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Cessiamo! O del bagno del Fanfulla come spazio d’arte

Domenica 19 gennaio è partito il progetto a cura di Jacopo Natoli e Nicola Rotiroti che porterà dodici artisti nella ritirata più famosa di Roma Est

quartiere Pigneto

Geschrieben von Nicola Gerundino il 17 März 2025

Ok, Berlino ha HÖR, una delle piattaforme videomusicali più seguite e accreditate in ambito clubbing, che trasmette da un vecchio bagno pubblico con delle inconfondibili piastrelle gialle; ma noi, qui a Roma, abbiamo il cesso del Fanfulla, con il suo rivestimento rosso Ferrari altrettanto iconico, nonché l’unico bagno della Capitale – a mia memoria almeno – ad avere un proprio profilo Instagram: @ilcessodelfanfulla, per l’appunto.

Non solo, da gennaio 2025 i sanitari del circolo Arci di via Fanfulla da Lodi potranno vantarsi anche di aver ospitato un ciclo di mostre d’arte contemporanea e performativa: sei appuntamenti, per dodici artisti, tutti rigorosamente confinati nel luogo dei bisogni (e dei desideri). A immaginare questo folle esperimento, dal titolo inappuntabile, „Cessiamo – Cedere Non essere Amare“, sono stati Jacopo Natoli e Nicola Rotiroti, protagonisti anche della prima esposizione, rispettivamente con una performance e un autoritratto. Su questa pagina seguiremo per intero questo esperimento, pubblicando di volta in volta opere e pubblico „pisciante“, raccontando i lavori attraverso i testi critici a loro dedicati.

 

CESSIAMO # 3 PAOLO ASSENZA/GMRGP
Domenica 16 marzo

PAOLO ASSENZA – „I tre cigni“

L’interno del bagno del Fanfulla diventa per una sera una fitta distesa di filamenti multicolore e scintillanti che cadendo dal soffitto colma l’ambiente di allegra ed estraniante presenza e una voce accoglie i fruitori manifestando stupore e incanto per la bellezza e per il numero sempre maggiore di avventori che entrano eccitati e curiosi.

