Da diversi anni scriviamo di una possibilità tutta italiana di distinguersi nell’attuale e infernale calderone dei festival, in cui tutti fanno tutto e in cui l’identità delle rassegne viene costruita “all’asta” investendo e rilanciando esclusivamente sugli headliner. Questa possibilità passa per l’interdisciplinarità, il territorio, la qualità – e non la sovrabbondanza – della proposta artistica e un generico atteggiamento “slow”, che permetta di guardarsi attorno e non iniziare – e finire – la giornata dentro una fiera, una spianata anonima o quello che sia. Il Centro e il Sud dell’Italia si stanno rivelando i veri portavoce di questa tendenza e la Calabria si sta portando nelle posizioni di testa. A fare da apripista è stato il Crac | Centro di Ricerca per le Arti Contemporanee di Lamezia Terme, il cui progetto più importante è stato – ed è tuttora – il Frac, festival dedicato a musica elettronica e arti performative che quest’anno sarà alla sua terza edizione. Cosa c’entra Roma in tutto questo? Ve lo racconta direttamente la fondatrice di entrambe le realtà sopra citate, Nicoletta Grasso.
ZERO: Iniziamo dalle presentazioni: dove e quando sei nata?
NICOLETTA GRASSO: In Calabria a Lamezia Terme, il 9 settembre 1982, in realtà sono solo 1/4 calabrese, mezza campana e 1/4 siciliana.
Ci puoi raccontare un po‘ qual è stata la tua formazione? Come è nata la tua passione per le arti (visive e performative) e per la musica? Immagino che il mondo dell’elettronica, dove questi elementi si trovano spesso assieme, sia stato il tuo bacino iniziale.
In realtà il mio background è un mix. Da bambina ho studiato danza per anni e sono sempre stata attratta dal mondo dell’arte. Ho fatto il liceo classico nella mia città e poi nel 2001 ho iniziato gli studi a Roma, al DAMS, dove mi sono laureata nel 2006. Appena approdata a Roma ho iniziato a frequentare festival ed eventi di musica elettronica, di teatro e club. Per un paio di anni sono andata in fissa anche con i rave, è stato parecchio divertente! Durante l’università e dopo la laurea ho fatto diversi stage di teatro e danza e ho lavorato per compagnie di teatro.
C’è stato un artista o un evento in particolare che ti ha legato a questo tipo di contenuti o addirittura ha scatenato da solo la tua passione?
Ce ne sono stati vari. C’è stato un festival che mi ha fatto davvero impazzire nel campo della ricerca teatrale e della performing arts dove ho visto degli spettacoli straordinari: si tratta del Drodesera Festival, organizzato dalla Fies Factory in Trentino, un concentrato di performance di livello altissimo con artisti provenienti da tutto il mondo, tutto ciò all’interno di una cornice meravigliosa che è la centrale idroelettrica di Drò. Dopo gli spettacoli la serata si conclude sempre con dei dj set, spesso a cura degli attori e performer stessi. Un altro festival che mi ha sicuramente dato uno scossone fortissimo è stato Dissonanze, che ancora porto dentro nel cuore in fatto di programmazione, cura e identità… Credo che sia stata la mia prima esperienza in Italia di Festival „musicale“ con la F maiuscola. Altro festival per me super a Roma è stato il MIT – Meet In Town organizzato da Snob Production, direi che FRAC ha preso un taglio così anche grazie a loro, nel senso di mischiare elementi di ricerca teatrale, installazioni e musica: ricordo che mi piacque il fatto di poter assistere a una performance di teatro di ricerca come quella dei Pathosformel nella Sala Petrassi – o forse era la Sinopoli… Dopo tutta quella poesia e delicatezza, mi sono ritrovata ad attraversare i foyer super illuminati e scossi dalle installazioni dei Quiet Ensemble per poi arrivare ad ascoltare i concerti e i dj set all’esterno e anche nelle sale interne. Sempre al MIT mi sono innamorata di Ghostpoet che poi è stato l’headliner della prima edizione di FRAC festival. E poi citerei sicuramente Spring Attitude, che ti dà la possibilità poter vedere a Roma dei guest storici e importanti, ma nello stesso tempo permetterti di conoscere degli artisti emergenti super.
Ci puoi raccontare qual è stato il tuo impatto con questa città, sia personale sia in relazione al mondo delle arti?
