Fino a qualche anno fa la cinta più esterna di Milano era, come in tante altre città, un grande tappeto industriale. Fabbriche metallurgiche, gasometri, impianti chimici, insomma, ne avevamo già parlato per la Bovisa, detta ai tempi “Piccola Manchester” proprio per quei suoi paesaggi incupiti dalla nebbia e dal clangore operaistico. E prima ancora, di nuovo un po’ come la Bovisa con la sua cascina omonima o il Gallaratese con il vecchio Bosco della Merlata, la cinta esterna era zona vacanziera, di sollazzo, costellata da castelletti nobiliari, boschetti e tenute da caccia, ancor prima di esser area agricola. La stessa, identica, storia la ritroviamo in Bicocca: dalla Bicocca degli Arcimboldi, piccolo castello suburbano dell’omonima famiglia votato a residenza di campagna, passando per Battaglia della Bicocca nel 1522 – spagnoli vs. francesi, che ancora ha eco per la disfatta di questi ultimi: c’est una bicoque! (un castelletto mal fortificato) –, fino alla grande industrializzazione avviatasi ai primi del Novecento con la Pirelli, a cui si deve in fondo l’odierno quartiere, che potremmo descrivere velocemente come una triangolazione tra polo tecnologico, studentesco e artistico.
Cominciamo perciò dal dato principale di questo quartiere: il caucciù, o gomma vulcanizzata. Vera origine del quartiere. La storia che va raccontata è quella del Piero Pirelli, che dopo aver costruito il primo opificio nel luogo dove poi sarebbe sorto il Pirellone (unico e vero competitors della Madonnina in merito a iconicità), crebbe talmente tanto che, a seguito del primo brevetto per pneumatico di bicicletta, poi per motocicletta, poi per autovettura, e facendosi conoscere per una produzione tecnica che all’epoca era letteralmente fantascienza, decise bene dato il successo di comprarsi nel 1906 ampi lotti nelle aree campestri di Bicocca. Vi trasferì gran parte della produzione, e finì per comprarsi anche il castelletto Bicocca degli Arcimboldi, che venne adibito prima come sede del museo della gomma e scuola materna assieme – tipo alternanza scuola lavoro a livelli estremi, o futuri meccanici a giocar con pneumatici. Si quotò poi in Borsa piuttosto presto (era il 1922), produsse e brevettò il primo cavo isolato e tra i primi cavi a fibra ottica. Ma in ogni caso, il pneumatico rimane il primo grande amore. Insomma, se pensate a questo colosso economico-produttivo nel mezzo del niente, vi sarà chiaro che tutto ciò che c’è in zona è inevitabilmente legato a Pirelli, molto più che alle altre aziende che l’affiancavano nel territorio. Bisogna immaginarsi la Bicocca di quegli anni come uno stabilimento vasto e ben compattato, come un panettone, tutt’uno con la Breda e la Falck. Dovete immaginarvelo con edifici bassi di tradizione fordista, spesso affacciati alla ferrovia di Greco. Ovviamente poi, la natura industriale del quartiere lo rese particolarmente focoso nelle lotte operaie e nella storia sindacalista, e anche qui, la vicinanza a Sesto San Giovanni, noto allora come la Stalingrado d’Italia, è decisamente rilevante.
La Bicocca per come la conosciamo nasce con Pirelli e inizia con il grande intervento del Gregotti.
Arriviamo a oggi. La Bicocca per come la conosciamo nasce con Pirelli e inizia con il grande intervento del Gregotti: un progetto d’urbanistica e architettura civile celebre ancora prima d’essere messo in atto, e proprio perché si trattava, in fondo, del primo piano rivolto a sovvertire l’idea di periferia lavorando proprio su un quartiere che rappresentava tutto ciò che è l’esternalità urbana: produzione, laboratori e linee logistiche. Insomma, il Gregotti voleva la rivoluzione ma senza abbattere la storia. Il risultato è un paesaggio urbano vasto e ariosissimo, dall’architettura gerarchica e razionale. Che poi significa disinteressata a quell’esuberanza o magnificenza che ormai troppo spesso interessa l’architetto moderno – come l’ha definita Gregotti stesso: «Un’architettura senza la ricerca del plauso».