Swans never die. Per una bellezza al bagno
Testo di Matteo Cinto

Una giocoleria compositiva che ha il suono di una boutade: potremmo definire così il corpus di brani che compongono la suite orchestrale „Le carnaval des animaux“ di quel genio, tuttora sottostimato, di Camille Saint-Saëns. Scritta nel 1886, quest’opera, questa grande “fantasia zoologica” colma di ironia e provocazione, vide la luce in un periodo di vita piuttosto travagliato per il compositore parigino. Proprio in quell’anno, infatti, Camille fu estromesso dalla Société Nationale de Musique per volere di un suo allievo. L’esclusione toccò proprio a lui, che fu uno dei fondatori di questa nobile società, nata anni prima per diffondere e promulgare la musica francese (che lesa maestà!). Certo, le motivazioni forse sono da riscontrarsi in un suo eccessivo brontolio nazionalista: a quanto pare si oppose fermamente alla decisione dei giovani musicisti della suddetta istituzione di confrontarsi anche con opere musicali straniere. Mi piace pensare però che „Il carnevale degli animali“ sia la risposta parossistica e canzonatoria a questo affronto subìto: i membri della società sono ridotti ad animali, colti nell’insipienza dei loro versi, gesti e umori. Tutti animali quindi, tutti tranne uno: il cigno. Il brano dal titolo „La morte del cigno“ si eleva dal tono burlesco dell’intera opera e sprigiona, con pochi elementi musicali, uno struggimento del tutto inaspettato. Il dolce cantabile affidato al violoncello, l’armonia soffusa dell’arpa, fanno sì che delle caratteristiche animalesche del cigno non venga espresso niente se non la grazia di un commiato, il gesto ultimo di un addio. Non è forse questa la bellezza? Optare per una negativizzazione che rilanci una presenza, una positività, anche se soffusa, dai contorni labili, poco distinti? Vivere la bellezza non è in fondo aver a che fare con una espropriazione di sé dettata da qualcosa di intangibile? È chiaro che la nostra percezione “acciuffa” il dato sensibile per organizzare la nostra esperienza con la realtà, ma cos’è quel surplus tensivo e invisibile che ci permette l’esperienza del bello? L’installazione site specific „I tre cigni“ di Paolo Assenza non ci parla che di questo, e lo fa in un loop sonoro e visivo invadente, a tratti urticante. A ben pensarci, la dimensione di riempimento sensoriale dettata dai nastrini che occupano lo spazio e dalla voce-lallazione di una donna assorta nella visione dei cigni, non fanno che bordare il lavorio di un negativo. L’oggetto del desiderio, ciò che procura quel surplus di bellezza, non c’è. Non si vede. Attorno a questo vuoto si concatena una serie di immagini, sensazioni, sprazzi chiaroscurali, ornamenti tattili. Si tratta di un paesaggio, direbbe Deleuze nel suo „Abecedario“, riflettendo sul desiderio: un paesaggio che forse neanche conosco, ma che intuisco, e finché non ho sviluppato questo paesaggio che l’avviluppa io non sarò contento, cioè il mio desiderio non sarà compiuto, resterà insoddisfatto. E quindi, dietro la coltre della giocoleria impudica, dietro quell’insieme di rimandi e di concatenamenti che articolano l’esperienza dell’installazione, Paolo Assenza (non a caso!) ci ricorda che tendiamo a costruire intorno ad una Assenza che non muore, perché, per riprendere di nuovo le parole del filosofo francese, il desiderio (e aggiungiamo, la bellezza) non è nient’altro che questo.

 

GMRGP – „Everyday we ask ourselves important questions“

Il lavoro si compone di una scritta ad acrilico, nel bagno, e di un faretto, nell’antibagno.
„Shall I perform in a loo?“ è un quesito esistenziale provocatorio, che si espande dalla coscienza delle artiste fino all’introspezione di chi lo fruisce. La domanda, incisa con precisione sulle pareti del bagno del Fanfulla, assume la forma di un’insegna spontanea tra le mattonelle rosse, dense di segni fugaci, impulsivi, decorativi. Il magnetismo dell’insegna lascia il posto a un turbamento che interroga: è questo il momento di lasciarsi andare?

Intervista a cura di Arianna Desideri*

Cos’é l’Altrə?
[13/03/25, 11:39:34] GaiaMaria: L’altrə è quellə che guarda e vorrei la smettesse**
[13/03/25, 11:39:43] GaiaMaria: Te che dici
[13/03/25, 11:41:04] GaiaMaria: Anche io guardo spesso e vorrei smetterla
[13/03/25, 11:41:21] Giorgia: Se la metti cosí aggiungo che l’altr è quell che guarda e vorrei sapere cosa pensa intanto, cosí non sarei portata a volere che smettesse
[13/03/25, 11:41:55] GaiaMaria: Mmmh non so se me la sentirei di sapere cosa pensa

Il sogno da piccolə:
[13/03/25, 11:43:02] Giorgia: Controllare i venti
[13/03/25, 11:43:10] Giorgia: Il tuo?
[13/03/25, 11:43:41] GaiaMaria: Ne ho avuti tantissimi ma sicuramente la veterinaria, la pasticcera e la cantante lirica
[13/03/25, 11:44:25] GaiaMaria: L’unica cosa che li accomunava era che il modo di realizzarli era disegnare le vetrine e i prodotti che avrei venduto/somministrato
[13/03/25, 11:44:25] Giorgia: Se li fai tutti insieme diventi pasticciona
[13/03/25, 11:45:15] GaiaMaria: Non so sai forse diventi un personaggio cattivo di un cartone ma ora non ricordo come si chiama