Come dicevo, sono arrivata a Roma nel 2001 e dopo il primo anno di ambientazione mi sono subito sentita a casa e sinceramente la sento ancora la mia città, anche se ora sono di nuovo in Calabria da quasi quattro anni, ma quando torno la trovo sempre uguale, inesorabile, un po‘ underground e un po‘ zoppicante e puzzolente. La cosa pazzesca per me, che venivo dalla Calabria, era che ogni sera potevo fare cose diverse: teatro, cinema, concerti, party… Tutto! Teatro India, Palladium, Goa, Brancaleone, Rashomon, Fanfulla, Pigneto, il centro storico per le infinite passeggiate, erano i miei posti abituali. Poi, nel 2006, dopo la laurea, un mio prof. del DAMS, Raimondo Guarino, che ricordo ancora con tenerezza, mi ha spedito in un teatro a Fara Sabina, il Teatro Potlach, un’esperienza formativa importantissima sia in termini professionali che umani. Il Potlach è un teatro di stampo grotowskiano: ogni mattina si iniziava la giornata con una corsa nelle campagne sabine, poi training fino alle 14:00 e poi ancora lavoro sul corpo e sulla voce e fino alla sera lavoro in ufficio. Molto duro dal punto di vista emotivo: no vacanze praticamente. Poi, abitando dentro al teatro che era un ex Convento meraviglioso completamente ristrutturato in stile nord europeo, non avevo molta vita sociale su Roma. Ma sono stati tre anni in cui ho viaggiato con la compagnia in tutto il mondo: Asia, Sud America ed Europa: bellissimo! Poi, ad un certo punto, al Potlach ho conosciuto altri artisti con i quali ho avviato un altro progetto, Il Pagliaio, un centro per le arti contemporanee, dove abbiamo organizzato residenze, workshop e festival. Eravamo in cinque: io, Bernardo Vercelli e Fabio di Salvo dei Quiet Ensemble, Ginevra Panzetti ed Enrico Ticconi. Il Pagliaio ha sicuramente generato una serie di progetti che sono stati importantissimi per il mio percorso artistico. Qui è nato Three Minutes Ago, un progetto di ricerca focalizzato sulla performing art e sui lavori installativi. Da quando sono ritornata in Calabria ho abbandonato questo progetto per dedicarmi completamente all’organizzazione di CRAC e FRAC. Mi manca un po‘ e a essere sincera mi piacerebbe da morire fare un progetto musicale: lo dico da tanto ma non lo faccio mai!
Ti ricordi qualche evento nei primi anni permanenza a Roma che ti ha segnato e anche qualche artista?
Appena arrivata a Roma, a 18 anni, i primi concerti sono stati quelli dei Cure, Moby, Roger Waters. Ma la scossa, come dicevo prima, l’ho avuta la prima volta che sono andata a Dissonanze, è stato davvero importante per me e per tutta la mia generazione, per dieci anni consecutivi credo sia stato il festival più innovativo d’Italia, lo ricordo ancora come fosse ieri. Poi sicuramente ci sono stati spettacoli che ho visto che mi hanno colpito tantissimo: Virgilio Sieni, Societas Raffaello Sanzio, Motus in Italia e poi Jan Fabre, Sasha Waltz, Hotel Proforma, Peeping Tom.
Con chi hai collaborato qua a Roma e che lavori hai proposto nel corso degli anni? Ce n’è qualcuno a cui sei particolarmente legata?
Tra tutte sono molto legata ad una performance, La carezza del vetro, che nel 2011 ha partecipato a Premio Scenario arrivando in finale. Questo lavoro è conciso con l’apertura di Il Pagliaio e con un bellissimo periodo della mia vita a Roma.
In questo primo periodo sei stata anche organizzatrice di eventi o hai partecipato solamente come artista?
