Ok, Berlino ha HÖR, una delle piattaforme videomusicali più seguite e accreditate in ambito clubbing, che trasmette da un vecchio bagno pubblico con delle inconfondibili piastrelle gialle; ma noi, qui a Roma, abbiamo il cesso del Fanfulla, con il suo rivestimento rosso Ferrari altrettanto iconico, nonché l’unico bagno della Capitale – a mia memoria almeno – ad avere un proprio profilo Instagram: @ilcessodelfanfulla, per l’appunto.
Non solo, da gennaio 2025 i sanitari del circolo Arci di via Fanfulla da Lodi potranno vantarsi anche di aver ospitato un ciclo di mostre d’arte contemporanea e performativa: sei appuntamenti, per dodici artisti, tutti rigorosamente confinati nel luogo dei bisogni (e dei desideri). A immaginare questo folle esperimento, dal titolo inappuntabile, „Cessiamo – Cedere Non essere Amare“, sono stati Jacopo Natoli e Nicola Rotiroti, protagonisti anche della prima esposizione, rispettivamente con una performance e un autoritratto. Su questa pagina seguiremo per intero questo esperimento, pubblicando di volta in volta opere e pubblico „pisciante“, raccontando i lavori attraverso i testi critici a loro dedicati.
CESSIAMO # 2 CHRISTIAN CIAMPOLI / PROGETTO FATUO
Domenica 16 febbraio
CHRISTIAN CIAMPOLI – „Monumento a Fanfulla“
Da un piccola teca blindata, posizionata sulla parete del bagno del Fanfulla, un piccolo altoparlante trasmette una canzone goliardica dedicata al condottiero Fanfulla da Lodi, in cui si narra di una sua avventura con una prostituta che, non debitamente retribuita si vendicherebbe, contagiandolo con una malattia infettiva.
Testo di Matteo Cinto
È colpa di quel crocchio di altezzosi alchimisti che da più di tre secoli si fanno chiamare scienziati se ho un nome così altisonante, vagamente intriso di magnificenza classicista: Neisseria Gonorrhoeaea. Già li vedo tutti piegati sui propri strumenti di laboratorio per scrutare il mio aspetto, vivisezionarmi, contrastarmi. Sanno bene che non sono nato con il mio nome, ma è da quando esiste l’umano che impegno il mio slancio vitale alla proliferazione. Non pensate che sia un nome troppo lungo, austero e di difficile articolazione per un batterio come me? Una creatura così piccola, tesa all’invisibilità, ad essere che un granello in un ampio movimento di coagulazione cellulare nel flusso della biomassa?
Sono un organismo insignificante, diciamocelo! Eppure, sono sottoposto al più scrupoloso controllo dell’apparato sanitario. Grazie a quegli scienziati strampalati di cui vi parlavo, ho scoperto tante cose di me: so di essere rosa, e che il mio peptidoglicano è monostratificato ed ancorato fedelmente ad una membrana esterna che mi protegge. Da tanti, tantissimi anni m’intrufolo nelle mucose degli organismi umani. Non sono sfuggito manco a Dio, quando fa scrivere a chi per lui: Il Signore disse ancora a Mosè ed Aronne: «Parlate agli Israeliti e riferite loro: se un uomo soffre di gonorrea nella sua carne, la sua gonorrea è immonda». Per Giove! Addirittura Immondo: con questo aggettivo così giudicante quel Dio che anima e divide la coscienza degli uomini mi stigma, e incita la mia dimora epiteliale a ribellarsi a me, a debellarmi. Attraverso quell’accumulo di saperi chiamato Scienza, di cui l’essere umano si fa tanto vanto, ho capito di essere pericoloso per la sessualità degli individui. Mi definiscono agente patogeno perché permetto la manifestazione di sintomi uro-genitali. Secrezione purulenta del cazzo e della fica, disuria, dolore pelvico, sanguinamento. Uretrite e Cervicite: lo yin e lo yang di una fenomenologia del dolore. Il mio proliferare è virulenza, un compendio pestifero al declino del sesso. Per William McNeill sono sicuro che rientrerei nella categoria delle “malattie della civiltà”; passo da un umano all’altro senza intermediari, invischiato nel giuoco della mia sopravvivenza.