La cosa più intima condivisa con unə sconosciutə:
[13/03/25, 11:47:31] GaiaMaria: Una strofa di una canzone che mi vergogno di conoscere, e i miei fazzolettini
[13/03/25, 11:47:34] GaiaMaria: Tu?
[13/03/25, 11:49:14] Giorgia: Penso la mia fiducia, mi doveva reggere la porta
[13/03/25, 11:49:22] GaiaMaria: Ahahahaha
[13/03/25, 11:49:42] Giorgia: Pensa se se n’andava
[13/03/25, 11:50:07] GaiaMaria: 🎶 Si chiude una porta e si apre un portone 🎶

Una metafora per la vostra ricerca:
[13/03/25, 11:50:31] Giorgia: Due piedi in una scarpa forse
[13/03/25, 11:51:25] GaiaMaria: È una metafora? Per ora ho un sacco di confusione con queste figure retoriche. Nel dubbio direi che l’erba del vicino è sempre più verde (ci piace un sacco il verde)

Arte è lavoro?
[13/03/25, 11:56:07] Giorgia: Arte è non-lavoro, la sua nemesi
[13/03/25, 11:57:07] GaiaMaria: arte è lavoro solo nella definizione del lavoro in fisica
[13/03/25, 11:57:27] GaiaMaria: E il lavoro in fisica è una delle pochissime cose che ricordo della fisica
[13/03/25, 11:57:55] Giorgia: Una questione di forze
[13/03/25, 11:58:11] GaiaMaria: Aspetta te la copio da Wikipedia
[13/03/25, 11:58:48] GaiaMaria: “lavoro” indica un’attività o uno sforzo svolto per produrre qualcosa o un cambiamento in qualcosa.
[13/03/25, 11:58:50] GaiaMaria: Ecco

Il gioco preferito:
[13/03/25, 12:01:38] GaiaMaria: Quello che abbiamo fatto al compleanno di clarissa al parco dove ci lanciavamo le uova marce
[13/03/25, 12:01:42] GaiaMaria: Super adrenalinico
[13/03/25, 12:01:55] GaiaMaria: anche Egyptian Rat Screw che me l’ha insegnato ella ‎
[13/03/25, 12:02:14] GaiaMaria: Poi i giochi di carte, da tavolo e i giochi coi sentimenti altrui non mi piacciono tanto
[13/03/25, 12:04:46] Giorgia: Si i giochi dove ci si rincorre sono pazzeschi.
[13/03/25, 12:04:54] GaiaMaria: Mamma mia bellissimi
[13/03/25, 12:05:25] Giorgia: Penso ad oggi quello piú divertente in assoluto è stato giocare a frisbee a Villa Pamphili, a metà tra basket e football. Raccomando sempre
[13/03/25, 12:05:35] GaiaMaria: Anche la palla avvelenata
[13/03/25, 12:05:56] Giorgia: E poi devo dire per i giochi chill Genga e la distrazione della chiacchiera ne fa parte
[13/03/25, 12:06:14] GaiaMaria: Ah sì tipo quei giochi che potrebbero sostituire le patatine a bar

Essere performantə e/o performativə?
[13/03/25, 12:37:16] GaiaMaria: io direi performante on a daily life performativa in momenti e ambienti consoni
[13/03/25, 12:39:12] Giorgia: Secondo me è una domanda a trabocchetto

