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Go Dugong

Nuovo album in uscita, live di presentazione fissato per il 24 marzo al Monk a Roma per Manifesto. Abbiamo intervistato Go Dugong: baile funk, curaro, pappagalli cacatua e la scena global bass italiana.

Geschrieben von Nicola Gerundino il 12 März 2018
Aggiornato il 20 März 2018

Foto di Luca Orsi

Geburtsdatum

23 Juni 1981 (43 anni)

Geburtsort

Piacenza

Wohnort

Milano

Attività

Dj, Musicista

Lo avevamo intercettato qualche tempo fa in questa breve intervista, realizzata per un grande speciale di ZERO sulla notte di Milano. In vista dell’uscita di un nuovo album per 42Records, Curaro, e del primo live di presentazione previsto per il 24 marzo al Monk di Roma per il festival Manifesto, abbiamo ricontattato Go Dugong – al secolo Giulio Fonseca – per una nuova e più lunga chiacchierata. Anche perché il suo progetto clubbing Balera Favela – che gestisce inseme a Ckrono e prp – ormai va a gonfie vele sia a Milano che a Roma, cosa più unica che rara. Clubbing, pappagalli, baile funk, cumbia, la scena global bass italiana, l’India e la linea 90.

 

ZERO: Facciamo che per questa intervista partiamo dalla fine, intesa anche come club. Qui a Roma ultimamente ti stiamo vedendo spesso dalle parti di via Nazionale – a La Fine, per l’appunto – per una tua residenza mensile, Balera Favela. Di cosa si tratta? Dividiamo la domanda in due e iniziamo con le origini di questo party, che sono milanesi, se non sbaglio.
Confermo, Balera Favela nasce a Milano, ma già con l’idea di renderla itinerante e portarla anche al di fuori della città in cui viviamo. Rispecchia esattamente il mood che cerchiamo e la musica che vorremmo ballare quando ci capita di frequentare un club o una festa. È nata un anno fa dall’unione di tre dj/producer (io, Ckrono e prp) e Marcello Farno, e anche dall’esigenza di creare a Milano un party „global bass“, cosa che non esisteva o comunque non con questo tipo di attitudine, genuina ed inclusiva. Ora i nostri set sono parecchio focalizzati sul baile funk – genere nato nelle favelas di Rio De Janeiro negli anni 80 e che ad oggi si è evoluto in sound unico e riconoscibile – e, in perfetto stile „balera“, cerchiamo di fonderlo con pezzi di storia musicale nazionalpopolare italiana da noi rieditati. Chi viene a uno dei nostri eventi sentirà però anche molto altro: cumbia, 3Ball messicana, moomba, afro, kuduro, ecc… (leggi lo speciale di ZERO dedicato a Balera Favela e al baile funk, ndr)

A Roma come e quando siete „sbarcati“ con Balera Favela?
Ho iniziato la residenza da solo, come Go Dugong, verso la fine dello scorso anno. Ho tastato il terreno per capire se Roma e il pubblico de La Fine fossero aperti a questo tipo di sonorità e, avendo avuto conferme positive, ho deciso di estendere la residenza a tutto il progetto Balera Favela.

Qual è stata la tua sensazione dopo il primo party qui a Roma?
Delirio! La pista è carichissima, ma anche molto esigente e colta. Se sei capace di conquistarla ti restituisce davvero molto. La prima volta che ho suonato ho messo musica per cinque ore di fila e penso che qualcuno mi abbia anche minacciato di morte quando ho espresso la volontà di terminare il set…

A La Fine ti abbiamo visto e ballato in combo con Ckrono. Chi è e come lo hai incontrato?
Gianluca, oltre ad essere una persona meravigliosa, è anche uno dei migliori dj che abbia mai visto e conosciuto. È uno dei punti di riferimento nel mondo global bass a livello internazionale. La sua musica è stata pubblicata da etichette come Fania, Enchufada e Trax. Con il suo progetto precedente, Ckrono & Slesh, ha realizzato roba straordinaria che tutt’ora suoniamo e che puntualmente incendia le piste. Ci si conosceva di vista, io bazzicavo tanto Firenze e ci siamo incontrati spesso lì, ma ai tempi non abbiamo avuto modo di approfondire la nostra conoscenza. Entrambi ci siamo trasferiti a Milano negli ultimi anni e la prima persona che spontaneamente ho pensato di contattare per proporre l’idea di Balera Favela è stata lui.

Grazie a lui ho avuto modo di conoscere anche Pierpaolo (prp), il „giovane“ della banda. Pierpaolo è un altro genio, ha 24 anni, anche lui ha pubblicato per Enchufada e ha fatto due ep stratosferici per l’ungherese Babylon Records, dove è anche recentemente entrato nel direttivo. Bellissima cosa Balera Favela, anche solo perché mi ha dato la possibilità di conoscere due persone come loro, persone con cui sono stato molto a stretto contatto in quest’ultimo anno, da cui ho imparato tanto e che ormai posso considerare veri amici.

