Il dj per antonomasia, il padre di tutti i miscelatori musicali nati nello Stivale e non solo. Daniele Baldelli sarà l’headliner di Manifesto, festival di tre giorni al Monk Club dedicato all’elettronica italiana di nuova (e vecchia produzione), il prossimo 8,9 e 10 aprile. Per l’occasione abbiamo deciso di riproporvi l’intervista realizzata un paio di estati in occasione di Notte Italiana, un progetto di Zero realizzato per la Biennale di Architettura di Venezia. E già che ci siete, andatevi a leggere anche la storia della Baia degli Angeli, il club in cui è nato il mito di Baldelli.
Prima di Traktor o di aggeggi per fare effetti vari sui vinili il dj era solo un “metti dischi”. Così si definiva Daniele Baldelli quando nel 1969 ha iniziato a mettere i dischi, appunto. Alla Tana, nel suo primo locale, suonava i dischi del proprietario nell’ordine che egli gli indicava, poi passando al Tabù Club e facendosi aumentare la paghetta ha iniziato comprarli lui, e col tempo si è pure indebitato parecchio (fino a undici milioni di debiti). Con i suoi dischi e la sua selezione in un paio d’anni ha reso storico uno sporting club con ingresso riservato ai soci che poi divenne la prima discoteca a fare le sei del mattino: la Baia degli angeli. Poi Daniele passa al Cosmic sul Lago di Garda e qui, senza volerlo, fa nascere un genere musicale: il cosmic, che ora ci invidiano e richiedono in tutto il Mondo. Nell’intervista ripercorriamo alcune tappe della vita del primo dj italiano, provandogli a chiedere anche cosa succedeva in generale in riviera romagnola tra gli anni 70 e 80.
Zero: Sei di Cattolica e hai praticamente visto nascere, oltre che la figura del dj, anche molte delle discoteche della Riviera, come mai secondo te proprio in questa zona ce n’è stata una così alta concentrazione?
Daniele Baldelli: Dal 1969 ai primi anni 70 a Cattolica le discoteche, così come anche i dancing, proliferavano continuamente, penso che nella sola Cattolica almeno 10-15 locali erano aperti durante l’estate. Ovviamente non mi sono mai chiesto se fosse così anche nelle altre parti d’Italia. Probabilmente trovandoci in una zona turistica il terreno era fertile, bisogna considerare che allora la popolazione del paese era di 16.000 abitanti, ma che d’estate, con il turismo, si arrivava a 80/100 mila presenze. Quindi, come si suol dire, dove c’è la domanda si crea l’offerta.
Come ti sei avvicinato al mondo della notte? Dove andavi a ballare?
Quando avevo 16 anni frequentavo il Tana Club Discoteque a Cattolica (il gestore era stato in Francia dove aveva visto alcuni music-bar che si chiamavano appunto: discoteque) un locale per giovanissimi aperto anche la domenica pomeriggio. Probabilmente essendo abbastanza timido passavo più tempo ad osservare quel ragazzo che, in uno spazio ricavato nel bancone bar, metteva i dischi. Probabilmente fui notato dal proprietario del locale, il quale qualche tempo dopo, avendo litigato con quel ragazzo, mi chiese se volevo farlo io. Non mi ricordo se allora si parlasse di dj. Quando ti chiedevano: «Ma tu cosa fai?», la risposta era: «Metto i dischi alla Tana». Ed era proprio così, perché il proprietario preparava i dischi in fila (tutti 45 giri) e io dovevo metterli uno dietro l’altro seguendo il suo ordine prestabilito. C’erano due giradischi muniti di una manopola per il volume, praticamente abbassavi il volume del disco che stava per finire e alzavi il volume del successivo. Senza cuffie né preascolto con l’accortezza di ridurre al minimo il vuoto musicale.
Come sei approdato alla Baia degli Angeli? Prima dove suonavi?
Come dicevo prima, ho cominciato nel 1969 al Tana Club e pochi mesi dopo ha aperto un nuovo locale, il Tabù Club. Vengo contattato e accetto il nuovo incarico. Nel frattempo la tecnologia si adegua, arriva un primo mixer, la cuffia, il preascolto. Rimango lì fino al 1976. D’inverno era aperto sabato sera, domenica pomeriggio e domenica sera, d’estate (dal 15 maggio al 30 settembre) era aperto tutte le sere dalle 21:00 alle 03:00. Stagioni indimenticabili, sempre pieno tutte le sere! Un Pomeriggio di settembre entrano nel locale i due dj della Baia degli Angeli, Bob Day e Tom Sison, alla fine del pomeriggio si complimentano con me per la mia scelta musicale. Nasce un’amicizia che li portò a segnalarmi alla Baia degli Angeli quando decisero di tornare in Usa. In quel periodo suonavo già una mia selezione di dischi, perché siccome il boss non comprava mai dischi nuovi gli proposi di alzarmi la paghetta, così ci avrei pensato io all’acquisto. In questo modo ho cominciato a farmi la mia discografia personale (dal 1970 ad oggi). Parallelamente un altro socio della Baia degli Angeli, aveva contattato un altro dj della zona, così nel settembre/ottobre del 1977 ci ritrovammo insieme alla consolle della Baia degli Angeli: Daniele Baldelli & Claudio Rispoli (aka Mozart). Prima la Baia era uno sporting club e credo si chiamasse già Baia degli Angeli, ma è dal 1975 che tutti la conobbero come tale.