Una storia vissuta in un cesso pubblico:
[13/03/25, 12:07:37] Giorgia: La pausa bagno durante l’orario di lavoro, quell’isolamento è un buco spazio-tempo
[13/03/25, 12:07:53] GaiaMaria: Io non ho troppi ricordi dentro bagni pubblici
[13/03/25, 12:08:20] GaiaMaria: Ma a un certo punto quando vivevo a Canicattì hanno montato questo tremendo bagno pubblico di cemento e plastica davanti la villetta comunale
[13/03/25, 12:08:29] GaiaMaria: E nel tempo l’ho visto distruggersi
[13/03/25, 12:08:53] GaiaMaria: Ho visto quel cesso scappare
[13/03/25, 12:08:59] Giorgia: HHAAH
[13/03/25, 12:09:06] GaiaMaria: E quel che è rimasto era un enorme quadrato di cemento
[13/03/25, 12:09:19] GaiaMaria: Super contemporary brutalist etc etc
[13/03/25, 12:09:42] GaiaMaria: Non ho nemmeno mai capito come si aprisse la porta di quel cesso ma non era invitante
[13/03/25, 12:09:43] Giorgia: Post-cesso quasi

La forma è contenuto?
[13/03/25, 12:10:29] GaiaMaria: Vai tutta tua sfogati
[13/03/25, 12:11:08] Giorgia: Ma guarda sai che ti dico, la forma è un vaso di Pandora
[13/03/25, 12:11:10] Giorgia: Ma soprattutto
[13/03/25, 12:11:41] Giorgia: Non c’è contenuto senza forma quando si nota solo la cosa umana
[13/03/25, 12:12:19] GaiaMaria: Ribalto l’intervista, preferiresti un vaso di Pandora o un vaso di fiori?
[13/03/25, 12:12:53] Giorgia: Fiori e li voglio tulipani
[13/03/25, 12:13:06] GaiaMaria: Va bene
[13/03/25, 12:13:08] GaiaMaria: Li avrai
[13/03/25, 12:13:08] Giorgia: Qual è la tua invece
[13/03/25, 12:13:12] GaiaMaria: Eeee sai
[13/03/25, 12:13:21] GaiaMaria: Forse vaso di Pandora me lo immagino proprio bello
[13/03/25, 12:13:54] GaiaMaria: Buongiorno mi dia un vaso di Pandora e due mele della discordia (meno per meno più, due mele della discordia = mela della pace)
[13/03/25, 12:14:40] Giorgia: Due mele al giorno quindi, se sono della discordia
[13/03/25, 12:14:48] GaiaMaria: Ahahahaha
[13/03/25, 12:14:59] GaiaMaria: Solo se sono pink lady

Frecciatine o freccette?
[13/03/25, 12:15:18] GaiaMaria: Frecciatine in amore freccette in battaglia
[13/03/25, 12:15:27] GaiaMaria: Se con te freccette però
[13/03/25, 12:16:06] GaiaMaria: Sappiamo anche per certo chi vince e chi perde quindi passerei alle altre due domande
[13/03/25, 12:16:28] Giorgia: Soprattutto se parliamo di freccette
[13/03/25, 12:16:42] GaiaMaria: In freccette vince chi scappa

Chi vince? Chi perde?
[13/03/25, 12:16:55] GaiaMaria: Dai dai dillo coraggio
[13/03/25, 12:17:10] GaiaMaria: È il tuo momento per splendere
[13/03/25, 12:17:18] Giorgia: Non sono competitiva è che mi disegnano cosí
[13/03/25, 12:17:43] GaiaMaria: Sei molto competitiva e la prova è lo schiaffone da Cosmo
[13/03/25, 12:18:00] Giorgia: Quello è stato consensiente

Dove arrivare?
[13/03/25, 12:18:41] GaiaMaria: Ovunque ma a piedi, voi e le vostre macchine quadrupediche non mi avrete né oggi né domani
[13/03/25, 12:20:11] Giorgia: Non lo so, così devi avere sempre le scarpe giuste
[13/03/25, 12:20:20] GaiaMaria: Io ho sempre le scarpe giuste
[13/03/25, 12:21:05] Giorgia: Io ti dico che non si va ma si è sempre dove bisogna essere
[13/03/25, 12:21:15] GaiaMaria: Destiny’s child

