Ebbene sì, dopo lo streetwear, anche la grafica è arrivata all’epoca della sua secolarizzazione; anche se bisogna dire che la grafica, come pratica, è un affare piuttosto recente, purché su Wikipedia la storia cominci fin dalle caverne di Lascaux. Insomma, Instagram ha solo risemantizzato questa pratica ancestrale. E quindi: che libro corale per capirci qualcosa sia. Il volume che vogliamo introdurvi è Nuovi Ritratti Grafici (in uscita oggi) – edito dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori nella collana dei “Quaderni del Laboratorio Formentini” – a cura di Maria Angela Di Pierro e Marco Sammicheli (nuovo direttore del Museo del Design in Triennale, ndr). Si tratta di un affresco di volti, ritratti di autori, designer, docenti, editori, critici e operatori, figure che hanno contribuito e ancora lo stanno facendo alle arti grafiche e alla comunicazione visiva.
Troppe volte, oggi più di ieri, il graphic-designer viene considerato un esecutore. Ve lo dobbiamo dire: basta, non se ne può più.
Una comunità di progettisti visivi che magari (ancora) non hanno fatto la storia, ma di certo ci stanno facendo il presente. Ve lo diciamo noi. I curatori, Maria Angela e Marco, sono gli stessi che diedero vita a MOSTRO – graphic design camp, nel 2018, facendo notare come non stesse in piedi il fatto che a Milano non ci fosse un festival che ospitasse grafici, illustratori e amici/colleghi vari. I ragazzi hanno così tracciato una linea che va dalla tradizione novecentesca della progettazione visiva italiana a oggi, passando ovviamente per Milano. L’esperienza di MOSTRO si compenetra in maniera osmotica con questo nuovo libro che mette i punti sullo stato dell’arte della grafica qui in Italia. Molti nomi li conoscete già, lo sappiamo, ma non ve li diremo perché sono tanti e ovviamente perché per capire bene le cose bisogna leggerle di prima mano, non di seconda.
Spesso poi, tutte le volte che si parla di “grafici” non si sa mai bene dove collocarli. Troppe volte, oggi più di ieri, il graphic-designer viene considerato un esecutore. Ve lo dobbiamo dire: basta, non se ne può più. Da che mondo e mondo il lavoro del grafico è sempre quello dell’umano di Lascaux: comprendere le soglie di un gusto comune e portarle là dove si infrangono gli orizzonti infiniti dell’immaginario collettivo. Lo so, vi abbiamo tirato una pippa. È che al nostro Art Director vogliamo tanto bene, e sappiamo che gli amici grafici sentono davvero quella spinta pulsionale a comunicare, a fare linguaggi in forme, a incuneare energie attraverso la cornea dell’occhio, una magia che solo loro, lo dobbiamo dire, sanno fare con immediatezza. Insomma, soprattutto a Milano di grafici, art director & co ne sono passati parecchi, in veste di designer dell’epoca d’oro – quello spazio transdimensionale dove l’utopia doveva essere all’ordine del giorno in materia di progetto, ecco – del calibro di Munari, Mari, Albe Steiner, Giovanni Anceschi, insomma figure sempre liminari a mondi diversi ma complementari, tra design, arte, pedagogia, impegno politico e sociale. Ci chiediamo allora: perché grafica fa rima con Milano? Sarà il tepore del bicchiere di vino nelle osterie dei tempi che furono o lo Sbagliato al Basso di ieri e oggi, la committenza selvaggia, la nube di discussioni e confronti che da cent’anni ricopre questa città, non lo sappiamo. C’è da dire però che oggi, con tutti questi modelli che avanzano, c’è bisogno di coraggio come scrive qualcuno. Di quella forza ferina, bestiale, che ha avuto sempre lui, l’art director di Lascaux, quando per primo disegnò un bue su una parete di roccia, facendo spalancare bocche e sgranare gli occhi a tutti.