Raccontaci come era architettonicamente la Baia a quei tempi.
La Baia degli Angeli era una costruzione situata sulla collina di Gabicce, vista mare, completamente bianca. Quasi a forma di una grande L, su tre piani sfalsati, aperti e comunicanti tra loro. Dava l’idea di una costruzione tipicamente mediterranea. Il colore bianco poi contribuiva all’effetto scenico creato dalle luci. La consolle era sistemata in un’ascensore dalle pareti di vetro. Così durante la serata potevi salire o scendere dal primo al secondo piano per avere una visione totale delle piste.
Che musica suonavi e cosa si sentiva negli altri locali della Riviera che pian piano stavano aprendo?
Non ho mai saputo cosa suonavano gli altri, quando suonavo alla Tana e al Tabù ero sempre lì e quindi era impossibile per me andare ad ascoltare altri dj nelle altre discoteche. Compravo dischi nell’unico negozio di dischi di Cattolica, che vendeva anche lampadine, pile, frullatori e frigoriferi e ovviamente i primi mangiadischi. Il Tabù Club chiudeva alle tre di notte come tutti gli altri locali. Invece la Baia degli Angeli fin dal suo esordio, stava aperta fino alle sei del mattino. Fu lì che sentivo cosa suonavano altri dj. Bob e Tom avevano dei dischi mai sentiti, avevano tantissime copie promozionali che nel mercato italiano manco si sapeva cosa fossero (a noi dj italiani ci venivano a regalare quei dischi che poi si sentivano nei jukebox). Fortunatamente, in breve tempo ha preso piede l’importazione diretta dei dischi (prima un disco straniero lo trovavi solo se qualche etichetta italiana prendeva la licenza e lo stampava). A Rimini c’era un grande negozio che si chiamava Dimar e lì trovavi di tutto, dalla classica al jazz, dal pop alla musica da discoteca. Poi sono nati i primi negozi specializzati per dj, come Disco Più a Rimini. È stato lì che si è cominciato a interagire, a parlare, a confrontarsi, a curiosare su cosa suonava questo o quello. Lì avevo la fama di uno che spendeva tutto in dischi, compravo di tutto, anche quello che gli altri scartavano. Gianni (che lavorava al negozio) mi faceva credito nei momenti bui, ero arrivato anche ad un conto in sospeso di undici milioni di lire!
Qual era la dinamica, il motivo principale che faceva muovere così tanta gente verso la Baia? Siamo in un’era pre-internet: era tutto basato sul passaparola che si espandeva sempre di più o c’erano già dei pr che promuovevano il locale?
No, non c’erano pr così come sono intesi oggi. Probabilmente la scelta del personale, gente simpatica o di bella presenza o con un grande “savoir-faire” funzionavano poi anche come pr grazie al loro carisma. La Baia nel 1974 era comunque un locale abbastanza esclusivo. In breve è diventato famoso attraverso il passaparola, fino a diventare una meta ambita, un posto dove bisognava esserci e dove la musica era avanti.
Ci racconti qualche aneddoto divertente legato alla Baia, al pubblico che veniva a sentirti, ai gestori che ti sentivano suonare, a quello che ti raccontavano che succedeva fuori dal locale?
Alla Baia succedevano tante cose che magari io non vedevo. Rimanevo per 5 o 6 ore dentro l’ascensore/consolle. Alcune volte qualche mio amico mi veniva a dire che nella pista c’era gente che inneggiava a Mozart, mentre invece in consolle c’ero solo io (Mozart era via per il servizio militare) e questo mi faceva parecchio incazzare.
L’avventura della Baia dura 4 anni, dal 1974 al 1978, perché finisce? Dopo dove ti sposti? Cosa succede in Riviera con la chiusura della Baia? Quali sono gli altri locali che iniziano ad imporsi?
Finisce per problemi di ordine pubblico, droga e il solito volume della musica. Immaginati due o tremila persone che alle sei del mattino in macchina o a piedi scendono nell’unica strada che porta al centro di Gabicce! Rumori, schiamazzi e anche gente alticcia che poi diventa maleducata e che si riversa anche sulla spiaggia dove i bagnini non sono così contenti di vederli arrivare. Riguardo alla droga: trovami un posto di grande aggregazione dove prima o poi non arrivano gli spacciatori. Se non ci fossero le discoteche, lo farebbero nei bar, se non ci fossero i bar lo farebbero alla stazione. Ma va bene anche il giardinetto sotto casa. Quindi lasciamo perdere l’argomento, la colpa è sempre delle discoteche! Quindi dalla chiusura del Baia ho attraversato un periodo oscuro, nessuno mi chiamava per paura del richiamo che rappresentavo per il pubblico della Baia. Così ho fatto io un tentativo di organizzare delle serate, di nuovo al Tabù, ma alla seconda serata i carabinieri ci fecero chiudere. Fortunatamente quella sera vennero, proprio al Tabù per incontrarmi, due persone che venivano a propormi un locale sul Lago di Garda: si trattava dell’apertura del Cosmic.
