Ad could not be loaded.

Uniqlo alla carta è “LifeWear”, il magazine di lifestyle e cultura

Tornare a viaggiare stando fermi e reimparare a stupirsi guardando al vicinato

Geschrieben von Andrea Amichetti e Piergiorgio Caserini il 24 November 2021
Aggiornato il 26 November 2021

Da Zero abbiamo sempre avuto una passione smodata per chi sa come aprire il proprio quotidiano ad altri mondi. Per chi sa come fare e dove puntare per guardare lontano. Talmente lontano da non saper più riconoscere casa propria. Succede alle feste, succede con i quartieri, e solitamente gli emissari di questi sguardi sono le riviste e i magazine come noi.

Ne parliamo perché sfogliando LifeWear Magazine, il nuovo magazine di lifestyle di Uniqlo (arrivato anche in Italia), ci siamo ricordati che, proprio in questo senso, il Giappone ha una lunga storia di magazine eccellenti. E qui si vede. Giornali che vivono il paradosso di una visione e di uno sguardo estremamente intimista ma capace di aprire a mondi lontani. È un viaggio che nonostante parta da una poltrona, da dove si è, guarda sempre altrove. E ci riesce tutte le volte. Un viaggiare da fermi che scoperchia i luoghi vicini e li racconta come altre geografie, un fermare lo sguardo per fare viaggi inconsueti su cose che si vivono tutti i giorni.

Una palestra o una cassetta degli attrezzi per rivedere quello che si è visto come non lo si era mai visto.

Prendiamo BRUTUS, per esempio. Ricordiamo quando portò il Teatro della Scala a una dimensione intima: quella del fumetto. Il fascino indubbio dell’architettura, del balletto e dell’opera restituiti in un’opera a disegni che vuole, per vocazione, essere popolare. Accessibile a tutti. Un modo semplice – e poco consueto – di pensare ai contenuti, eppure capace indubbiamente di stupire e arrivare a chiunque.

Questo è il punto quando si parla di magazine e lifestyle in Giappone. Giornali monografici che intercettano trend e desideri, movimenti e comunità. Quello che c’è di importante nella quotidianità delle persone, e li riportano sapendoli raccontare come mondi nuovi. Pensiamo al numero sull’Italia di BRUTUS – su cui c’era anche Zero –, fatto da persone che viaggiavano veramente e sapevano come fare viaggiare gli altri. È in parte la vecchia storia del libro-oggetto che ritorna periodicamente, ma che in Giappone è cavalcata da decenni. Anche per questo, è come se questi giornali non abbiano tempo: sono una collezione di cultura mostruosa, un album prezioso di fotografie, una palestra o una cassetta degli attrezzi per rivedere quello che si è visto come non lo si era mai visto.

LifeWear Magazine è un’opportunità per concedere una visione diversa nel panorama nostrano partendo dall’editoria giapponese.

LifeWear Magazine è un’opportunità per concedere una visione diversa nel panorama nostrano partendo dall’editoria giapponese. Dalla visione delle piccole cose, dai paradossi e dalle normalità, dalla sensazione del toccarsi e del godersi, rivedendo i grandi classici delle riviste periodiche.

La scelta del monografico sul vicinato, sul quartiere, è un invito a riprendere a stupirsi guardando a ciò che si ha vicino. Ad aprire orizzonti nuovi partendo dalle proprie case e attraversando esperienze come quelle del Barbican a Londra o come i ritratti del fotografo norvegese Ola Rindal, durante il ritorno al villaggio rurale di Fåvang. Si può pensare a tornare insieme, a viaggiare, sfogliando un magazine come questo, senza troppo complicazioni. Anzi, con semplicità. La stessa che hanno le infografiche, per quanto riguarda BRUTUS e Popeye, o le illustrazioni e gli artwork per LifeWear. Un’estetica che ha del regressivo (soprattutto per BRUTUS) e che proprio per questo aiuta a comprendere in modo semplice e immediato le emozioni e i contenuti che le accompagnano.

LifeWear Magazine mantiene la stessa linea. Sapere che il bello e il contenuto vanno insieme quando, forse, sono intraducibili, immediati.

Una bellezza unica perché attinge a un fenomeno di culto che, purché scritto in giapponese, è riuscito ad affascinare il pubblico del mondo, non arrischiandosi mai a perdersi nelle eventualità delle traduzioni. E anche LifeWear Magazine mantiene la stessa linea. Sapere che il bello e il contenuto vanno insieme quando, forse, sono intraducibili, immediati.

La questione di giornali come LifeWear Magazine o Popeye è che da qui si vede il lifestyle non soltanto attraverso l’abbigliamento. Non è un tool per vendere, ma un mondo in cui iniettando cultura si creano scene, suggestioni, interessi, amori. L’idea di Uniqlo del vicinato, del quartiere, ricorre in queste suggestioni, appartiene anche a noi di Zero. Nel sapere che nel quotidiano e nelle proprie storie, nello stare insieme, che si trovano le chiavi per guardare lontano.

Grandi complimenti.