„Ti rendi conto: è il primo lunedì dopo Capodanno, il primo lunedì dopo le ferie di Natale, i pranzi, le bevute moleste, i brindisi, i ko casalinghi e noi, non contente, siamo al bancone del Rita a continuare a bere“. Non ricordo se questa frase storica e gloriosa, a cui seguì un capitombolo altrettanto glorioso, venne pronunciata da me o dalla mia amica, quando quel famoso lunedì ci sedemmo al bancone del Rita, senza una motivazione sensata. Drink dopo drink andava a scomparire anche quella iniziale sensazione di disagio, non tanto per la foga con cui si accompagnava ogni richiesta a Leonardo o a Edoardo – impeccabili come sempre bartender -, quanto per la consapevolezza sempre più nitida di avere tacitamente siglato l’accordo di tornare a casa sbronze.
Il bancone del Rita di storie così ne conosce parecchie. Se fossi Woody Allen, chiamerei senza problemi Edo e gli chiederei il permesso di ambientare proprio in quel bancone una nuova trilogia che ha come protagonista Scarlett Johansson. C’è chi ancora dice che preferiva il vecchio Rita, prima della sua ristrutturazione, io non mi esprimo quasi mai, essendo un frequentatrice più recente, diciamo da quando sono arrivata a Milano sei anni fa. Capto in quei discorsi, a cui si legano sempre dissertazioni che prendono la strada dell’amarcord, la forza che si riconosce a qualcosa che è entrato a far parte della vita delle persone.
Un tempio del bere ma senza la stucchevolezza di troppi riti celebrativi: arrivi, ti siedi e sei consapevole che tutto ciò che succederà ha la prerogativa di essere impeccabile, ma con leggerezza. Nessuna moina, nessun gesto affettato in quello che è tra i migliori bar di tutta Milano. Non abbiamo mai le idee chiare quando entriamo, perché siamo sicuri che i bartender ci leggono nella mente (e negli occhi). Quando ti siedi al bancone del Rita la sequenza di cocktail che arriva è sempre un piacevole viaggio. Mi mancano sentire la shakerata violenta, i discorsi dei vicini, fissarmi a guardare i gesti in sequenza, precisi e sicuri, di una macchina che non sembra avere mai sosta.
Un tempio del bere ma senza la stucchevolezza di troppi riti celebrativi
Mi manca anche sentire Gianluca, che uscendo dalla cucina dice: „Vi faccio provare questo maialino cotto a bassa temperatura per ore, settimane, anni“, ed è sempre una cosa più godoriusa di un’altra, che mandiamo giù a sorsate generose di Margarita, Old Fashioned, Gin Zen. La parte più difficile è quando ci alziamo dallo sgabello, e il mondo ci appare da un’altra prospettiva, quella giusta ovviamente, intorpiditi e felici di questo viaggio chiamato Rita. Teneteci un posto, anche tre o quattro, ché saremo sicuramente lì quando riaprirete. Al bancone.