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Special Champions – Il tifo a Milano

Ricordi di tempi gloriosi e il tifo in città secondo il deboscio

Geschrieben von Il Deboscio, Andrea Cazzani, Simone Muzza il 20 Mai 2016
Aggiornato il 13 Februar 2019

Milano è la città dei campioni.
Non tanto perché il 28 si disputerà, per la quarta volta sotto la Madunina, la Finale della coppa per club calcistici più importante al mondo. Soprattutto perché fino ad allora, Milano sarà l’unica città europea con due squadre ad averla vinta.
Non solo: in Europa nessuno ha più Supercoppe Uefa (5, come Barcellona) e men che meno Coppe intercontinentali/Coppe del mondo per club (7).
E vogliamo parlare di San Siro, per tutto il mondo „La Scala del calcio“?
Ecco, inevitabile per Zero, che da 20 anni è la città, raccontare il rapporto fra tanta gloria sportiva e i quartieri, i tifosi, le squadre cittadine (certo, Milan e Inter, ma mica solo loro, sia chiaro). E inevitabile farlo in Grande, come il numero speciale di ZERO che trovate in questi giorni nei locali.
Perché se Milano è la città dei campioni, Zero non vede l’ora di ammirare la Coppa con le orecchie. Ah, pure lei l’han fatta a Milano.

Chi tifa cosa a Milano?

Ne abbiamo parlato con Il Deboscio che ci ha fatto una mappetta. Se clicchi diventa grande e leggi meglio.

Mappa del tifo a Milano secondo il Deboscio
 

Le finali milanesi

Poi, abbiamo interpellato due grandi tifosi di Milan e Inter per farci raccontare i loro ricordi delle finali di Champions.

18 Maggio 1994, il giorno di Milan – Barcellona

Champions_Milan
Seduto a un bancone nero scrostato mi arriva un Negroni. Il bar è vuoto come il bicchiere di un pessimista, o se preferite come la Curva Sud nel 2016 (Negroni rosso – bancone nero – analogia subliminale). E la mente va a una sera di maggio proprio come questa, 1994, Atene, l’allenatore del Barcellona Cruijff che sente la vittoria in tasca (i capisaldi della difesa Baresi e Costacurta squalificati, Papin infortunato…) e invece ne prende 4. Il Genio Savicevic che segna un gol da antologia, a onor del vero forse viziato da un gioco pericoloso, ma come si fa ad annullare una giocata così. Il Sindaco Massaro che da brava riserva fa capire subito come gira la serata con una doppietta nel primo tempo.
La partita perfetta senza una sbavatura. Poi i festeggiamenti, tutti al Milan Club di Cox 18 (sì, c’era un Milan Club), dove in preda ai fumi di chissà quanto alcol pronuncio la celebre frase «finché Berlusconi sta in politica, io non vado più allo stadio» tra gli applausi scroscianti dei presenti.
Vaghi ricordi di un passaggio sul cassone di un camion di muratori bergamaschi rimasti chissà come imbottigliati nel carnevale rossonero, che mi offrono sorsate di grappa e mi lasciano davanti al loro cantiere alle 6 del mattino (alla Bovisa? forse…). Poi penso ai parametri zero, ai maneggi coi procuratori e al presidente-allenatore del giorno d’oggi: il bicchiere rosso è ormai vuoto e resta solo un bancone nero scrostato che ha visto giorni migliori.
Andrea Cazzani
 

22 maggio 2010, il giorno di Inter – Bayern Monaco

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Se pensi tutto il giorno a una cosa importante che ti aspetta in serata, finisce che vivi con l’ansia. Ma se ti sforzi di non pensarci è anche peggio.
Ebbene, immaginate lo stato mentale di un interista classe 1978 il giorno della finale di Champions League Inter-Bayern. Uno che non ha trovato il biglietto per andare a Madrid. Uno che ha assistito a 5 vittorie in Champions dei (io-non-ho-cugini) rossoneri. 5 a zero, non so se mi spiego, corredate da un paio di eliminazioni nei derby, di cui una in semifinale che grida ancora vendetta: due pareggi e addio finale contro la Juve per il gol subito in casa.
In tutta sincerità non ricordo nulla di quella giornata fino al fischio d’inizio. Mia moglie mi ha detto che son stato al parco con mio figlio, all’epoca duenne, e non ho motivi per non crederle. Io ricordo solo la mia maglietta scaramantica di Matthäus e i sudori freddi, freddissimi. «Non si può sempre perdere» canta un interista doc. Che paura…
Ricordo però benissimo cosa successe dopo la doppietta del Principe. La bottiglia di vodka era in freezer, bastava solo stringerle al collo la mia sciarpa nerazzurra. Presi la Punto e mi diressi verso il centro. Mi bloccai quasi subito e parcheggiai contro un palo. Immaginate il delirio: migliaia di interisti in strada a festeggiare una coppa attesa da quell’Inter-Benfica giocata al Meazza il 27 maggio 1965. La bottiglia durò poco più di un’ora, e col passare delle ore ne finirono parecchie. Ticinese-Duomo-Brera: solo Inter.
A un certo punto si sparse la voce che la squadra sarebbe arrivata proprio al Meazza entro l’alba. Tutti si diressero allo stadio: chi barcollando, chi urlando, chi spremendo un clacson ormai agli sgoccioli. L’atmosfera era molto simile a quella di un after con 45 mila persone: ci si abbracciava, si limonava, si piangeva, ci si scambiavano bottiglie, sigarette, cannoni.
A un certo punto finirono pure i Borghetti. I campioni entrarono in campo con la coppa alle 6:08. Il cielo, da nero, si era appena colorato di azzurro.
Simo Pastu