La Festa del Cinema di Roma arriva al traguardo dei venti anni con un’edizione ricca di film, incontri ed eventi collaterali. Oltre alla selezione ufficiale a ‘competizione’, tornano le sezioni parallele aperte a documentari, forme brevi, videoarte, restauri, omaggi, i film più acclamati della stagione festivaliera e serie tv. Di nota, la Masterclass di Jafar Panahi, uno dei più grandi registi della storia del cinema iraniano e uno dei maggiori autori contemporanei, appena premiato al Festival di Cannes, il premio alla carriera al re del cinema indipendente americano Richard Linklater, e il ritorno sulle scene – e a Roma – di Daniel Day-Lewis sarà ospite di Alice nella città insieme al figlio Ronan. Segnaliamo anche una retrospettiva su Claudio Caligari a 10 anni dalla sua scomparsa e delle celebrazioni per i cinquant’anni del Rocky Horror Picture Show, con proiezione del film e di un documentario inedito sulla realizzazione dello stesso.
O AGENTE SEGRETO di Kleber Mendonça Filho
Brasile, Francia, Germania, Paesi Bassi, 2025, 158’
Sul finire degli anni Settanta un uomo che scappa dal proprio passato torna a Recife nel mezzo del carnevale per ricongiungersi con il figlio e tentare una fuga segreta e disperata sotto gli occhi minacciosi e onnipresenti del regime militare brasiliano. Molto più che il thriller di spionaggio che titolo e trama suggeriscono, l’idea di fare questo film è venuta al regista durante la realizzazione del suo lavoro precedente, il documentario “Picutres of Ghosts”, dove raccontava la memoria storica brasiliana attraverso i decaduti cinema della città di Recife. In quel documentario Mendonça Filho dice che i film di finzione sono i migliori documentari – e qui lo dimostra. Un film vivo, pieno di musica, colore, humor e azione ma al tempo stesso molto politico e popolato di fantasmi del passato, il film ha vinto tre premi al Festival di Cannes (miglior regia, attore e il premio FIPRESCI) ed è stato selezionato dal Brasile per i prossimi premi Oscar.
PALESTINE 36 di Annemarie Jacir
Palestina, Regno Unito, Francia, Danimarca, Norvegia, Qatar, Arabia Saudita, Giordania, 2025, 119’
1936, “Mandato britannico della Palestina”. Manca ancora un decennio alla Nakba, ma l’oppressione britannica è già violenta e i primi coloni sionisti stanno già arrivando. È l’anno in cui ha luogo la prima rivolta organizzata dai contadini palestinesi. Annemarie Jacir decide di raccontare un momento cruciale per la storia della Palestina (di cui si parla sempre troppo poco o per nulla) attraverso uno spaccato della popolazione del tempo: le vite e le prospettive di vari personaggi – musulmani, cristiani, giornalisti, generali britannici – si intrecciano per dare un quadro delle tensioni della società del tempo e di come sussistono nel presente. Utilizzando anche materiale d’archivio, il film racconta la Storia attraverso il personale, con la grande umanità che contraddistingue tutti i film della regista, e rappresenta i palestinesi non solo come vittime, ma come protagonisti di una lotta di resistenza che purtroppo non sembra mai finire. C’è un grande bisogno di film storici da prospettive non occidentali, ed è molto importante che questo film arrivi ora, per raccontare le storie e le resistenze di ieri che sono le stesse di oggi. Selezionato dallo stato palestinese per gli Oscar.
KEN di Nadav Lapid
Francia, Israele, Cipro, Germania, 2025, 149’
L’intera filmografia di Nadav Lapid è segnata dalla profonda rabbia che ha contro il suo paese di nascita: sin dal suo primo film (vincitore del festival di Locarno), incentrato sulle forze speciali anti-terrorismo della polizia israeliana, per arrivare all’autobiografico „Synonyms“ (vincitore del festival di Berlino), in cui il suo alter ego – convinto di essere nato in Israele per errore – si trasferisce a Parigi giurando di non parlare mai più una parola di ebraico, fino a „Ahed’s Knee“ (Premio della Giuria a Cannes), un regista si scontra con la deriva di un paese in cui non vede alcuna possibilità di salvezza. Lapid è geniale, non conosce mezze misure, sempre cinico e provocatorio, non poteva certo utilizzare mezzi termini nel suo primo film „post 7 Ottobre“. Uno specchio sulla decadenza della società israeliana e del morbo che attanaglia chi decide di approvare una „guerra“ criminale, raccontato attraverso le vicissitudini di un musicista jazz che fatica ad arrivare a fine mese che decide di vendere la propria anima semplicemente dicendo „YES“ („ken“ in ebraico, ndr) alla classe dirigente, accettando di scrivere la musica per un nuovo inno nazionale, dal testo incredibilmente violento. “Submission is happiness”, si dicono il protagonista e la moglie per consolarsi, mentre continuano a scendere a compromessi morali che li segnano fino a farsi schifo. Una sorta di „Zone of Interest“ farsesco ed eccessivo, dove non c’è neanche più „il muro del giardino“, dove la vita continua allegra mentre immagini dei massacri a Gaza passano sugli schermi dei telefoni di una società senza speranza di redenzione, che continua a dire „SÌ“ a tutto.
