con tè nero. Devi spaccare la pallina con un colpo secco di cucchiaio. Assesto un colpo perfetto, la mia amica invece esagera e ci ritroviamo il tè nero su tutta la tavola.
Su un lato c’è un fagiano impagliato, ci guarda e mi ricorda quando da bambino andavo a caccia con Alfio e sembrava che di fagiani non ce ne fosse nemmeno uno, a quei tempi erano selvatici, intelligenti e poi e cacciatori si muovevano all’antica. Questo fagianotto ormai non può più raccontarla a nessuno e ci guarda dall’alto, come il piccione in quel film di Roy Anderson.
Una bottiglia di Moscato Saracco ci introduce al dolce, quello vero. Un gelato di latte con crumble di biscotto e crema di limone e ricotta grattugiata, è cotta al forno e passata in grattugia.
Inebriati ed esausti da un menù tanto generoso, ci accorgiamo che abbiamo fatto l’una di notte. È quasi inevitabile far tardi in un ambiente così bello, dove si chiacchera amabilmente e sembra tutto fatto in modo da aumentare la confidenza tra i commensali. Sorsi, sapori e sguardi. Torneremo presto.
Corrado Beldì