Per le amanti del vintage, della cotoure e dell’umanità meneghina tutta con le sue idiosincrasie come la sottoscritta, non potere andare al mercato di Piazzale Cuoco è una tortura. Per chi non ci è mai stato, definirlo un mercatino vintage è davvero una reductio ad absurdum; il “mercatino vintage” sarà quello fighetto sui Navigli. Piazzale Cuoco, no, è un’altra cosa, anzi che dico, o meglio scrivo, un’alterità tanto spaziale quanto estetica. Ha un che di circense, ma no Fellini non centra; è più tipo una festa per bambini uscita male senza bambini e senza torte, ma con una certa effervescenza di un qualcosa che a un certo punto potrebbe farti ridere o sorprenderti. A volte ci sono dei gonfiabili e dei VIP; ecco adesso che ci penso ha anche un che di Mediaset anni Ottanta.
Mi ricordo ancora quella volta che trovai un paio di Miu Miu in mezzo a delle scatolette di tonno; vuoi mettere la soddisfazione? Ero cosciente che il venditore non sapesse neanche il loro valore commerciale, tant’è che in un raptus di shopping mattutino (in after) comprai anche le scatolette di tonno; ma sapete la cosa divertente? Be‘, pagai di più quelle che le Miu Miu. Ecco, sì, vorrei uscire (adesso), trovare l’uomo della mia vita, fare una figlia solo per vederla crescere, sperare che abbia il mio stesso numero di scarpe (e senso dell’umorismo), regalargliele tipo al diciottesimo compleanno e raccontarle questa storia. Una storia di tradizione famigliare, almeno della mia e della sua.
Per me Piazzale Cuoco è una Wunderkammer senza pareti e senza fronzoli, dove pezzi di alta moda si mescolano con dentifrici, scatolame, caramelle, animali di ceramica, tv, lavatrici & so on. Il cibo compare a mezzogiorno di solito, arrivano tutte queste donne con gli alimenti nelle gonne, che tutti sappiamo essere rubato dai supermercati e bisogna comprarlo in fretta perché costa poco anche se la sera prima hai fatto fuori mezzo stipendio in gin tonic. Questo lo so, Papa Francisco, non è la cosa più etica del mondo; una mia amica (sempre in after) mi disse che stavamo lottando contro il capitalismo a modo nostro e che non dovevamo quindi sentirci in colpa: Karl Marx mi tele-leggi? Quando studiavo, se non avessi fatto un po’ di spesa lì, non ce l’avrei fatta. Piazzale Cuoco non è Milano, ma Milano è anche Piazzale Cuoco; nello scrivere questa semi-tautologia vorrei la tacita approvazione verbale di Gigi Marzullo.
Mi manca Piazzale Cuoco perché spesso ci andavo diretta dopo aver fatto serata a Macao; ci arrivavo o a piedi o con la 90. Una volta mi ricordo che ci andai con un tipo conosciuto quella sera in taxi; trovai molto chic che pagò lui il tragitto per andare lì, ma no, non fu un vissero felici e contenti. Lui, infatti, non capiva la poesia di quel luogo, dicendo che era sporco – addirittura che aveva paura. Da allora ho introdotto nel mio testing maschile il “Piazzale Cuoco test”; se non ti piace andarci per me finisce qui. Dopo, pensate, scoprii anche che quel tizio non beveva il caffè, vabbè. Neeext.
Ecco, appena finisce questo strazio, non vedo l’ora di farmi una bella pasta al tonno, con il tonno made in Piazzale Cuoco.