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D’you know what they mean? Gli Oasis di ‚Supersonic‘ nei ricordi degli ‚addetti ai lavori‘ che hanno vissuto quegli anni.

Dal 7 al 9 novembre nelle sale cinematografiche italiane arriva 'Supersonic', film-documentario dedicato ai primi (e migliori) anni di vita degli Oasis, culminati nel concerto a Knebworth del 1996. Sette addetti ai lavori di Milano e Roma - Lele Sacchi, Francesco Mandelli, Andrea Dulio, Romina Amidei, Andrea Esu, Fabio Luzietti e Pietro Di Dionisio - ci raccontano come la band di Manchester ha avuto un impatto sulla loro vita personale e professionale. E sulle scene 'indie' della città.

Geschrieben von Matteo De Santis il 3 November 2016
Aggiornato il 21 März 2019

ANDREA DULIO

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Dopo molti anni alla Emi e alla Sony, Andrea Dulio ha seguito il marketing e la promozione in Italia per gli Oasis. Oggi lavora in esterna per una società di marketing e promozione e per il management di Ignition.

«Sul finire del 1993, dopo un periodo passato alla Emi, lavoravo già alla Sony, nel settore promozione internazionale. All’epoca avevo 26 anni: sono del 1967, come Noel Gallagher. In quegli anni la Sony, con le sue sottodivisioni Columbia e Epic, gestiva anche il catalogo e le uscite dei gruppi della Creation Records. Con Massimo Bonelli, il mio capo di allora e una delle persone a cui voglio più bene, e Marco Boraso, un amico vero che adesso lavora in Live Nation, facemmo uno scambio di artisti interno per prenderci gli Oasis e occuparci di loro. L’ascolto della prima demo ci aveva colpito: ci era entrata dentro, volevamo assolutamente avere a che fare con questa nuova band. Le prime cose, più a meno a cavallo con l’uscita del singolo di Whatever, le organizzai insieme a Graziano Ostuni. All’inizio, lavorativamente parlando, non fu facilissimo: gli Oasis erano un gruppo che faceva pochissima promozione. Il primo incontro fu al concerto del 1995 al Rolling Stone. Mi ricordo che Liam aveva l’otite e Roberto De Luca, allora numero uno di Milano Concerti e adesso presidente di Live Nation Italia, il promoter che ha organizzato tutte le loro date italiane, era un po‘ preoccupato. Il live, comunque, filò via senza problemi e andò benissimo.

Il rapporto personale vero e proprio con Noel e Liam partì qualche mese dopo, in occasione dello show in un Palalido completamente esaurito per il tour di What’s The Story? Morning Glory?. Portammo a compimento quella che allora sembrava un’impresa e dopo divenne una tranquilla e normale consuetudine: organizzare un’intera giornata di attività promozionali. La regola era non mettere insieme i due fratelli. L’intervistato designato era quasi sempre Noel, ma quel giorno riuscimmo anche a fare qualcosa di diverso. Dividemmo i Gallagher: portammo Noel a Radio Deejay, dove suonò anche un paio di pezzi in acustico all’interno del programma Pop News di Marco Biondi, e Liam davanti alle telecamere per un’intervista televisiva a Target, una trasmissione che andava in onda su Canale 5. La cosa più complicata, all’atto pratico, fu tradurre quello che aveva detto Liam. L’intervista era incredibilmente divertente, peccato che fosse in uno strettissimo dialetto mancuniano. Quelli di Target mi rimandarono indietro la registrazione dicendomi «Guarda, noi non capiamo una parola, aiutaci nella traduzione”. Spedimmo la videocassetta all’estero e alla fine, pur con qualche difficoltà, riuscimmo a trasmettere l’intervista. Una volta decifrato il contenuto, capimmo che aveva sparato a zero su Jon Bon Jovi per i pantaloni di pelle che indossava. Alla domanda «Quale aspetto deve avere una star del rock’n’roll?», Liam rispose che il suo andava bene e descrisse l’abbigliamento di Jon Bon Jovi per indicare il modo in cui non si doveva assolutamente apparire. Fu un’intervista, anche per questo, spassosissima.
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Si trattava del primo storico passaggio televisivo italiano degli Oasis in un programma non musicale: ne conservo ancora gelosamente la vhs. In radio, invece, gli Oasis erano già qualcuno. Radio Deejay e Radio 105 intuirono subito il potenziale e spinsero la band nel migliore dei modi. Deejay, soprattutto con Marco Biondi e Linus, diventò quasi una sorta di Radio Oasis. Live Forever e Whatever, grazie ad Angelo De Robertis, vennero scelte per il Disco Lancio di 105. Nel programma di quella storica giornata del concerto al Palalido, oltre alle interviste di Noel e Liam, ci fu spazio anche per la consegna del Disco d’Oro. Gli Oasis sono sempre stati un gruppo poco propenso alle cerimonie istituzionali e molto più votato al contatto con i fan. Infatti Liam ricevette il Disco d’Oro indossando un paio di occhiali finti di carnevale, quelli con gli occhi che escono di fuori. Se ci ripenso, mi viene ancora da ridere per quanto fu assurdo e allo stesso tempo esilarante. Comunque, alla fine della fiera, il concerto fu un successone. E da quel giorno, in un certo senso, cominciò il rapporto privilegiato degli Oasis con l’Italia. A livello promozionale, con il loro permesso, li trattammo come se fossero una band italiana e la scelta funzionò. I gruppi internazionali, di solito, fanno uscire un disco ogni tre o quattro anni, passano da queste parti per un singolo evento o un concerto e vanno subito via. Con gli Oasis, invece, optammo per applicare la politica, molto più capillare, utilizzata solitamente per promuovere gli artisti nostrani. Una decisione che si rivelò azzeccata perché ci ha permesso di fare di tutto: interviste radiofoniche e televisive, apparizioni nelle trasmissioni più popolari, Sanremo, Festivalbar e chi più ne ha più ne metta.

