Altrove abbiamo notato come, a Roma, questo dicembre 2021 sia un mese meno povero di appuntamenti musicali rispetto al solito in questo periodo dell’anno e rispetto alle aspettative tendenzialmente basse prospettate dalla coda lunga della pandemia. Il motivo risiede in una complessità di fattori sicuramente legati a possibili incastri fortuiti, ma in massima parte a motivazioni connesse alla struttura di una città che per la cultura poggia sul lavoro di varie piccole e ostinate realtà indipendenti e all’interazione di questa base con le evoluzioni e i cortocircuiti del momento storico attraversato. Considerato che negli ultimi tempi, anche per la musica dal vivo, si è parlato sempre più spesso della „filiera“ che c’è dietro l’organizzazione di un concerto (e di quanto questa abbia sofferto nella sua totalità da marzo 2020), ci piace tirare fuori anche il vecchio concetto di „consumo critico“ applicato alla cultura, e alla necessità che il pubblico sia consapevole dei processi, delle difficoltà ma anche delle „buone pratiche“ che stanno dietro l’organizzazione di un concerto e una rassegna, trovandosi anche nella condizione di scegliere cosa andare ad ascoltare in primo luogo in base alla proposta artistica, ma anche con una consapevolezza rispetto ad approcci e progetti più a lungo termine che abbiano un impatto diverso sulla città e sulle dinamiche che la tengono (o no) in vita. Una parte di questi appuntamenti che fanno da colonna sonora a questo mese di dicembre è stata resa possibile dalla presenza di fondi pubblici: eventi, concerti, rassegne dove la proposta artistica più sotterranea e di ricerca incontra, e diciamo pure finalmente, un supporto istituzionale – che troppo spesso, invece, troviamo in manifestazioni sempre orientate al mainstream o comunque a scelte che puntano sul sicuro e sul grande pubblico, lasciando indietro una circolazione più variegata e coraggiosa di idee e contenuti.
L’esperienza di questi mesi ha rafforzato in noi una convinzione: è necessaria una maggiore collaborazione tra gli spazi che sono sopravvissuti – per fortuna non pochi – e che tutt’ora resistono
In quest’ottica abbiamo provato a raccontare qualcosa di più di FILO – Festival Itinerante Libero Obliquo, iniziativa ideata dall’impresa sociale d’Ada srl e realizzata grazie ai fondi della Regione, che sul concetto di filo e legame ha costruito non solo l’aspetto pratico della rassegna – ovvero il coinvolgimento di diverse venue romane – ma anche un discorso più ampio sulle sinergie di un territorio che sono operative, artistiche, di metodo, andando a proporre tre diversi appuntamenti che portano su palchi anche più grandi di quanto non sarebbe stato, artisti e progetti dalla vocazione underground come Movie Star Junkies, WOW, Bobby Joe Long’s Friendship Party e l’originale esperimento Donnacirco, concept realizzato dalla musicista Gianfranca Montedoro su testi di Paola Pallottino, primo disco “femminista” pubblicato in Italia oggi riportato su un palco da un collettivo speciale di musiciste. Giuseppe Giannetti racconta la genesi della rassegna itinerante: «FILO nasce in primo luogo dal concetto di resistenza: abbiamo trascorso mesi difficilissimi, ne abbiamo parlato tanto non è il caso di ricordare quanto il mondo della musica e della cultura abbia sofferto a tutti i livelli. Tanto meno vogliamo qui approfondire l’impressione di una ripartenza che c’è stata ma che potrebbe non durare a lungo. Questi mesi di chiusura hanno inevitabilmente avvicinato spazi anche molto diversi tra loro ma che vivevano problematiche identiche. Lo abbiamo visto con L’Arci Roma, che ha tenuto assieme la rete dei circoli addirittura rafforzando i “fili” che la compongono, cercando soluzioni utili anche per il mondo estraneo all’associazionismo. E così sono nate tante altre reti anche a livello nazionale: innumerevoli riunioni su zoom e gruppi WhatsApp immensi che ci hanno portato ad avere una consapevolezza più matura del tessuto culturale preesistente della città e non solo. Dunque l’esperienza di questi mesi ha rafforzato in noi una convinzione: è necessaria una maggiore collaborazione tra gli spazi che sono sopravvissuti – per fortuna non pochi – e che tutt’ora resistono, è necessario uscire dalle nostre bolle e farlo non solo verso la conquista di spazi pubblici e progetti istituzionali calati dall’alto, ma anche verso il privato autonomo che sostiene strutture impegnative tutto l’anno. Ci sono realtà che hanno idee, altre che hanno spazi, altre ancora che hanno grandi capacità nel reperire fondi, altre dispongono di mezzi e professionalità. La passione potrebbe essere la chiave per incendiare queste sinergie e forse questo è l’approccio necessario per avvicinare realmente la proposta culturale di Roma a quella delle grandi capitali europee».
