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Una storia politecnica

I detti, gli stereotipi, l’aneddotica e la storia del Campus tagliato a metà dalla stazione

quartiere Bovisa

Geschrieben von Piergiorgio Caserini & Emilio Lonardo il 6 April 2022
Aggiornato il 11 April 2022

Alcuni di noi sono sicuramente troppo grandi per poter sostenere uno sguardo a Penny on M.A.R.S. Basta essere nati un poco più in là, tipo nella prima metà degli anni Novanta, ma forse anche nella seconda, certamente prima dei Duemila, perché gli occhi ti facciano male. Musical, balletti, faccine imbellettate di adolescenti rapperini che agitano le braccia in danze young-pop e intanto s’alzano e piroettano tra l’istituto di Musica M.A.R.S., che in realtà è il Politecnico di Milano, Campus Durando: patria del design meneghino.

La serie è del 2018, italiana ma girata in inglese, uno spinoff di un’altra storia simile chiaramente modellata sui format narrativi – stampini – delle storie di successo adolescenziale nelle high school americane, insomma, tipo Si que tu vales con uno sviluppo narrativo scritto e firmato da Tomasino Manosinistra. Per capire come siamo arrivati qui, del perché e del come il Politecnico del Design di Milano compaia sui migliori palinsesti di stream nel mondo, bisogna partire dalle origini.

Sono decine di migliaia. Arrivano dalla provincia. Da Como, da Lecco, da Bergamo, da Brescia, da Lodi. Arrivano dall’Italia, tutta. Arrivano dall’Europa e dal mondo. Gli studenti politecnici.

Per cominciare, il quartiere Politecnico brulica. Brulica di studenti. Decine di migliaia. Arrivano dalla provincia. Da Como, da Lecco, da Bergamo, da Brescia, da Lodi. Arrivano dall’Italia, tutta. Arrivano dall’Europa e dal mondo, per studiare architettura, ingegneria e design. Gli ultimi due dipartimenti, in particolare, sono quelli che connotano la Bovisa, con la Stazione Nord come spartiacque. E c’è da dire subito una cosa: che seppur in Bovisa ne transitino tantissimi, ogni giorno, tutto l’anno, a fermarsi sono sempre in pochi. Anche negli studentati. Tutti tornano, i più a casa qualcuno in altri quartieri di Milano, sia anche Dergano. Ma davvero in pochi se ne stanno alla Bovisa, e non si sa bene il perché.

Diciamo intanto una cosa sui designer e una sugli ingegneri. I primi dicono che i secondi stiano in un luogo ameno, dove le idee si perdono tra i riflessi delle vetrate e i muri frangivento. I secondi dicono dei primi che è una professione a metà: poco ingegnerizzata, tipo il corpo umano. Tanto nessuno ha ragione. Gli abitanti del dipartimento di ingegneria al Campus La Masa hanno dalla loro un parterre di laboratori sperimentali uno più figo dell’altro. Puro spettacolo per gli occhi, pane per denti dei pensieri. Gli altri, tenaci e coriacei nel trovare soluzioni ai problemi minuti, finiscono sempre a stupirsi da soli. Diciamo poi che a ingegneria hanno i tavolini da pingpong, cosa Durando vorrebbe tantissimo, e a cui invece hanno rifilato da poco un campetto da pallavolo proprio nel mezzo del parco. E questo perché a Durando ci sono i parchi che La Masa non ha (non ancora, almeno): il celebre “Ovale”, il cui nome deriva ovviamente dalla forma, ma simpaticamente detto “Ovile” quando all’incedere della bella stagione lo si ritrova puntualmente sovrappopolato. Rispetto al frangente alimentare e dello svago alcolico, La Masa ha i suoi baretti in esterna, un baracchino trendy per le spremute e per le salamelle, mentre Durando ha la sua storica “Rossa”, chiamata così per le pareti e per i bagni di spritz Campari che vi si fanno, e più recentemente rinominata PoliEatEcnico (sic) in un momento di delirio linguistico.

L’immagine campanelliana, utopica, di una “Città della Scienza e della Tecnica”.