DIE MY LOVE di Lynne Ramsay
Canada, 2025, 118’
Leggenda narra che Martin Scorsese ha letto il romanzo da cui è tratto questo film nel suo book club („Ammazzati amore mio“ di Ariana Harwicz) e l’ha immediatamente inviato alla casa di produzione di Jennifer Lawrence dicendo che era un ruolo perfetto per lei. Chi meglio della regina del cinema indipendente europeo Lynne Ramsay per dirigere la storia di una madre travolta da una spirale di follia tra depressione post-partum e la fine del proprio matrimonio? Dopo Tilda Swinton in „We Need to Talk About Kevin“ e Joaquin Phoenix in „You Were Never Really Here“ (in Italia uscito col fuorviante titolo „A Beautiful Day“), la Lawrence continua la serie di personaggi in piena crisi psicotica circondati da un mondo violento e incomprensibile, e Lynne Ramsay non si trattiene su nulla, provare per credere.
„EDDINGTON“ di Ari Aster
Stati Uniti, 2025, 148’
Uno dei film più discussi dell’anno, si ama o si odia. Ari Aster non è mai stato un maestro della sottigliezza e di certo non ha scelto raffinate metafore o velati simbolismi per questo amaro, caustico, labirintico spaccato degli Stati Uniti contemporanei (nello specifico gli USA durante il COVID) ma, miracolosamente, funziona. Una immaginaria cittadina del New Mexico è turbata dalle restrizioni per contenere la pandemia, la prossima elezione del sindaco, le proteste del movimento Black Lives Matter, uno sceriffo non proprio lucido, problemi personali e psicosi collettive acutizzate da una costante presenza dei social media. Il tutto sotto l’ombra oscura e minacciosa di un enorme data center per l’intelligenza artificiale che sta per essere costruito nella regione. Aster è forse il primo a riuscire a rappresentare in maniera corretta e non imbarazzante la maniera in cui gli schermi dominano le nostre vite, e ciò che ne consegue. Tra il grottesco, il drammatico, la satira sociale e tanto tanto umorismo nero con la notte, Aster non risparmia quasi nessuno e gli eventi delle ultime settimane hanno confermato che la sua visione è corretto.
„QUEENS OF THE DEAD“ di Tina Romero
Stati Uniti, 2025, 101’
Gli zombie sono un’affare di famiglia. George Romero con i suoi film aveva portato avanti messaggi anti-capitalisti e antirazzisti, non sorprende quindi che la figlia abbia deciso di raccogliere l’eredità del padre debuttando con un film queer zombie. Allo scoppiare di un apocalisse zombie a Brooklyn, un variopinto gruppo di drag queen, giovani lgbtq nemici-amici deve sopravvivere all’attacco dei morti viventi utilizzando le proprie personalissime skills. Horror, commedia, atto d’amore nei confronti della comunità queer.
„IF I HAD LEGS I’D KICK YOU“ di Mary Bronstein
Stati Uniti, 2025, 113’
Un commento che ritorna frequentemente nei commenti e recensioni – tutte stellari – di questo film è: „Stupendo, non credo che lo rivedrò mai più“. Mary Bronstein decide di mettere in scena la vita di una madre la cui vita sta andando a rotoli come un assalto frontale contro tutti i sensi dello spettatore. Una sorta di „Uncut Gems“ al femminile (non a caso, il film è prodotto da Josh Safdie) incentrato sulla esplosiva performance di Rose Byrne (che ha vinto l’Orso d’argento al Festival di Berlino) che deve affrontare la misteriosa malattia della figlia, un marito assente, uno psicoterapeuta molto particolare e perché no, anche un allagamento a casa che la costringe ad andare a vivere in un motel.
HAMNET di Chloé Zhao
Regno Unito, 2025, 125′
Chloé Zaho torna a dirigere dopo il grande successo agli Oscar e un’improbabile escursione nel mondo dei supereroi, adattando un romanzo di fiction storica di grande successo. Paul Mescal è William Shakespeare e Jessie Buckley (una delle più interessanti attrici in circolazione, già in prima linea come vincitrice ai prossimi Oscar) è sua moglie. Il film immagina come la morte del loro figlio abbia portato alla creazione della più grande tragedia del drammaturgo inglese. Un’esplorazione del lutto anto straziante quanto sublime.
GOOD BOY di Jan Komasa
Polonia, Regno Unito, 2025, 110’
Prodotto da Jerzy Skolimowski, „Good Boy“ è il primo film in lingua inglese del candidato all’Oscar Jan Komasa (Corpus Christi). Il diciannovenne Tommy è molto soddisfatto della sua vita dedita al crimine e alla violenza, finché un giorno si risveglia con una catena al collo nello scantinato di una isolata villetta. D’improvviso si ritrova al centro di una famiglia disfunzionale, guidata da Chris – che lo ha rapito – e la sua misteriosa moglie Kathryn. Marito e moglie hanno deciso che devono trasformare Tommy in un bravo ragazzo, attraverso una riabilitazione forzata. Il ragazzo però vuole solo scappare. Originale, eccessivo, cupo, a volte claustrofobico ma anche molto divertente, grazie ai tocchi di black humor tipici del regista polacco.
KOTA di György Pálfi
Germania, Grecia, Ungheria, 2025, 96’
A quasi vent’anni dall’esplosivo „Taxidermia“, il regista torna con un altro film completamente fuori dagli schemi. „KOTA“ è la storia di una gallina. Una gallina determinata e tenace che dopo essere scappata da un allevamento intensivo, trova rifugio nel retro di un ristorante. La sua vita quindi trascorre tra amore, conflitti con altri animali e gli esseri umani, sempre occupata a dover difendere le proprie uova dal malvagio proprietario del ristorante. Una tragicommedia in cui le battaglie quotidiane di una gallina riflettono quelle degli esseri umani, nello specifico l’esperienza dei migranti. Nessuno degli animali (otto galline diverse hanno interpretato la protagonista) è stato maltrattato nella realizzazione di questo film.