Dopo la „La terza estate dell’amore“ di Cosmo (2021), la 42 Records ha inanellato un altro album dove dancefloor e canzone si inseguono secondo dopo secondo, dove l’elettronica flirta con il pop d’autore, preferendo però convolare a nozze in una chiesa dove non c’è „Niente di regolare“. Un filone che, soprattutto in Europa, ha visto crescere i suoi frutti migliori, a cominciare dall’universo creato da Stephen e David Dewaele, tra le fonti massime di ispirazione di Whitemary, come ci ha confermato in questa intervista – e infatti, più che ai Joy Division, immaginiamo che il titolo di questo disco, „Radio Whitemary“, sia un tributo a quella Radio Soulwax dove abbiamo avuto la fortuna di sentire di tutto, mischiato a tutto. Quattordici brani che sembrano durare il tempo di un bicchiere d’acqua – anzi, facciamo di Gin Tonic per rimanere in ambito club – per un live concepito con l’idea di rispecchiarne la frenesia e l’energia. Si balla, insomma. Ve ne accorgerete sabato 17 settembre, quando Whitemary salirà sul palco di Spring Attitude a Roma, città dove ormai risiede da diversi anni, a pochi chilometri dal suo Abruzzo.
Iniziamo dal titolo del tuo nuovo album. Ascolti spesso la radio? Quali stazioni e in che momento della giornata?
In macchina la ascolto spesso, la preferisco a un disco o a una playlist, specialmente la mattina o durante viaggi non troppo lunghi. Da poco ho aggiunto anche i podcast, come „Demoni urbani“, il mio preferito. La mattina per andare in studio c’è sempre Radio Rock, ma anche Radio Freccia. In zona Puglia obbligatoria Ritmo 80.
La ascolti per la musica o come sottofondo di compagnia?
Principalmente per la musica, così ascolto anche brani che non sceglierei spontaneamente. C’è sempre poi quella piccola gioia quando passano inaspettatamente una canzone che ti piace. E tiri su il volume. Anche per compagnia però, adoravo “Il ruggito del coniglio” la mattina prima di andare a scuola.
Immagino che per un artista musicale il rapporto con la radio in Italia sia abbastanza conflittuale o comunque non lineare. Insomma, se si giri la manopola ci sono sempre le stesse 50/100 canzoni e per lo più sono hit pop/commerciali o tuffi nel passato strappalacrime. È così anche per te o hai una sensazione diversa?
La sensazione è proprio quella. A Roma c’è un grande storico di radio indipendenti – la maggior parte sportive e/o dedicate alla Roma – quindi puoi trovare un po‘ più di varietà.
Passiamo all'album. Quando hai scritto la maggior parte dei brani e che idea ti ha guidata?
Non è stato un disco premeditato. Inizialmente volevo fare un secondo EP dopo „Alter boy!!!“. I primissimi brani li ho scritti a inizio 2020 e sarebbero dovuti uscire nel periodo della prima quarantena, ma, non avendoli finiti, mandavo le preproduzioni su Soundcloud a chi me le chiedeva in privato. Appena sono potuta tornare in studio ho continuato a scrivere e a registrare tantissimo. Sono arrivata a finire il disco nel novembre del 2021. Non avevo un concept preciso: doveva essere spontaneo.
Hai collaborato con qualche altro artista?
No, con nessuno, e sono contenta di questa scelta, magari anche impopolare. Volevo che fosse la mia voce al 100%. Adesso che sono più consapevole di me stessa e del mio lavoro avrei invece molta voglia di condividere la scrittura con altri artisti.
Premesso che se sulla terra rimanessero solo i loro dischi sarei una persona ugualmente felice, per il brano "Presets" hai campionato un'intervista ai Soulwax. Possiamo dire che sono tra le tue fonti di ispirazione, sia per i suoni che per la capacità di combinare in un disco attitudine club e forma canzone?
Sono assolutamente la mia ispirazione più importante al momento. Anzi, mi preoccupo che possano diventare un culto! Quello dei Soulwax e dei fratelli Dewaele è un mondo artistico infinito, dalla label ai loro dischi, dai dj set alle grafiche e ai video. E hanno uno storico pazzesco.
