Quante volte siamo partiti DA ZERO?
Quante volte eravamo lì, abbiamo visto cambiare tutto ma ce ne siamo resi conto solo dopo, come se fosse successo per magia? Qual è il segreto?
Zero riparte dalla città, in un viaggio avanti e indietro sulla linea del tempo. Dagli ultimi 30 anni del passato, da cui sembriamo lontanissimi e da cui prendere il meglio. Dal presente in cui è impossibile andare avanti, è impossibile tornare indietro, in cui siamo immobili e soffriamo. Dal futuro che pretende immaginazione.
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Proviamo a chiudere gli occhi e a far riaffiorare il primo ricordo legato all’ultimo party in cui siamo stati? Non tanto il nome del dj o il titolo dell’ultimo brano salutato all’alba. Pensiamo piuttosto a un’immagine. Potrebbe essere quella di una schiena, di una nuca del ragazzo o della ragazza che ci stava ballando davanti, della testa di altre dieci persone dalle quali spunta e si intravede il volto del dj. Ve lo ricordate? Lì, al centro della consolle, illuminato nervosamente dalle strobo. Riuscireste a immaginare la stessa scena in un club dove bisogna mantenere il metro di distanza come il COVID-19 ci ha obbligato a fare in questi ultimi mesi? Proviamo a pensare a cosa succederà quando l’emergenza sarà finita e si deciderà piano piano di riaprire tutte le attività costrette a chiudere per portare a zero la curva dei contagi. Come balleremo insieme?
Magari con un ticket digitale acquistato in precedenza non ci saranno problemi di coda e distanze, ma sarà ancora possibile ritrovarsi gli uni vicini agli altri a fare capolino per incrociare lo sguardo del pierre amico, pronto a farci fare un balzo in cassa? Solo liste? Nessuna lista? Nessuno in coda?
In realtà bisogna partire da più lontano, dal rituale che abbiamo imparato ad amare e chi ci riempie di gioia ogni qual volta il calendario segna venerdì, o anche prima. Il clubbing inizia dal bancone, da un bar dove ci si ritrova con in propri amici che hanno deciso di condividere con noi la via del dancefloor per quella sera. Ebbene, la prima domanda che possiamo farci è se al bancone potremo ordinare e bere; poi dovremo chiederci in quanti potremo sederci al tavolo, infine se potremo sostare in piedi a chiacchierare nello spazio di pertinenza del locale o nella strada immediatamente adiacente, perché, in caso contrario, la notte potremmo passarla con Google Maps alla ricerca di un tavolo libero invece che ballando. A quel punto, magari, i tempi della notte potrebbero paradossalmente ridursi, pensando di far iniziare le danze prima, così da bypassare il passaggio al bar. Quanto prima bisognerà andare in un club? Magari con un ticket digitale acquistato in precedenza non ci saranno problemi di coda e distanze, ma sarà ancora possibile ritrovarsi gli uni vicini agli altri a fare capolino per incrociare lo sguardo del pierre amico, pronto a farci fare un balzo in cassa? Solo liste? Nessuna lista? Nessuno in coda? Tutti dentro uno alla volta, in modo da poter svolgere in sicurezza l’acquisto dell’ingresso e, nei mesi invernali, le pratiche del guardaroba? Entrati dentro si porrà il problema di nuovo il problema del bar: bancone, non bancone? Ci orienteremo verso dei più veloci shot – ma senza brindisi, ovviamente – oppure chiederemo ancora dei cocktail da bere in solitaria? Bar e pista saranno separati e distanti? Ci siamo, abbiamo fatto tutto e siamo in pista. Ritorna la domanda: come balleremo insieme?
Se pensiamo ai nostri party pre COVID-19 ricordiamo: abbracci quando incontriamo amici che mai avremmo pensato di ritrovare a ballare con noi, strette di mano al dj a fine set, salti sfrenati quando arriva la traccia bomba, tentativi più o meno aggraziati di rimorchio e baci rubati a perfetti/e sconosciuti/e. Cosa cambierà di tutto questo e quanto tutto questo si potrà replicare mantenendo un metro di distanza? Quanto saranno grandi i club? La risposta immediata è che saranno più grandi per farci stare tutti alla distanza prevista dalla legge, posto che difficilmente in queste condizioni un club abbia senso di esistere. Magari però saranno più piccoli, ospiteranno un numero ristretto di persone debitamente controllate e tracciate con un termoscanner, con il personale all’ingresso che si prenderà tutto il suo tempo per effettuare le misurazioni e assomiglierà più a un infermiere che a un buttafuori. Allora, magari, i club diventeranno più piccoli invece che più grandi, anche perché far venire un dj che prima riempiva fino all’uovo sarà sconveniente, sia da un punto di vista socio-sanitario che da un punto di vista squisitamente economico, per cui ci sarà il pubblico che può generare un dj locale. Ancora un’altra domanda allora: avremo ancora bisogno di flyer e pierre per “riempire”? E a fine sera? Be‘, di solito già si va via alla spicciolata, quindi forse questo aspetto non cambierà. Ma cosa faremo una volta fuori? Torneremo in macchina tutti assieme a commentare la serata appena passata e a fare progetti irrealizzabili e strampalati per il giorno successivo? Oppure ognuno andrà via con il suo taxi, come quella volta che Fantozzi, Filini e Calboni decisero di giocarsi la vita all’Ippopotamo?
Il futuro del clubbing è tutto ancora da scrivere dunque, incerto più che in altri settori, visto che la sua cifra è nella contemporaneità di corpi “selvaggi”, non addomesticati
Il futuro del clubbing è tutto ancora da scrivere dunque, incerto più che in altri settori, visto che la sua cifra è nella contemporaneità di corpi “selvaggi”, non addomesticati, a differenza di teatro o cinema, dove invece la compresenza è più addomesticata e contemplabile anche da un punto di vista geometrico-matematico (palchi, file, posti numerati, ecetera.). Seppur sarà una dimensione che non scomparirà così velocemente e alla quale, quindi, ci dovremo abituare, è difficile immaginare che il tutto si riduca a una sequela di dj set da salotto via social. Così come è impensabile che salteremo tanti passaggi intermedi per approdare direttamente alla sublimazione dello streaming, quel Club Quarantäne che abbiamo esplorato con stupore e apprensione; e idem dicasi per l’altra proposta che sembra provenire dall’anno 3000: le tute per clubber disegnate dallo studio di Los Angeles Production Club che sembrano portare a compimento l’utopia dell’elettronica cyber e asettica dei Daft Punk.
Balleremo forse nei nostri appartamenti trasformati in piccoli club ogni weekend o in club che si trasformeranno in appartamenti. O ancora in palazzi dove ogni piano sarà un floor diverso. O ancora, forse, ci ritroveremo in spazi enormi a ballare in migliaia per poche ore, tra indicazioni stradali e infoline come accadeva negli anni 90 per i rave, cambiando sito di settimana in settimana. Magari semplicemente balleremo di più, in locali che saranno autorizzati ad aprire per più ore in modo da avere un afflusso spalmato nel tempo e remunerativo per i club in termini di ingressi e consumazioni. Quello che possiamo dire è che il nostro desiderio sarà ancora quello di far ritrovare insieme i nostri corpi e di farli pulsare con la frequenza dei bpm.