I primi tre appuntamenti di FILO – perché il festival esprime la volontà di diventare una rassegna a cadenza fissa dell’autunno romano – coinvolgeranno tre venue di media grandezza e attive in modalità diverse nella scena underground romana come Monk, Angelo Mai e Largo Venue ed è chiaro che quella di una rassegna itinerante è in primo luogo anche una necessità logistica e non solo una questione di metodo. «Capita sempre più spesso che molti artisti che apprezziamo e/o progetti che seguiamo non si possano poi ospitare all’interno di Circoli come il Trenta Formiche per banali limiti fisici, questioni di spazio, sia sul palco che sotto. All’aspetto pratico si aggiunge la consapevolezza della necessità di creare progetti allargati, condivisibili ma sostenibili. Le piccole realtà che spesso rappresentano il fermento culturale più vivace e interessante dovrebbero avere il coraggio di uscire fuori e parlare con chiunque, e provare ad allargare gli effetti di un lavoro di “emancipazione sociale-culturale” su una platea più ampia. Questo servirebbe anche a spiegare all’esterno ciò che creiamo all’interno delle nostre mura 365 giorni l’anno. E spesso dimentichiamo che a livello di sostenibilità economica della proposta culturale queste realtà spesso hanno un know-how prezioso, che potrebbe non avere chi è abituato a progettare con fondi pubblici. È qualcosa in cui crediamo da tempo, un lavoro che abbiamo iniziato già nel 2012 con Pigneto Spazio Aperto e proseguito successivamente coinvolgendo vari circoli arci e spazi sociali nella progettazione delle ultime 6 edizioni di Villa Ada Roma Incontra il Mondo».
Le piccole realtà che rappresentano il fermento culturale più vivace e interessante della città dovrebbero avere il coraggio di uscire fuori e parlare con chiunque, provando ad allargare gli effetti di un lavoro di “emancipazione sociale-culturale” su una platea più ampia
A livello artistico, i primi ospiti di FILO arrivano direttamente dall’underground italiano e seguono percorsi sonori anche molto differenti: dal garage punk ruvido dei Movie Star Junkies al progetto corale di Donnacirco, con varie musiciste della scena italiana per la prima volta su un unico palco, attraverso due nome italiani diversi tra loro come i Wow (con il nuovo „Falene“ su Maple Death Records e la voce (stonata!) fuori dal coro di Bobby Joe Long. Ma in particolare, «FILO come progetto nasce nel periodo delle prime riaperture in cui le capienze limitate e le sedute obbligatorie strozzavano non solo le strutture, ma inibivano la performance live di molti artisti che vedevano interrotto un naturale percorso di crescita anche a livello di creazione di un proprio pubblico, avvilendo anche quelle dinamiche commerciali da cui tanto ci sentiamo distanti». L’idea è quella di non considerare i fondi pubblici come un appoggio che snaturi l’impegno delle realtà indipendenti ma, anzi, di amplificarlo. «I progetti allargati, condivisi, diffusi, itineranti, ambiziosi di cui parlo attualmente rappresentano il modo più immediato per “finanziare” la cultura indipendente, libera e non monetizzabile. La nostra unione deve pretendere dalla politica la tutela incondizionata degli spazi che producono cultura libera e sempre maggiori finanziamenti per idee e progetti coraggiosi. È inutile dire che senza questo sforzo nel giro di pochi anni avremo un appiattimento generalizzato che premierà solo la proposta culturale più monetizzabile fino ad avvilirla totalmente, senza dare respiro ad un processo continuo di crescita e ricerca che va sostenuto a prescindere dalla sua commercializzazione. Pare che qualcosa in questo senso si stia muovendo e che siano stati molti i progetti finanziati a livello europeo e regionale. Ma un investimento così diffuso dovrebbe a mio avviso essere la norma e non figlio di una situazione emergenziale. Ne va della qualità della vita di tutt*».