A proposito…vi starete chiedendo perché mai mi concedo l’espressività del linguaggio. Proprio io, microrganismo acefalo che nulla sa del comunicare umano. Beh, ho capito di non esser nulla in confronto alla malattia più grande dell’uomo, l’alienazione a questa violenta e mordace sovrastruttura che gli fa credere di farsi intendere. Il linguaggio disfa e sopravvaluta: articola col senso il mio agire biologicamente puro. Vivo l’imminenza dell’inoculazione, e il mio proliferare non flirta con la mente degli esseri umani, con le loro fantasie e categorie. Con il loro linguaggio, appunto. Non sono classista: svilisco il potere e mi insinuo nella miseria, senza distinzioni di sorta. Anniento i condottieri come i braccianti. Deprimo Fanfulla da Lodi come Vincent Van Gogh. Non alzo la bandiera di alcuna fazione, non seguo una differenza di genere. Prolifero endemicamente al di là di ogni sorta di obiezione, di ogni carico emotivo, pulsionale e culturale che precede la penetrazione. La mia teleonomia, per dirla con Monod, non ammette che βίος, tenacemente imparlato e imparlabile. Come la zecca che si lascia cadere dal ramo per atterrare sulla pelle del mammifero, io mi “lascio cadere” nella cellula epiteliale. Non manco di niente, non desidero. Ma mi nutro del vostro desiderio, cari umani…quel desiderio che vi rende così manchevoli, inappagati, frivoli, frustati, ardimentosi, vogliosi, melanconici, usurati, stupidi… Questo desiderio non vi abbandona, perché disarma il non senso di quella sciocchezza chiamata vita.
PROGETTO FATUO – „Happening“
Siete invitat* al momento della festa in cui si esce dalla folla e si ritorna a se. Incontriamoci dove è possibile pensarsi soli. Lasciamoci contaminare dalla bellezza dell’ altr* nella delicatezza del consenso, trasformiamoci con noi e con chi incontriamo in una creatura luminosa senza egemonizzare. Riti giochi e fluttuazioni accenderanno fiammelle e insieme saremo fuoco fatuo.
Intervista a cura di Arianna Desideri*
Cos’é l’Altrə?
La possibilità di coesistere.
Il valore dell’attesa:
Molto importante perché siamo sempre in ritardo.
I gesti della fiducia:
Il gioco della cuoca, avere il biochetasi in borsa per te <3.
Il gioco dell’infanzia:
Un dito nel culo/troppi traumi ho cancellato tutto.
Cos’è l’identità?
È il cantiere della Metro C.
La cosa più intima condivisa con unə sconosciutə:
Un cubetto di ghiaccio.
Decostruiamo cosachiquandocome?
Lo Stato – tutte noi – domani- scambiandoci libri.
Una storia vissuta in un cesso pubblico:
Lotta con un pipistrello.
Nella vostra libreria:
Lea Vergine
Silvia Federici
Bell Hooks
Gualtieri
Preciado.
Nella vostra playlist:
Rosalia
Doja Cat
Frank Ocean
Little Simz
Loukeman
Salami Rose Joe Louise
Blair.
Strega, cyborg o dea?
Lupa.
Disgustoso, perturbante:
Disgustoso.
L’immagine più ricorrente prima di dormire:
Gli irrigatori, i rigatoni, i ciliegi in fiore, le taccole.
Una frase o un segno di un cesso pubblico:
Lo stupratore non è malato è figlio sano del patriarcato.