Come dicevo prima, ho fondato nel 2010 il progetto Il Pagliaio con i Quiet Ensemble, Ginevra Panzetti ed Enrico Ticconi. Il Pagliaio nasce come luogo di ricerca e creazione delle arti contemporanee quali performing art, teatro, interventi site specific, musica, video ed installazioni. È un luogo che ambisce alla costruzione di una rete di conoscenze con persone e gruppi di giovani artisti di ogni nazionalità che necessitano di uno spazio per la creazione. Effettivamente Il Pagliaio ha di certo generato una valanga di cose belle partendo dal festival di musica e new media art che abbiamo organizzato per due anni tra il 2012 e il 2013, Il Pagliaio Opening e Il Pagliaio Re Opening, coinvolgendo tantissimi artisti come: One Circle, Aurora Meccanica, Overlab, Retina, Franz Rosati, K-Conjog, Furtherset, Kaeba, Noidealab, Marcello Cualbu, Giuseppe Guariniello, Cristina Rizzo, Milon Mela e tanti altri. Per ora è rimasto un progetto sospeso, o meglio si è diramato poi su CRAC e FRAC per me e per gli altri della crew (Quiet Ensemble) sul neonato Blooming Festival. Chissà, magari faremo Il Pagliaio Re-Re Opening.
Ci sono state altre città che per te sono state importanti oltre a Roma?
Così su due piedi potrei citare mille posti. Poi mi basta stare 24 ore in una città o paesino sperduto per sentirmi a casa. Posso citare l’India, che molti odiano per il caos e il delirio, ma a me ha dato tantissimo: sono rimasta per sei mesi in giro per l’India e la prima esperienza è stata in un paesino sperduto, Bolpur, a tre ore da Calcutta. Lì ho passato due mesi con i Baul del West Bengal, con maestri di Kalaripayattu del Kerala, danzatori Chhau del Jharkhand, Gotipua dall’Orissa e Hatha Yoga Sadhu del West Bengal. Era un laboratorio di arti performative indiane, era basato sul silenzio, credo dovrebbero farlo tutti! Poi Berlino, il Messico, il Brasile, ma anche la Sicilia e la Calabria stessa che sto imparando a riscoprire. Comunque è Roma la città che sento mia, ho i miei più cari amici lì e anche la mia casa. In ogni caso metto radici in tutti i posti dove mi sento bene, poi però me ne rivado via.
Arriviamo all’attualità, ma ancora con un piccolo passo indietro. Perché hai deciso di lasciare Roma – anche se non in maniera definitiva – e ritornare in Calabria? È stata una decisione a priori o legata alla possibilità di realizzare qualcosa li giù, detto altrimenti saresti andata via da Roma anche senza il Crac e il Frac?
Roma è una città che ti tiene ancorata in qualche modo, qualsiasi cosa tu stia facendo, ti senti come se il tempo non passasse mai. Con questo intendo che ho fatto più cose in Calabria in tre anni che a Roma in sette. Ho lasciato Roma perchè volevo realizzare queste due cose in Calabria, però non è cosi facile e stimolante rimanere qui. Si lavora in un territorio vergine, il che è bello ma è davvero faticoso e in più le istituzioni non supportano concretamente.
Visto che li abbiamo nominati, andiamo a conoscerli. Cos’è il Crac e qual è la sua storia?
CRAC è un centro di ricerca per le arti contemporanee, con base a Lamezia Terme. È nato grazie a un bando di finanziamento per start up e il primo progetto che abbiamo lanciato è stato proprio FRAC, nel 2015.
Cosa realizzate al Crac e quali artisti avete ospitato fin ora?
Lo scorso anno abbiamo lanciato la prima rassegna completa, A Burning Autumn Under a Southern Sky, che ha visto il passaggio di esponenti di fama nazionale e internazionale provenienti dai più diversi ambiti artistici: dalla visual art alla performing art, dal teatro di ricerca passando per la danza e i live show musicali ed interaction design; tra gli ospiti invitati a CRAC: Giulia Perelli, Snow in Mexico, Jacopo Brogioni, Aurora Meccanica, Pfadfinderei, Elisa Muliere, Ester Grossi, Sara Bonaventura Matteo Sedda, Giungla, Baba Sissoko, Indian Wells, Funk Rimini e tanti altri con un totale di 30 appuntamenti. I contenuti proposti da CRAC sono un mix di esperienze che sanno far parlare e dialogare su più livelli il mondo dell’arte contemporanea, cercando in particolar modo di suggestionare il territorio, educandolo alla bellezza.
Qual è stata la reazione del territorio alle attività del Crac?
C’è un piccola nicchia di persone interessate a CRAC e questo è sicuramente un successo. Purtroppo, però, la maggior parte delle persone è attratta da altro qui in Calabria. In ogni caso tutti sembrano essere davvero super entusiasti per i contenuti che proponiamo, sarebbe bello se oltre alla pacca sulla spalla tante volte ci fosse reale partecipazione.