Una frase o un segno di un cesso pubblico:
[13/03/25, 12:22:01] Giorgia: Quelle tipo: tua madre è una bravissima persona
[13/03/25, 12:23:04] GaiaMaria: Partendo dal presuppone che chiunque piscia ovunque ti direi quel bellissimo graffito che sta a San Lorenzo con gli omini che ballano in tondo che sembra un disegno delle grotte di Lascaux
[13/03/25, 12:23:35] Giorgia:

Reference che lo voglio salvare
[13/03/25, 12:24:08] GaiaMaria: Va bene altro?
[13/03/25, 12:24:14] Giorgia: Bellezza
[13/03/25, 12:24:23] Giorgia: Hai ragione che potrei tatuarmelo
[13/03/25, 12:24:33] GaiaMaria: Sisi ci sta benissimo con quelli che hai
[13/03/25, 12:24:47] GaiaMaria: Va bene ora metto tutto su un foglio elettronico e mando ad Arianna
[13/03/25, 12:24:52] Giorgia: Ottimo
[13/03/25, 12:24:54] Giorgia: Grazie

*artistə rispondono alle domande dal cellulare, mentre si trovano in un bagno
**L’intero scambio è avvenuto su una piattaforma di messaggistica nel momento richiesto. Al fine di preservare la spontaneità del dialogo, non sono state apportate correzioni grammaticali o di contenuto.

Foto di Massimiliano Rasori

 

CESSIAMO # 2 CHRISTIAN CIAMPOLI / PROGETTO FATUO
Domenica 16 febbraio

CHRISTIAN CIAMPOLI – „Monumento a Fanfulla“

Da un piccola teca blindata, posizionata sulla parete del bagno del Fanfulla, un piccolo altoparlante trasmette una canzone goliardica dedicata al condottiero Fanfulla da Lodi, in cui si narra di una sua avventura con una prostituta che, non debitamente retribuita si vendicherebbe, contagiandolo con una malattia infettiva.

Testo di Matteo Cinto

È colpa di quel crocchio di altezzosi alchimisti che da più di tre secoli si fanno chiamare scienziati se ho un nome così altisonante, vagamente intriso di magnificenza classicista: Neisseria Gonorrhoeaea. Già li vedo tutti piegati sui propri strumenti di laboratorio per scrutare il mio aspetto, vivisezionarmi, contrastarmi. Sanno bene che non sono nato con il mio nome, ma è da quando esiste l’umano che impegno il mio slancio vitale alla proliferazione. Non pensate che sia un nome troppo lungo, austero e di difficile articolazione per un batterio come me? Una creatura così piccola, tesa all’invisibilità, ad essere che un granello in un ampio movimento di coagulazione cellulare nel flusso della biomassa?

Sono un organismo insignificante, diciamocelo! Eppure, sono sottoposto al più scrupoloso controllo dell’apparato sanitario. Grazie a quegli scienziati strampalati di cui vi parlavo, ho scoperto tante cose di me: so di essere rosa, e che il mio peptidoglicano è monostratificato ed ancorato fedelmente ad una membrana esterna che mi protegge. Da tanti, tantissimi anni m’intrufolo nelle mucose degli organismi umani. Non sono sfuggito manco a Dio, quando fa scrivere a chi per lui: Il Signore disse ancora a Mosè ed Aronne: «Parlate agli Israeliti e riferite loro: se un uomo soffre di gonorrea nella sua carne, la sua gonorrea è immonda». Per Giove! Addirittura Immondo: con questo aggettivo così giudicante quel Dio che anima e divide la coscienza degli uomini mi stigma, e incita la mia dimora epiteliale a ribellarsi a me, a debellarmi. Attraverso quell’accumulo di saperi chiamato Scienza, di cui l’essere umano si fa tanto vanto, ho capito di essere pericoloso per la sessualità degli individui. Mi definiscono agente patogeno perché permetto la manifestazione di sintomi uro-genitali. Secrezione purulenta del cazzo e della fica, disuria, dolore pelvico, sanguinamento. Uretrite e Cervicite: lo yin e lo yang di una fenomenologia del dolore. Il mio proliferare è virulenza, un compendio pestifero al declino del sesso. Per William McNeill sono sicuro che rientrerei nella categoria delle “malattie della civiltà”; passo da un umano all’altro senza intermediari, invischiato nel giuoco della mia sopravvivenza.