Che strumentazione hai utilizzato per scrivere e registrare i brani?
Ho un approccio manuale alle cose: faccio fatica a usare strumenti virtuali e a lavorare „in the box“. Con Alessandro Donadei (mixatore del disco) abbiamo questa passione per i synth e stiamo sempre lì a cercare, provare, comprare. Sicuramente mai rivendere! La nostra stanza al Jedisound Studio è un parco giochi. Ho usato Moog Sub 37, Juno 106, Korg Polysix, Op-1 di Teenage Engineering, Prophet 08, Digitakt di Elektron. Poi ho una passione per i piccoli synth, magari anche zozzi e pieni di noise.
L'album ha un approccio assolutamente dance. Inizio ad affrontare questo aspetto chiedendoti se sei una frequentatrice assidua di club e dancefloor?
Ho iniziato molto tardi con i club, da adolescente a L’Aquila c’era solo commerciale e non avevo neanche la compagnia adatta. Ascoltavamo e suonavamo altra musica. Ho iniziato a Roma, con Alessandro appunto, che mi ha avvicinato al mondo dell’elettronica. Andavamo spesso a ballare psytrance al Big Bang: era un posto magico. E la pista una palestra, visti i 180 bpm. Bella gente, installazioni psichedeliche e la musica che ti rapiva. Una bella festa goa ci sta sempre!
Ci sono club o serate che ti hanno segnato e hanno acceso questa passione?
In puglia andavamo spesso all’Eremo Club: la prima volta è stato per un indimenticabile Gesaffelstein. Porto nel cuore anche il mio primo Spring Attitude, quello del 2012. Ho ancora il flyer con la line up!
Stessa domanda, ma relativa ad artisti e album: a chi ascriveresti il tuo ingresso nel mondo dell'elettronica in 4/4?
Il mio primo pezzo come Whitemary l’ho scritto dopo un concerto dei Simian Mobile Disco con apertura di Charlotte Adigery & Bolius Popul. Quindi direi „Murmuration“ dei Simian e „Zandoli“ di Charlotte.
I brani di "Radio Whitemary" sono brevi mentre il clubbing si muove su minutaggi molto più alti. È stato un elemento di difficoltà nella scrittura dell'album?
I brani di „Alter Boy!!!“ sono più lunghi ed effettivamente in „Radio Whitemary“ la durata dei pezzi è sempre intorno ai tre o quattro minuti. Io la musica elettronica la ascolto come fosse pop e anche le serate le vivo come un concerto rock. Quindi questa infiltrazione della durata canzone nel dancefloor mi piaceva. Anche nei miei dj set mi piace mischiare pezzi di diversi generi con la cassa dritta e mi piace passare dall’uno all’altro molto velocemente. Un dj set decisamente schizofrenico.
Colgo la palla al balzo per questa domanda: come cambia Whitemary a seconda che indossi l'abito da selezionatrice o da performer?
I miei dj set, come dicevo prima, sono un miscuglio di generi senza un senso apparente. Sembrano più la sezione “i tuoi brani preferiti” di Spotify. Se fa ballare ed è un pezzo del mio cuore, lo metto. Questo però implica un grande lavoro di preparazione e di incastri, perché comunque cerco di proporre un dj set fluido, in cui la fine di un pezzo e l’inizio di uno nuovo danno vita a una terza parte che funziona, che crea qualcosa di nuovo e sorprendente. In questo modo annullo completamente la possibilità di improvvisare e adattarmi al pubblico di quella sera, cosa in realtà che un bravo dj deve fare. In un mio dj set in realtà c’è lo spirito di un concerto di Whitemary.
Ci sono edit da dancefloor o remix che prima o poi usciranno?
Per ora sono riuscita a fare solo „Credo che tra un po’“ con Mattia Trani, che ho adorato. Spero a breve di remixare più brani.
Una curiosità sui testi: hai avuto difficoltà a unire l'italiano all'elettronica, che normalmente è feudo anglofono?