Il Frac, invece, come e quando nasce? Io l’ho seguito dalla prima edizione e mi è sembrato sin da subito improntato alla dimensione musicale, ovviamente poi con diversi innesti artistici nel senso “classico” nel programma.
FRAC nasce nel 2015, cercando sin da subito di costruire un festival dal respiro „internazionale“ in questa regione. Il concept è prendere un contenitore storico e letteralmente „riempirlo“ di contenuti contemporanei. Sul fatto che sia improntato più sulla musica direi di no, in realtà FRAC nasce come contenitore di contenuti che vanno dalla musica, alle performance, alle arti visive. Ad esempio, il prossimo anno l’intenzione è quella di aggiungere contenuti di teatro di ricerca e spingerci sempre di più su musicisti più affermati ma anche cercando di portare artisti emergenti. Insomma il tentativo è di dare il medesimo peso alla parte visiva ed a quella musicale. E poi credo sia stupendo il fatto che uno spettatore possa entrare in un palazzo storico e trovare all’interno installazioni, spettacoli di ricerca teatrale e di danza, dj set, performance, tutto insieme in 12 ore…
Che ricordo hai della prima edizione?
L’ho vissuta come un parto, è stato tutto difficile logisticamente anche perchè avevamo scelto una venue veramente bella, lo splendido borgo di Aieta in provincia di Cosenza, ma difficile da raggiungere. Ho dei ricordi tipo: la prima sera finisce di suonare Koreless, salgo al piano superiore del Palazzo e nella sala principale trovo lui, i Quiet Ensemble ed altri che stavano improvvisando una jam, è stato bellissimo! Poi ricordo la chiusura domenica mattina, con noi della produzione su un camioncino aperto: dovrei avere una foto che ha immortalato questo momento epico.
Oltre che a un lavoro di ricerca artistica, c’è anche una particolare attenzione alle location: come le avete individuate nel corso degli anni e come sono stati i rapporti con le istituzioni che normalmente le gestiscono?
Nel 2013 mi sono messa alla ricerca della location perfetta. Devo essere sincera, avrei voluto concentrare tutto su Lamezia Terme per il fatto che sono nata qui, perché c’è l’aereoporto, ma non ho mai trovato il posto giusto. Se ma dovessero ristrutturare il Castello di Lamezia si potrebbe fare lì, altrimenti ci sarebbe un’altra ipotesi che non svelo perché deve essere una sorpresa… Comunque, nel 2015 abbiamo avuto un grosso aiuto sotto tutti i punti di vista dall’amministrazione comunale di Aieta che, pur essendo un piccolo paesino in provincia di Cosenza, ci ha supportato sia economicamente che attivamente, il sindaco Giovanni Ceglie è stato uno dei nostri punti di riferimento per quell’edizione e gli vogliamo un gran bene! Anche lo scorso anno avremmo rifatto volentieri il festival sempre lì, ma logisticamente è molto difficile, così ci siamo spostati a Vibo Valentia, nel Castello Normanno-Svevo, già sede del Museo Archeologico Nazionale, a cui abbiamo scelto di affiancare una seconda location, il Castello Aragonese di Pizzo Calabro, anche conosciuto come Palazzo Murat, che utilizziamo per la seconda giornata di festival.
Tra le tante location ce n’è una che ti ha affascinato di più o a cui sei più legata?
Il Palazzo Rinascimentale di Aieta, sicuramente.
Ci puoi raccontare l’edizione di quest’anno? C’è un artista che sei più curiosa di vedere tra i tanti in line up?
L’edizione di quest’anno la sto avvertendo come un limbo, mi sembra incredibile che siamo già alla terza! Gli artisti mi incuriosiscono tutti indistintamente, alcuni chiaramente già li ho già visti live. Credo che Andy Stott sia una scelta molto affine alla sensibilità che cerchiamo di trasmettere: è un grande producer e ha uno stile davvero riconoscibilissimo, sono sicuro che farà un live davvero intenso. Poi altro live pazzesco sarà quello di Larry Gus, promette super bene anche già dalla playlist che ha preparato ad hoc per il festival. Poi sono curiosa, come ogni anno, di seguire la drammaturgia dei lavori visivi. Sarà interessante leggere i dialoghi tra le varie forme espressive dei singoli artisti: questo mi interessa tantissimo nella costruzione del luogo con le opere, immaginare a cosa possa pensare lo spettatore una volta entrato, attraversando le sale interne del Castello. Tutto ciò ascoltando i live che si susseguiranno sui due palchi. Un po‘ felliniana come visione.