Inizialmente, in occasione delle uscite dei primi dischi, l’attività promozionale toccò quasi sempre a Noel. La formula era più o meno sempre la stessa: intervista e set acustico. In occasione della pubblicazione dell’ultimo album Dig Out Your Soul, quando Noel fu aggredito sul palco a Toronto, il compito venne delegato a Liam, accompagnato da Andy Bell. Nel frattempo, partendo dallo storico concerto del Palalido, anche il mio rapporto personale con i due fratelli diventò molto più solido e approfondito. Non era solo un legame di lavoro, ma ormai si trattava di un’amicizia che sfociava in una assidua frequentazione personale. Con Noel, ad esempio, ho condiviso anche altre cose al di fuori dell’aspetto discografico, soprattutto grazie al calcio. Noel è un autentico appassionato. Uno che quando veniva in Italia leggeva la Gazzetta dello Sport, per intenderci. Insieme, per via dell’amicizia con Alex Del Piero, siamo andati a vedere la Nazionale ai Mondiali del 2006: ai quarti di finale, alla semifinale di Dortmund con la Germania e alla finale di Berlino con la Francia eravamo allo stadio. Abbiamo vissuto fianco a fianco anche qualche partita del Manchester City, partendo in treno da Londra. Uno dei migliori amici e compagni di stadio di Noel è Mike Pickering, lo storico dj dell‘Haçienda. Ecco, gli Oasis, fondamentalmente, sono gli amici della comitiva del bar sotto casa. Sono stati gli unici artisti, tra i tantissimi che ho dovuto frequentare per lavoro, a cui non è mai fregato niente di andare nelle discoteche con le modelle o i vip. Anche se a livello di nottate non avevano rivali, sono sempre stati tipi da cena – Liam ogni volta mangia pasta alla bolognese – e lunghe bevute al bar. Di Milano, infatti, conoscono tutti i bar degli alberghi in cui hanno pernottato. Sono stati al Park Hyatt, al Principe di Savoia e al Westin Palace e ogni volta succedeva la stessa identica cosa: trasformavano il bar in un vero e proprio pub aperto anche ai fan. Se c’era qualche partita in televisione, se la guardavano tutti insieme davanti a qualche birra e poi tiravano tardi cazzeggiando, parlando di calcio o di musica. Una volta a Bologna, dove alloggiavano in occasione di un concerto al Vox Club di Nonantola, il televisore della stanza di Noel non funzionava. Un problema non di poco conto, visto che quel giorno c’erano i Mondiali ed era in programma Inghilterra-Brasile. Secondo voi che cosa fece Noel? Se ne andò tranquillamente a un bar vicino all’albergo, ordinò una cosa da bere e si guardò la partita in mezzo ai normali clienti del posto.

Da questo punto di vista, gli Oasis sono sempre stati una band molto più vicina alla gente che stava sulla strada insieme a loro piuttosto che ai papaveri dei piani alti. Mi ricordo che un giorno, a Milano, Liam si recò al negozio di Prada e comprò un bastone di legno con i pomelli dorati. In hotel, poco dopo il suo rientro, si presentò un pezzo grosso della Sony inglese che voleva a tutti i costi salutare il gruppo. Liam, invece che dargli la mano, gli allungò, sghignazzando, il bastone: il discografico, spiazzato da quella reazione, fu costretto a stringere l’oggetto e ad andarsene senza una stretta di mano. Con noi della manovalanza, invece, sono sempre state delle persone d’oro. La loro semplicità è un aspetto che non passerà inosservato agli occhi dei fan quando andranno al cinema a vedere Supersonic. Il documentario, infatti, ritrae non solo il percorso musicale della band, ma anche le loro vite. Lo dico perché ho avuto la fortuna di assistere alla prima londinese. Per me, che ero presente a Knebworth e in molti altri momenti del film da osservatore privilegiato, è stato come ripercorrere una parte dei venti anni più belli della mia vita. Sia dal punto di vista professionale che a livello emotivo. In fin dei conti, a quasi 50 anni, mi reputo fortunato nell’avere avuto a che fare direttamente con gli Oasis. E di continuare a lavorare con loro e per loro».

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