È stato fondamentale staccarsi dal modo di scrivere più cantautorale e giocare con i suoni e gli accenti delle parole, a volte anche esasperandoli. In realtà l’italiano è stato uno stimolo per cercare incastri ritmici differenti.
Come si trasforma "Radio Whitemary" in versione live?
Ho iniziato da sola sul palco ma ora siamo in tre. Alessandro Donadei al basso elettrico/Moog e Davide Savarese alla batteria, totalmente elettronica. Non volevamo creare un ibrido acustico lontano dal suono del disco. Quindi ho un batterista incredibile che suona dall’inizio alla fine tutti i kick e gli incastri ritmici pazzissimi, e un bassista un po’ punk che suona il basso come una chitarra e tira fuori bassi synth acidi. Io gestisco le strutture e gli effetti, faccio cose pazze con i miei piccoli synth, canto, parlo e salto tantissimo.
È una performance tutta d'un fiato o ci sono anche momenti più intimi?
L’intenzione è quella di iniziare come un treno che ti travolge e poi ti lascia quasi senza preavviso. Dopo il primo pezzo non ci fermiamo (quasi) mai.
Qui a Roma il tuo live sarà ospitato da Spring Attitude. Come vivi i festival? Ti piace più esserci o suonarci?
Da spettatrice mi piacciono i festival più a misura, più raccolti e intimi. Preferisco sicuramente suonarci: suonare sempre!
La tua dimensione ideale è un grande palco all'aria aperta o un club più notturno?
Non ho una dimensione ideale. Tanto lo fa il pubblico, sia quando suono sia quando sono spettatrice. La situazione perfetta si crea quando chi ascolta è in assoluta sintonia con l’artista e con il resto della gente intorno.
Se ho interpretato bene "Numeri e basta", sicuramente del club non ti piace l'ingresso in lista...
Sì, esatto! (ride, nda). Non mi piace per le dinamiche: stare in lista per poi dover comunque comprare un biglietto, quando basterebbe comprare il biglietto e basta. Però sei in lista, quindi sei cool. Non mi piace quell’idea di selettività, in realtà finta, che si crea. E osservando le file il discorso è traslato poi su altri temi: l’omologazione, la depersonalizzazione, la difficoltà nel volersi sentire diversi quando tutti invece spingono al conformismo. E spingono alla porta, soprattutto.
Come hai vissuto il periodo della pandemia, in cui sia i club che i festival sono scomparsi dalla nostra vita quotidiana?
Ho giocato a „Call of Duty: Warzone“ dalle 23:00 alle 06:00 del mattino, tutti i giorni. Giuro, tutti i giorni! In quella situazione di tristezza la musica non ci poteva proprio entrare. Sulla mia musica il periodo della pandemia sta influendo più ora.
Chiudo con qualche domanda su Roma. Che ne pensi di questa città da un punto di vista artistico e musicale?
Roma è un casino. Un ammasso di disagi, nosense, sporco, traffico. È difficile da vivere e ti porta all’esaurimento. Io però la adoro, trovo in tutto questo disagio tanta linfa vitale e soprattutto tanta vita reale. E quindi tanti artisti veri. Roma spesso ti prende a schiaffi e ti riporta con i piedi per terra. Adoro il collettivo Do Your Tang, in particolare Jekesa, poeta assoluto; i ragazzi di Radio Sugo e, all’opposto, ho frequentato tanto Radio Kaos. C’è tanta diversità. Vorrei che si sfruttassero e riqualificassero i mille posti abbandonati che ci sono a disposizione. Berlino insegna. GUALTY APRI DEI BANDI E FAI LE CICLABILI!
Dal punto di vista dei club invece, ce n'è qualcuno che frequenti più assiduamente?
Ultimamente meno, post pandemia ho perso tanto l’abitudine di andare nei club, ma voglio assolutamente ricominciare.
C'è un quartiere della città a cui sei particolarmente legata, perché ci vivi o perché lo vivi?
Re di Roma è proprio la mia zona, ormai sono dieci anni che ci vivo e la trovo sempre bellissima. “Birretta piazzetta” è il nostro motto.