Eppure, se si guarda ai più recenti recuperi del quartiere (il progetto terminò nei primi anni Duemila), il plauso lo si trova eccome. Basta guardare all’Arcimboldi, sostituto temporaneo della Scala di Milano (quando era in ristrutturazione a fine anni Novanta), che s’impose in breve come secondo teatro milanese, e subito dopo (siamo già negli anni Duemila) all’HangarBicocca. Custode dei Sette Palazzi Celesti di Kiefer, ha visto curatrici e curatori invitare le superstar dell’arte contemporanea ma anche artiste e artisti che cavalcano l’onda per i fatti loro, inventandosi un luogo che ha l’ambizione del PS1: location da spalancare la mascella e mostre molto spesso spettacolari per l’amatore disinteressato, e a volte dir poco profonde per il pubblico di riferimento. Precedentemente curato Andrea Lissoni nel 2013, poi dalla Roberta Tenconi e oggi diretto da Vicente Todolì con al fianco Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli, da qui sono passati calibri come Philippe Parreno con quella concertazione alienante, l’indimenticabile nuvola calpestabile di Thomas Saraceno, i calcinculo perturbanti e solitari di Carsten Holler, e poi Céline Condorelli e Petrit Halilai e Wilfredo Prieto. Gente che potreste trovare con estrema facilità alla mensa aziendale proprio dietro all’Hangar.
Insomma, tutto qui ritiene in vario modo il sostrato industriale. Tutto: anche i parchi. La Collina dei Ciliegi (similmente alla Montagnetta di San Siro) nasconde sotto il tappeto d’erba le macerie della demolizione delle fabbriche – ci teniamo poi a ricordare che qui, anni fa, si svolgevano degli after più che degni d’essere ricordati. Anche il Parco Nord, tra i più vasti della città, altro non era che un raccordo di aree dismesse deputato all’aeronautica, alla Breda – l’importante gruppo a cui si deve il nome dell’omonima torre, deputato al metalmeccanico, siderurgico, navale e armiero. E pure il Bicocca Stadium: nato per il Gruppo Sportivo Pirelli, dopolavoro dei dipendenti che spaziò nel corso degli anni tra calcio, hockey, tennis, ginnastica artistica, pallacanestro, pattinaggio, pugilato sci e chi più ne ha più ne metta fino alle competizioni scacchistiche, per diventare Centro Polisportivo oggi. Nonché, sede del Milan tra il 1919 e il 1920 – sfregio immondo per i neroazzurri, comunque affezionati alla Pirelli, anche se il Piero Pirelli non avrebbe mai gradito, essendo a sua volta tra i soci fondatori dei rossoneri, ma va da sé che la storia si dimentica.
Un quartiere nato dal caucciù vulcanizzato in cui si respira l’industria che dalla gomma è arrivata ai motori e all’arte, tanto che è più difficile scovare un panettiere che incrociare Carsten Höller.
Bisognerebbe poi parlare del via vai degli studenti, centinaia di migliaia, che soggiornano negli studentati e ovviamente li tramutano in location da feste universitarie, capitanante da liste studentesche e giovani guerriglieri della notte. Non si può non citare il Panta Rei, il baretto dal nome eracliteo dedicato agli studenti – perché sempre va ricordato che tutto in un modo o nell’altro passa, e la storia fa tutt’altro che ripetersi. E allora le piazzette ariose e metafisiche, frequentate dagli skaters e dalle piccole folle festaiole che tracannano peroncini in Piazzetta Difesa per le Donne. C’è la Radio Bicocca, il Museo Interattivo del Cinema e la scuola, e non mancano le osterie storiche – anche se poche – che a malapena ricordano il quartiere prima delle grandi trasformazioni della seconda metà degli anni Ottanta, come l’Arlati: tra i risotti migliori della città. Fino al recente Superlab, edificio dal respiro ecologico con un certo interesse alla produzione artistica e definito, bizzarramente, come “grattacielo orizzontale”. Direte voi, come può raschiare il cielo una stecca orizzontale, un grattacielo posato di traverso? Non lo sappiamo, davvero non lo sappiamo proprio.
Insomma, la Bicocca è a tutti gli effetti una cittadella, ha tutto. Ma in quanto cittadella, ammettiamo che soffre un po’ – almeno per ora – di solitudine: come i vecchi impianti rimane recintato, in particolare dalla ferrovia. Capirete poi che non abbiamo citato piccoli rivenditori alimentari locali, ed è proprio così: non ci sono, perché le priorità della Bicocca, a oggi, sono altre. Un quartiere nato dal caucciù vulcanizzato in cui si respira l’industria che dalla gomma è arrivata ai motori e all’arte, tanto che è più difficile scovare un panettiere che incrociare Carsten Höller.