Ci descrivi il Cosmic? Che differenze c’erano rispetto alla Baia e alla Riviera?
Nelle intenzioni del proprietario il Cosmic doveva essere una palestra da ballo! Quindi niente posti a sedere, niente alcolici e la pista era quasi l’80% dell’intera superficie del locale. Il dancefloor era come quello dove ballava John Travolta nel film Saturday Night Fever, le colonne erano piene di lampadine come quelle dello Studio 54, la prima consolle aveva due mani che sorreggevano un casco spaziale come quella di Thanks God it’s Friday. Era il 1979 e la musica che suonavo era ancora influenzata dalla mia permanenza alla Baia. Poi dall’80 in poi incomincia il grande cambiamento che ha fatto si che il mio modo di fare musica venisse etichettato come „cosmic“ (il termine afro era molto usato a quel tempo, anche se di afro c’era ben poco nei miei set).
Fino a che anno rimani al Cosmic?
Dall’aprile/maggio 1979 al novembre 1984.
E dopo il Cosmic dove vai?
Alla chiusura del Cosmic – che chiude per gli stessi motivi della Baia – mi ritrovo in un altro periodo buio, pochi locali e poche date. Venivo chiamato sempre più spesso da vari locali che cercavano di sfruttare o di imitare il successo del Cosmic.
Tra la fine degli anni 80 e la fine degli anni 90 la Riviera diventa la patria dell’House, tu in quegli anni dove suonavi? Seguivi il clubbing di questo periodo?
No, io continuavo a seguire il mio istinto, musicalmente continuavo a comprare solo quello che mi piaceva. Naturalmente c’era anche della house, ma stranamente io suonavo sempre il lato B. Nell’87/’88 approdo di nuovo alla Baia, che era diventata Baia Imperiale. In un primo momento non ero nella main room – proponevo un „cosmic“ un po‘ più leggero, sceglievo i pezzi più caldi, quindi un po‘ di afro, funk, jazz, elettro con qualche inserzione di house. Avevo due piatti, tastiere, campionatore, Roland TR-909 e un archeologico Apple II/e che usavo per degli effetti. Ottenni un ottimo consenso e mi passarono nella main room (sala Zodiaco) dove si organizzò uno staff molto affiatato con Davide Nicolò, Gianni Parrini, Master Freez, T.J. Sanders, Alessia e tanti altri ballerini e performer.
Fino a che anno rimani alla nuova Baia?
Credo proprio fino al 1989, forse Nicolò si ricorda meglio…
E che succede poi?
Dal 1996 al 1999 sono stato al Fura di Desenzano del Garda, ai tempi un locale della madonna. Facevo tutti i venerdì all’insegna dell’acid jazz, del funk e della disco, con uno staff da paura (al 90% portato da me) animatori e animatrici „vestite“, cioè quelle che slegano senza far vedere il culo! Samantha Wood, Momo B., Le Twin Sisters, Ruben, rapper e tantissimi altri. Oltre a loro c’era anche un gruppo live in sintonia con me, oppure musicisti singoli, basso, tromba, trombone e più spesso sax. È stato un altro momento veramente gratificante!
Qual è stata la tua prima data all’estero?
Nel 2004 incominciarono ad arrivarmi varie richieste dall’estero e oltreoceano, ma a causa del mio terrore di volare ho sempre declinato. Così ho girovagato per l’Europa in treno (ricordo bene quanto tempo ho impiegato per fare un tour Goteborg-Stoccolma-Oslo). Comunque la mia prima data all’estero è stata a Londra al Plastic People. Una volta superato il problema del volo ho cominciato ad accettare tutte le richieste. Ho fatto il mio secondo tour di sette date in Giappone a gennaio 2014 e il 2 agosto ho suonato al MoMA PS1 per la rassegna Warm up, poi mi hanno chiamato in Australia per il Vivid Live Festival, al Flow Festival di Helsinki e all’Unknown in Croazia e lo scorso maggio ho avuto l’onore di suonare prima di Giorgio Moroder al Wired Next Festival a Milano.
La storia è fatta di corsi e ricorsi. Ora quel suono definito „cosmic“, l’afro e il dub sono tornati, ma quali sono secondo le novità musicali più interessanti dell’ultimo periodo? C’è qualche giovane che potrebbe fare strada?
Non riesco a seguire molto cosa succede intorno a me, non ho ancora conosciuto qualche emergente degno di nota, ma ribadisco che non ho molto tempo da dedicare a questo argomento, ma spero vivamente che si sia qualcuno in giro!