Quante volte siamo partiti DA ZERO?
Quante volte eravamo lì, abbiamo visto cambiare tutto ma ce ne siamo resi conto solo dopo, come se fosse successo per magia? Qual è il segreto?
Zero riparte dalla città, in un viaggio avanti e indietro sulla linea del tempo. Dagli ultimi 30 anni del passato, da cui sembriamo lontanissimi e da cui prendere il meglio. Dal presente in cui è impossibile andare avanti, è impossibile tornare indietro, in cui siamo immobili e soffriamo. Dal futuro che pretende immaginazione.
—
Nel settembre del 2018 mezza Roma si è fermata per salutare la Karl du Pigné, per l’anagrafe – e a questo punto solo per l’anagrafe – Andrea Berardicurti. Drag queen della primissima ora, protagonista di un’infinità di Pride, la Karl ha fatto anche parte dello staff del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, di cui per diversi anni è stata l’ufficio stampa. La sua commemorazione si è svolta proprio lì, nei locali del Circolo, a Via Efeso (zona San Paolo), tra canzoni di Madonna sparate a cannone, foto giganti appese alle pareti, alcuni dei suoi abiti in mostra e una bandiera arcobaleno gigante sulla bara. Se n’è andata sulle note di Annie Lennox, in omaggio a una delle performance principali del suo repertorio, e c’è anche chi l’ha salutata indossando dei vestiti vertiginosi, come lei probabilmente avrebbe voluto. Quel funerale da un certo punto di vista è stato la chiusura di un cerchio lungo oltre 30 anni che ha visto il Circolo Mario Mieli trasformarsi da luogo in cui si cercava riparo dalla morte causata dall’HIV, “misteriosa” e avvolta da uno stigma sociale pesantissimo, a luogo di commemorazione libera, comunitaria e alla luce del sole.
La storia del Circolo inizia a Milano, perché Milano è stata la città natale di Mario Mieli, tra le figure più importanti del movimento LGBTQ italiano e sicuramente una delle più incendiarie. Fu membro della prima ora del Fuori!, Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, che all’epoca della sua fondazione (1971) era di ispirazione marxista; fondò i Collettivi Omosessuali Milanesi, dopo essere entrato in rotta di collisione con il direttivo del Fuori! per la decisione di federarsi ufficialmente con il Partito Radicale; è stato attivissimo in ambito teatrale, con „La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo… ebbene sì!“ come suo principale lascito; scrisse per Einaudi un testo fondamentale e pionieristico quale „Elementi di critica omosessuale“. La sua fu una lotta non solo per i riconoscimenti e i diritti della comunità omosessuale, ma una vera e propria crociata contro categorizzazioni e griglie, contro una sessualità a senso unico, a favore, invece, di una sessualità plurale e polimorfa, che risiede naturalmente in ogni essere vivente, salvo poi venire castrata dal pensiero e dalle strutture sociali dominanti. Transessualità come attraversamento dell’intero arco della sessualità, si potrebbe riassumere. Mario Mieli divorava libri, ma divorava anche provocazioni, di cui l’indossare un abbigliamento sgargiante e marcatamente femminile fu tra le meno controverse – su di sé e sul suo corpo avrebbe sperimentato ben altro. Nel 1983 la morte, per suicidio, a pochi giorni dal suo trentunesimo compleanno.
Nello stesso anno a Roma nasceva il Circolo che ancora oggi porta il suo nome. A dargli vita furono due altre realtà sempre legate al movimento LGBTQ dell’epoca: il ramo romano dell’associazione Fuori! e il Collettivo Narciso. Il neonato Circolo dovette subito fronteggiare il peggiore dei nemici, che in poco tempo aveva sbaragliato lo scenario degli anni 70 illuminato dalle prime rivendicazioni, dai primi momenti di liberazione e di manifestazione d’orgoglio. L’HIV, un virus – già, un altro virus – all’epoca sconosciuto che nella disinformazione e nel bigottismo generale fu rinominato e consegnato all’immaginario collettivo come “la peste gay”. Nel giro di pochi anni dunque, la comunità LGBTQ passò dal rivendicare in piazza al doversi nascondere perché marchiata come infetta. Al dover trovare dei porti sicuri dove ottenere informazioni sulla malattia e poter anche ricostruire rapporti umani, perché nel terrore del contagio ci si era ritrovati d’improvviso isolati e respinti dal resto della società. L’HIV fu quindi per diverso tempo il centro di gravità del Circolo e nella sua orbita furono attratti anche l’Istituto Superiore di Sanità e lo Spallanzani – già, proprio gli stessi protagonisti delle vicende Covid del 2020 – che collaborarono affinché fossero effettuati all’interno del Mario Mieli stesso i primi test di positività, con altre attività di ambulatorio che si andarono ad aggiungere ai servizi di informazione e sostegno già presenti. Il Circolo divenne quindi una risorsa di fondamentale importanza per una comunità non solo terrorizzata da una malattia a quel tempo inesorabilmente mortale, ma anche schiacciata da un pregiudizio sociale fortissimo, che aveva tenuto in molti lontano dagli ospedali, tanto era il timore di dover esporre in strutture pubbliche – e quindi in pubblico – la propria sessualità.