A proposito…vi starete chiedendo perché mai mi concedo l’espressività del linguaggio. Proprio io, microrganismo acefalo che nulla sa del comunicare umano. Beh, ho capito di non esser nulla in confronto alla malattia più grande dell’uomo, l’alienazione a questa violenta e mordace sovrastruttura che gli fa credere di farsi intendere. Il linguaggio disfa e sopravvaluta: articola col senso il mio agire biologicamente puro. Vivo l’imminenza dell’inoculazione, e il mio proliferare non flirta con la mente degli esseri umani, con le loro fantasie e categorie. Con il loro linguaggio, appunto. Non sono classista: svilisco il potere e mi insinuo nella miseria, senza distinzioni di sorta. Anniento i condottieri come i braccianti. Deprimo Fanfulla da Lodi come Vincent Van Gogh. Non alzo la bandiera di alcuna fazione, non seguo una differenza di genere. Prolifero endemicamente al di là di ogni sorta di obiezione, di ogni carico emotivo, pulsionale e culturale che precede la penetrazione. La mia teleonomia, per dirla con Monod, non ammette che βίος, tenacemente imparlato e imparlabile. Come la zecca che si lascia cadere dal ramo per atterrare sulla pelle del mammifero, io mi “lascio cadere” nella cellula epiteliale. Non manco di niente, non desidero. Ma mi nutro del vostro desiderio, cari umani…quel desiderio che vi rende così manchevoli, inappagati, frivoli, frustati, ardimentosi, vogliosi, melanconici, usurati, stupidi… Questo desiderio non vi abbandona, perché disarma il non senso di quella sciocchezza chiamata vita.

 

PROGETTO FATUO – „Happening“

Siete invitat* al momento della festa in cui si esce dalla folla e si ritorna a se. Incontriamoci dove è possibile pensarsi soli. Lasciamoci contaminare dalla bellezza dell’ altr* nella delicatezza del consenso, trasformiamoci con noi e con chi incontriamo in una creatura luminosa senza egemonizzare. Riti giochi e fluttuazioni accenderanno fiammelle e insieme saremo fuoco fatuo.

Intervista a cura di Arianna Desideri*

Cos’é l’Altrə?
La possibilità di coesistere.

Il valore dell’attesa:
Molto importante perché siamo sempre in ritardo.

I gesti della fiducia:
Il gioco della cuoca, avere il biochetasi in borsa per te <3.

Il gioco dell’infanzia:
Un dito nel culo/troppi traumi ho cancellato tutto.

Cos’è l’identità?
È il cantiere della Metro C.

La cosa più intima condivisa con unə sconosciutə:
Un cubetto di ghiaccio.

Decostruiamo cosachiquandocome?
Lo Stato – tutte noi – domani- scambiandoci libri.

Una storia vissuta in un cesso pubblico:
Lotta con un pipistrello.

Nella vostra libreria:
Lea Vergine
Silvia Federici
Bell Hooks
Gualtieri
Preciado.

Nella vostra playlist:
Rosalia
Doja Cat
Frank Ocean
Little Simz
Loukeman
Salami Rose Joe Louise
Blair.

Strega, cyborg o dea?
Lupa.

Disgustoso, perturbante:
Disgustoso.

L’immagine più ricorrente prima di dormire:
Gli irrigatori, i rigatoni, i ciliegi in fiore, le taccole.

Una frase o un segno di un cesso pubblico:
Lo stupratore non è malato è figlio sano del patriarcato.

