Dopo poco più di tre anni la Velostazione Dynamo è alle corde. Colpa della burocrazia che sta causando ritardi ad alcuni lavori di ristrutturazione dello spazio che ormai si sono protratti troppo.
Parcheggio per le biciclette, ma soprattutto laboratorio per la mobilità sostenibile, Dynamo nacque nel 2015 da un’idea dell’Associazione Salvaiciclisti Bologna, vincitrice di Incredibol, il bando coordinato dal Comune di Bologna e sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna per sostenere la crescita del settore culturale e creativo. Un luogo diventato in poco tempo un punto di riferimento per tutti i ciclisti e per chiunque sogni una città con meno auto e smog; un simbolo di una certa visione di futuro, che a molti non piace per nulla. Ci siamo quindi chiesti se dietro alle lungaggini burocratiche c’è qualcos’altro e ne abbiamo parlato con Simona Larghetti, presidente di Salvaiciclisti e project manager della Velostazione.
Cosa sta succedendo?
A ottobre 2018 è stata annunciata la ristrutturazione che doveva portare Dynamo a essere uno spazio più fruibile e accogliente (dopo 3 anni di annunci, il progetto definitivo era già stato presentato a Bologna Design Week del 2016) per cui metà dell’area è stata sgombrata. Il periodo dei lavori doveva essere di 9 mesi, in seguito ai quali si doveva partire con una nuova gestione; nel frattempo ci era stato promesso che il cantiere sarebbe stato fatto a tappe per garantire la continuità dei servizi bici, in particolare quello del parcheggio, che ha circa 1000 utenti abbonati. Abbiamo, quindi, disallestito l’area eventi, rinunciando a metà della nostra attività. Ma purtroppo il cantiere non è arrivato a causa di ulteriori ritardi burocratici. Ci hanno detto che inizierà tra 2 mesi, ad aprile, proprio quando inizia l’alta stagione. In queste condizioni la sostenibilità economica del progetto è a forte rischio.
La politica locale ha perso interesse per l’argomento?
Non penso si tratti di mancanza di interesse: lo vediamo anche sulle strade che l’uso della bicicletta è in costante aumento e aumenta anche la quota del ciclismo urbano consapevole. Quante persone in più vediamo con il casco, con le borse laterali, con il carrellino per portare i bimbi? Sono persone che hanno scelto la mobilità sostenibile con ratio, non per mancanza di possibilità. In questo momento di trasformazioni una realtà come la nostra è un luogo fondamentale per indirizzare questa richiesta di cambiamento, e pensiamo che questo sia noto anche a chi amministra. L’impressione è che si tratti piuttosto di una discrepanza tra la volontà di fare innovazione e la capacità amministrativa di gestire processi complessi e inediti: noi eroghiamo un servizio pubblico senza sovvenzioni pubbliche, abitiamo uno spazio pubblico con attività di una comunità che ha una parte commerciale, una culturale e anche una dove si fa politica dal basso con tutta l’attività di Salvaiciclisti.
Quanta gente lavora oggi lì e quanti posti di lavoro andrebbero persi?
Questa estate, con l’area eventi aperta avevamo 23 lavoratori stabili. Ora siamo 13 e altri 2 stanno orientandosi su altro, data la precarietà della situazione.
E cosa ne sarebbe di quello spazio? Cosa ne sarebbe di voi?
Dello spazio probabilmente sarebbe chiuso per un lungo periodo, in attesa di completare i lavori e trovare dei nuovi gestori, noi siamo attivi per l’avvio di altri progetti perché il gruppo di lavoro è solido e capace e siamo convinti che le bike solutions siano un bisogno che va oltre la velostazione. Abbiamo inventato un modello di servizi per la mobilità da zero, lo stanno copiando Rimini, Pesaro, Cesena. Questo patrimonio non può essere disperso. Non si tratta solo di stipendi, ma di un progetto cooperativo che ha ancora parecchio da dare alla città.
Cos’è cambiato dall’apertura in meglio e in peggio?
La comunità che pedala è molto grande, pensate che a Bologna ci sono 60.000 ciclisti urbani regolari: noi ne serviamo certamente solo una parte, ma pensiamo di aver contribuito positivamente all’incremento della mobilità ciclistica. Oltre ai nostri utenti del parcheggio serviamo anche 5000 noleggi bici ai turisti, 7000 riparazioni, migliaia di marchiature l’anno e pubblichiamo guide gratuite per migliorare la vita di chi pedala, da come difendersi dai furti alla manutenzione, organizziamo corsi di ciclomeccanica e ospitiamo cicloviaggiatori.
In peggio è cambiato il livello di conflittualità sulle strade: parlare di ciclisti selvaggi e sparare multe a raffica solo a chi va contromano (e non a chi non dà la precedenza ai pedoni, ad esempio) non ha prodotto nulla se non un inasprimento dei pregiudizi verso i ciclisti (che sono indisciplinati più o meno nella stessa misura di tutti gli altri utenti della strada, cosa abbastanza normale dato che il ciclista, forse lo dimentichiamo, è una persona come tutte le altre). Puntare il dito verso i deboli non ha avuto conseguenze positive, anzi registriamo un aumento degli incidenti che coinvolgono pedoni ad opera di auto. Ora, in contemporanea, si lavora sul Piano Urbano della Mobilità sostenibile, puntando a triplicare il numero dei ciclisti in 10 anni (ne abbiamo bisogno se vogliamo continuare a respirare), l’Assessore Priolo sta lavorando bene e con coraggio a questo piano, ma serve più coerenza e coesione da parte di tutta la macchina amministrativa, o sarà impossibile essere credibili agli occhi dei cittadini ai quali chiediamo cambiamenti di abitudini.
Oggi leggiamo di una proposta del governo che modificherebbe il codice della strada, consentendo ai ciclisti di andare contromano nelle zone con limite di velocità a 30 km/h. Che ne pensi?
La riforma del codice della strada sarebbe urgentissima perché l’attuale codice è fermo al 1992 e la bici (definita sempre „velocipede“) non è inquadrata come elemento della mobilità urbana, ma alla stregua di trattori e asini, da cui la famosa norma di „tenere la destra“, in città dove c’è il limite dei 30, pericolosa e insensata. Purtroppo la mia impressione è che, anche se tante norme proposte sono assolutamente di buon senso (come il doppio senso ciclabile, non chiamiamolo contromano, se è permesso non è contromano, si sta sempre a destra, mica a sinistra), il risultato è un accrocchio tra norme proposte da Lega e M5S: si vuole barattare il doppio senso con i 150 km/h in autostrada o il casco obbligatorio per i ciclisti, due follie che farebbero aumentare gli incidenti mortali e diminuire l’uso della bicicletta, rispettivamente, come ci dicono quei paesi in cui queste norme sono state applicate e poi ritirate. Serve coraggio, e coerenza, e una visione politica che in questo momento non mi sembra esserci.
Quali i desideri per il futuro?
Togliere colore politico all’emergenza mobilità urbana: si tratta della sopravvivenza delle città, abbiamo tutti bisogno di vivere meglio e trovare il coraggio di farlo. La bicicletta è il mezzo del futuro.