Lo stupore di chi entrava in una di quelle feste non nasceva tanto dal fatto di non essere mai stati accolti da una drag queen all’ingresso di una serata, ma dallo sperimentare la libertà di essere sé stessi, senza paure e condizionamenti, in un modo esplosivo e travolgente
Dopo quel primo periodo in cui la paura aveva „oscurato“ l’eredità stravagante e strabordante di Mario Mieli, il Circolo cominciò a crescere: assemblee, dibattiti, riunioni, realizzazione di documenti, un fermento che andava ad alimentare processi individuali di autocoscienza e autoriconoscimento che permisero all’intera comunità di (ri)uscire allo scoperto e rimettere i propri diritti al centro. Contemporaneamente alle iniziative che si svilupparono nei primi anni di vita, alcune rivolte all’interno altre proiettate verso il territorio, si iniziò a ragionare anche a un modo per autofinanziarsi garantendo la sopravvivenza di tutti i servizi attivi. Le prime feste si svolsero nei locali stessi del Circolo, in maniera assolutamente autorganizzata e spontanea: inviti, amici, passaparola dietro i quali c’erano lunghe discussioni, assemblee, momenti di decisione comune. Un processo politico costante, ma dal basso e riguardante le persone, i corpi, la solidarietà, la forza, la dignità. La risposta fu potente, piena di vita e contagiosa a tal punto che ci si dovette spostare all’esterno, in maniera itinerante. Tra le tante sedi, sicuramente c’è da annoverare quella storica, il Villaggio Globale, a Testaccio, negli spazi dell’Ex Mattatoio. Qui nacque quell’idea quasi apocalittica, ma giocosa, di un mondo in cui le vittime trionfano sui propri carnefici, da cui il nome Muccassassina e il logo con il bovino di falce munito che da allora accompagna tutte le feste del Circolo Mario Mieli – a oggi ancora una delle voci principali di finanziamento.
„Facevamo cose pazzesche: come arrivare in discoteca a bordo di un’Ape, o a seguito di un corteo funebre. Era creatività pura, fantasia. Conoscevamo lo Studio 54 di New York e altri locali, ma a guidarci era l’istinto“ *
Altro spazio memorabile fu l‘ex cinema Castello, a due passi da San Pietro, protagonista di una parabola unica: da cinema porno a spazio per feste LGBQT a sede della sala stampa vaticana negli anni giubilari. Poi vennero il Palladium a Garbatella, l’Alpheus, l’organizzazione del primo Pride a Roma nel ’94 e via dicendo. La Mucca è stata non solo il primo party nato in seno alla comunità romana gay, lesbo e trans, ma anche il primo ad aprirsi e ospitare il mondo etero, sancendo un’inversione di ruoli e di dinamiche sociali che sembravano inscalfibili. Lo stupore di chi entrava in una di quelle feste non nasceva tanto dal fatto di non essere mai stato accolto da una drag queen all’ingresso di una serata, ma dallo sperimentare in modo esplosivo e travolgente la libertà di essere sé stessi, senza paure e condizionamenti. Tra quelle drag „di benvenuto“ c’era Vladimir Luxuria – che avrà per anni la direzione artistica del Mucca – e c’era anche lei, la Karl. In circolo, all’alba, tutte assieme e abbracciate a ballare il sirtaki prima di chiudere le danze e aspettare la prossima festa.
* Vladimir Luxuria intervistata da Sabina Minardi su L’Espresso (25/11/2010)