L’idea del Campus Bovisa, tra la sezione di Durando e di La Masa, risale a tempi non sospetti. Siamo nella seconda metà degli anni Ottanta, quando il Politecnico storico di Piazza Leonardo Da Vinci si ritrovava soprassaturo di studenti, trentamila iscritti si riversavano in quella piazza nota ai più, all’epoca, come distributore di droga a cielo aperto. In quegli anni nasce l’intuizione data da necessità: l’ampliamento con un’altra sede, un’idea che aveva alle spalle, nella decade precedente dei mitici anni Settanta – il momento dei picchiatori sinistri e dei giovani commandi di fascistelli – l’immagine campanelliana, utopica, di una “Città della Scienza e della Tecnica”. Da subito le sparute classi design tentano un primo trasferimento nei capannoni sfitti della vecchia Fbm Hudson, fabbrica di costruzioni meccaniche. È il luogo in cui poi sorgerà il Campus La Masa, che fino al ’94 rimarrà insediato a Nord della Stazione. Quello è l’anno dell’acquisizione della Ceretti & Tanfani, l’odierna sede del dipartimento di Design, e anche di tutto l’ex stabilimento Fbm, in cui verranno avviati i corsi della Facoltà di Ingegneria. Nello stesso momento, il sogno campanelliano della città Politecnica trova una culla nei prospetti di rifacimento dell’area dei Gasometri, dismessi da pochi anni.

Ma andiamo nello specifico: il Durando, covo tecnofaschionaro dei designer, è perlopiù noto per almeno tre cose: le grande aree verdi e i corrispettivi orti urbani aperti al quartiere, La Rossa per aperitivi che interrompono continuamente i brainstorming e i colori brillanti e primari di cui sono vestite le architetture ex novo del Luigi Chiara, che in ogni caso scelse di mantenere ben visibile la storiografia edile della Ceretti & Tanfani, mantenendo pure qua e là, in forma scultorea, alcune grandi forme di fusione. Sarà per i colori, o per gli interni grigliati tra scale metalliche, corridoi, aree studenti e ascensori, ma è proprio l’edificio B1, dove pressoché tutti gli studenti di design (Prodotto, Interni, Moda e Comunicazione) si ritrovano, a essere la scenografia di Penny. Al fianco, l’imponente Materioteca: che per chi non sapesse cosa sia, è ovviamente il luogo di consultazione e studio dei materiali. Perché qui è necessario toccare con mano, strusciarvisi, sentire con le dita di che cosa si sta parlando. Da non dimenticare poi il B5, sede sperduta di uno dei primigeni del dipartimento di Ingegneria: il laboratorio LaST, dove le macchine si schiantano su muri d’acciaio e i manichini strusciano a terra accompagnati da un valzer metallico.

A Nord della stazione, La Masa sorge tra gli ex poli della vernice e della meccanica. Qui di parchi, dicevamo, non ce ne sono. Ferro, vetro e cemento per gli studenti di ingegneria. Con il pingpong, ovviamente. Ma vincerla qui, sono i grandi laboratori che costellano pressoché ogni ala del Campus: la Galleria del Vento, la Camera Anecoica del dipartimento di ingegneria energetica, il laboratorio di propulsione aerospaziale, il Railway Engineering Lab, altresì detto “la gabbia di Godzilla”. Basta questo per sognare. Assieme agli splendidi panini con la salamella, sogno unto a cui i designer devono, per ragioni di localizzazione, rinunciare.

Insomma, qui brulica di ciò che gli studenti politecnici necessitano: stamperie, di luoghi in cui andare a mangiare nelle pause pranzo, correndo sempre il rischio di non tornare mai più in classe. In ordine sparso, c’era Charlie, per gli amici: il pizza-kebab che con cinque euro ti regalava una pizza, le patatine fritte e una Coca-cola, e che se gli davi un euro in più faceva birra da sessantasei. La trattoria del Gasometro. Il Paradiso del Pane, storica presenza, spirito tutelare delle colazioni e dei pranzi frugali del Campus Durando, proprio alle soglie dell’ingresso che ancora reca la dicitura della Ceretti & Tanfani. Poi le stamperie, celebri e famosissime, tra le quali spiccano – ovviamente attorno a Durando – i mitici Fratelli Grimm e Protoshop. I primi dal nome fiabesco ma rudi compagni come le carte martellate, e i secondi sapienti spaccini di tutto ciò che qualunque modellista e studente necessiti. Non molti, purtroppo, i bar e i pub in cui svernare nelle pause pranzo o nelle uscite. Pochi, in verità, i luoghi delle feste. Ma come sempre, quando questi vengono a mancare, la soluzione è una: far festa dove si può – siano benedette le aree verdi, in bella stagione, del Campus Durando.