*artistə rispondono alle domande dal cellulare, mentre si trovano in un bagno

Foto di Massimiliano Rasori

 

CESSIAMO # 1 JACOPO NATOLI / NICOLA ROTIROTI
Domenica 19 gennaio

JACOPO NATOLI – „Non ti vedo ma t’immagino“

Pierrottismo lunaire: una cassa nel bagno del Fanfulla collegata ad un microfono bluetooth. Io nel punto pù alto possibile del Fanfulla. Quando le persone entrano in bagno, gli parlo.

Intervista a cura di Arianna Desideri*

Cos’é l’Altrə?
In parte di noi,
mancante,
cangiante,
alla ricerca di

Ruoli della festa: 
Divenire alterità, perdere e sprecare tempo, sorprendere, avere intimità, sudare (insieme), vicini-vicini, sacrificio del corpo, dimenticare il dolore, essere presenti, prendere/donare, vivere momenti liminali, ritualizzare, giocare, perdere le inibizioni, mascherarsi/truccarsi, bruciare, collettivamente distruggere, sentire, espulsare.

Perché festa: 
„Superorganismo infestante“

Perché psiconauta: 
Viaggiare senza muoversi

Una storia vissuta in un cesso pubblico:
Quando da bambino rimasi chiuso a chiave nel cesso del ristorante di mia nonna per ore con la paura di non poter più uscire e la vergogna di non saper aprire la porta

La cosa più intima condivisa con unə sconosciutə:
Dildo

Un atto violento: 
Deridere

Dove finiscono gli scarti?
Qui

Il liquido dell’abietto: 
La pioggia

Cosa reputi impuro?
La vita

Quando sei nudo?
Ci voglio bene

Un atto di cura: 
cucinare per

Una frase o un segno di un cesso pubblico:
Chiamami 3315430139.

*artistə rispondono alle domande dal cellulare, mentre si trovano in bagno

 

NICOLA ROTIROTI – „Mi rittratengo un po’“

L’autore  abita l’antibagno della toilette posta a sinistra del locale, con un suo autoritratto disegnato a pennarello nero su dei fogli di carta adesiva di colore rosso ed inserti bianchi attaccato  sulla porta interna del bagno. ;entre sulla prima porta del antibagno accompagna l’opera i versi di Anonimo Romano: una lode agli ardori, ai facili amplessi consumati nei bagni del Fanfulla.

Testo di Matteo Di Cinto 

L’opera “Mi ritrattengo un po’” di Nicola Rotiroti esplora il rapporto tra corpo, cultura e sguardo, partendo da una esperienza universale: la defecazione. L’autoritratto dell’artista, tracciato su carta adesiva rossa e bianca, raffigura il volto durante l’evacuazione, indagando i confini tra pubblico e privato, natura e cultura. Esposta nei bagni del Fanfulla, luogo simbolico di resistenza culturale, l’opera riflette su come l’intimità individuale si intrecci con l’agire collettivo. Rotiroti esplora lo sguardo in tre dimensioni: guardare, essere guardati, lasciarsi guardare. Se ci richiamiamo alle concettualizzazioni di Freud, Lacan e Sartre, possiamo osservare che l’opera evidenzi come il corpo, nello sguardo altrui, si trasformi in oggetto, esposto a un giudizio che ne limita la libertà. Nei bagni pubblici, dove l’intimità può essere violata, la vulnerabilità diventa metafora della condizione umana: la nostra identità non è mai autonoma, ma definita dallo sguardo degli altri. Come le feci, anche lo sguardo è un oggetto pulsionale che rivela la nostra fragilità e dipendenza. In questo gioco di specchi, Rotiroti ci restituisce un’immagine cruda e ironica della soggettività: un “ritrattenersi” di sguardi e pensieri, in cui la nostra animalità si confronta con la dimensione culturale. L’opera ci ricorda che siamo sempre al cospetto dell’altro, presenze fragili in bilico tra desiderio, vergogna e necessità di accettazione.

Foto di Massimiliano Rasori