Sempre parlando di line up, un occhio più attento riesce a individuare un filo tra il Frac a Roma. C’è un rapporto tra Roma e il festival? Se sì, in che termini? In generale, i tanti festival “di provincia” – passami questo termine – dipendono ancora dalla città o sono pronti per camminare sulle proprie gambe?
Sì, il legame con Roma c’è nel senso che io e Andrea Morello che mi segue in questo cammino sin dal primo momento, ci siamo formati lì, e abbiamo base lì. La nostra intenzione non è assolutamente quella di imitare festival più grandi, ce la stiamo mettendo tutta per non farlo, per avere un’identità chiara e limpida e avere un cammino nostro visibile a sé stante.
Ci dici la soddisfazione maggiore e la difficoltà più grande che fin’ora hai avuto nell organizzare il Frac?
La soddisfazione più grande è realizzare in Calabria una cosa così difficile. Negli scorsi giorni ero a Catanzaro, ad Altrove, un festival pazzesco dedicato all’arte urbana, anche loro hanno una loro identità chiara e limpida, ed è davvero difficile trovare realtà cosi qui. Anche con loro condividiamo le stesse perplessità e ci supportiamo in tutto ma a volte è davvero troppo difficile. Il fatto è che cerchiamo magari l’aiuto delle istituzioni ma non c’è mai o se c’è è raro come nel caso di Aieta.
Ci racconti anche un aneddoto divertente o assurdo successo in questi anni?
Vorrei tanto raccontarne uno di quest’anno ma non posso, prometto che lo farò dopo il Festival. Comunque ora mi viene in mente una cosa paurosissima ma anche divertente: il secondo giorno di FRAC 2015, stavamo per aprire e inizia a diluviare: a un certo punto cade un fulmine a 15 cm dai piedi di Andrea Morello, che mi chiama e mi racconta questa cosa e ci siamo messi a ridere e piangere chiaramente. Ho ancora il ricordo di me che spalavo acqua come una disperata nel cortile esterno, mezz’ora prima di aprire. E poi altre cose tipo: Ghostpoet che si faceva mille selfie nel Palazzo, Koreless che ha deciso di restare due giorni perché si è sentito a casa, e poi le cose assurde che in realtà accadono sempre forse a tutti, potremmo parlarne fino a domani.
Immagino che per molti artisti invitati, sopratutto stranieri, la Calabria sia ancora una terra vergine: come te ne parlano e che reazione hanno?
È una terra assolutamente vergine e proprio per questo gli artisti in realtà sono super felici di venirci a trovare. A FRAC si crea sempre un’atmosfera molto familiare, che non è così scontata, e ogni anno pian piano la famiglia si sta allargando.
Che artista prima o poi ti piacerebbe chiamare al Frac?
Non dico quelli del prossimo anno e quelli più raggiungibili perchè altrimenti li svelo cosi e non va bene, sparo quelli troppo grossi al momento per poterceli permettere ma chissà: Pj Harvey, Einstürzende Neubauten, Jan Fabre, Blood Orange, Solange, De la Soul, Cypress Hill, Savages, e basta mi fermo qui. Magari ci riusciremo e avremo i capelli bianchi quando accadrà.
Un‘ ultima domanda: quest’anno c’è stata una comunicazione congiunta tra tre festival estivi: Frac, Altrove e Color Fest. Che sta succedendo in Calabria?
Sì, ci ci siamo uniti e ci siamo attivati per aiutarci reciprocamente. In realtà di base siamo tutti amici e da quest’anno ancora di più c’è un reale confronto sulle strategie da usare per lavorare al meglio. In più ognuno porta avanti un progetto ben definito e soprattutto tutti siamo attivi su questo territorio tanto bello quanto difficile. Quindi sostenersi è una mano santa e un progresso. Tutti cerchiamo di portare dei contenuti importanti, ciascuno a suo modo, con il proprio linguaggio, non intratteniamo le persone semplicemente, ma cerchiamo di stimolarle e dargli delle suggestioni attraverso dei contenuti pieni di poesia e bellezza. Ascoltateci!