*artistə rispondono alle domande dal cellulare, mentre si trovano in un bagno
Foto di Massimiliano Rasori
CESSIAMO # 1 JACOPO NATOLI / NICOLA ROTIROTI
Domenica 19 gennaio
JACOPO NATOLI – „Non ti vedo ma t’immagino“
Pierrottismo lunaire: una cassa nel bagno del Fanfulla collegata ad un microfono bluetooth. Io nel punto pù alto possibile del Fanfulla. Quando le persone entrano in bagno, gli parlo.
Intervista a cura di Arianna Desideri*
Cos’é l’Altrə?
In parte di noi,
mancante,
cangiante,
alla ricerca di
Ruoli della festa:
Divenire alterità, perdere e sprecare tempo, sorprendere, avere intimità, sudare (insieme), vicini-vicini, sacrificio del corpo, dimenticare il dolore, essere presenti, prendere/donare, vivere momenti liminali, ritualizzare, giocare, perdere le inibizioni, mascherarsi/truccarsi, bruciare, collettivamente distruggere, sentire, espulsare.
Perché festa:
„Superorganismo infestante“
Perché psiconauta:
Viaggiare senza muoversi
Una storia vissuta in un cesso pubblico:
Quando da bambino rimasi chiuso a chiave nel cesso del ristorante di mia nonna per ore con la paura di non poter più uscire e la vergogna di non saper aprire la porta
La cosa più intima condivisa con unə sconosciutə:
Dildo
Un atto violento:
Deridere
Dove finiscono gli scarti?
Qui
Il liquido dell’abietto:
La pioggia
Cosa reputi impuro?
La vita
Quando sei nudo?
Ci voglio bene
Un atto di cura:
cucinare per
Una frase o un segno di un cesso pubblico:
Chiamami 3315430139.
*artistə rispondono alle domande dal cellulare, mentre si trovano in bagno
NICOLA ROTIROTI – „Mi rittratengo un po’“
L’autore abita l’antibagno della toilette posta a sinistra del locale, con un suo autoritratto disegnato a pennarello nero su dei fogli di carta adesiva di colore rosso ed inserti bianchi attaccato sulla porta interna del bagno. ;entre sulla prima porta del antibagno accompagna l’opera i versi di Anonimo Romano: una lode agli ardori, ai facili amplessi consumati nei bagni del Fanfulla.
Testo di Matteo Di Cinto
L’opera “Mi ritrattengo un po’” di Nicola Rotiroti esplora il rapporto tra corpo, cultura e sguardo, partendo da una esperienza universale: la defecazione. L’autoritratto dell’artista, tracciato su carta adesiva rossa e bianca, raffigura il volto durante l’evacuazione, indagando i confini tra pubblico e privato, natura e cultura. Esposta nei bagni del Fanfulla, luogo simbolico di resistenza culturale, l’opera riflette su come l’intimità individuale si intrecci con l’agire collettivo. Rotiroti esplora lo sguardo in tre dimensioni: guardare, essere guardati, lasciarsi guardare. Se ci richiamiamo alle concettualizzazioni di Freud, Lacan e Sartre, possiamo osservare che l’opera evidenzi come il corpo, nello sguardo altrui, si trasformi in oggetto, esposto a un giudizio che ne limita la libertà. Nei bagni pubblici, dove l’intimità può essere violata, la vulnerabilità diventa metafora della condizione umana: la nostra identità non è mai autonoma, ma definita dallo sguardo degli altri. Come le feci, anche lo sguardo è un oggetto pulsionale che rivela la nostra fragilità e dipendenza. In questo gioco di specchi, Rotiroti ci restituisce un’immagine cruda e ironica della soggettività: un “ritrattenersi” di sguardi e pensieri, in cui la nostra animalità si confronta con la dimensione culturale. L’opera ci ricorda che siamo sempre al cospetto dell’altro, presenze fragili in bilico tra desiderio, vergogna e necessità di accettazione.