Oltre a Roma e Milano avete portato Balera Favela anche in qualche altra città italiana? E all’estero?
Siamo stati già in parecchie città italiane – come Firenze, Urbino, Bari – ed è sempre stata un successo. Stiamo creando anche importanti connessioni con l’estero per riuscire a esportare il format anche fuori dall’Italia.

Come sei arrivato a conoscere tutta questa serie di suoni “altri”?
Come ti dicevo prima, ho bazzicato Firenze per un po‘ e lì ho avuto la fortuna di sentire, suonare e successivamente conoscere Biga, dj, producer, digger e collezionista fiorentino che mi ha introdotto a parecchie cose del mondo latino – Brasile e Colombia soprattutto – che non conoscevo. È come se Biga mi avesse passato la cassettina. Poi, ovviamente, ho continuato per conto mio la ricerca attraverso internet, viaggi e soprattutto tanta musica comprata e ascoltata.

Le influenze sono arrivate anche dalle città italiane in cui suoni e vivi? Le comunità sudamericane, africane o brasiliane non mancano, a Roma come a Milano.
Certo, ho fatto anche un disco, Novanta, influenzato dal meltin‘ pot e dalla multicultularità Milanese.

C’è voluto tempo prima che assorbissi questi suoni e fossi in grado di maneggiarli a tal punto da poterci costruire un album come il tuo ultimo, Curaro? Un bell’album, aggiungo.
Grazie mille! In realtà non c’è mai stato l’intento di prendere una cosa e rifarla uguale o simile all’originale. Ho cercato l’ispirazione, ma ho anche cercato di fare le cose a modo mio, correndo il rischio che alcuni pezzi, privati di alcuni elementi canonici e identitari del genere, perdessero di forza. Se ascolti con attenzione questo disco sentirai tante influenze e tanti generi diversi mescolarsi tra loro, ma, a parte i due pezzi dub più „standard“, il resto dell’album non ha un’identità precisa. E questa cosa è voluta e mi piace un sacco. Mi sono concentrato di più sulle idee e ispirazioni, che spesso partivano da letture piuttosto che da ascolti.

Quanto c’è di Balera Favela all’interno di Curaro?
A dire la verità non molto. Non è un album pensato per il dancefloor.

Effettivamente nei brani ci ho trovato più dub e cumbia che non influenze baile funk, che invece sono predominanti nei tuoi dj set. Scelta casuale o voluta?
Voluta. Cerco di usare il „linguaggio“ che ritengo più appropriato per raccontare una storia attraverso la musica e il baile funk non era quello giusto per questa.

Prima di questo nuovo album c’era stato un ep che aveva fatto presagire molte cose: (Indian) Furs. Se non ricordo male dietro quei brani c’era un lungo viaggio fatto in Asia.
Sì, era più un ep che un album. Fa parte di una sorta di „side project“ – Furs, appunto – con cui mi sono prefissato l’obiettivo di comporre musica con suoni registrati durante un viaggio, cercando di trasmetterne il mood. Il primo è stato fatto con suoni presi in India. Tornato a casa mi sono messo a giocare con loop e field recording ed è nato (Indian) Furs. Ho impiegato quindi 35 minuti – la lunghezza esatta dell’ep – per registrarlo: presa diretta e buona la prima. Un lavoro diverso, meno istintivo, lo sto facendo con (Moroccan) Furs – registrato l’anno scorso durante un viaggio in Marocco – un po‘ a causa della mole di materiale registrato e un po‘ perché, a differenza da quello indiano, sono presenti più parti musicali e strumenti tradizionali rispetto a suoni ambientali e field recording. È un materiale che necessita un altro tipo di trattamento.

Da dove arriva il nome Curaro?
Come ti raccontavo prima, mi sono lasciato ispirare da miti e leggende della cultura tribale. Tra questi c’è anche la venerazione di presunti esseri alieni dotati di una conoscenza superiore, approdati sul nostro pianeta in tempi remoti, che hanno istruito e creato geneticamente l’essere umano. È molto curioso constatare come popoli praticamente analfabeti e privi di alcuna strumentazione scientifica riescano ad avere conoscenze molto avanzate.
I Dogon, in Mali, conoscono alla perfezione il funzionamento del sistema solare da molto più tempo rispetto agli astronomi occidentali, così come gli Indi del Rio delle Amazzoni. È un mistero come siano riusciti a scoprire da soli un potente veleno come il curaro che necessità di un processo di estrazione molto complesso. Gli esploratori e studiosi occidentali hanno impiegato centinaia di anni per capire la tecnica di preparazione di questo estratto vegetale, usato oggi anche nella nostra medicina. Volevo dare un titolo che facesse da cappello all’album e la scelta è stata molto difficile perché le influenze e le ispirazioni sono state tante. Curaro mi è sembrato un nome ideale che descrive bene anche il mood bello velenoso e „dispettoso“ del disco.

Che immagine ci sarà in copertina? L’hai scelta tu?
L’ho impaginata io stesso assemblando lettere e simboli disegnati da DEM, in modo da formare una sorta di „quadrato magico“, a metà tra un geroglifico alieno e incisioni rupestri.

La copertina di "Curaro".
La copertina di „Curaro“.

Anche quest’album uscirà per 42 Records: un sodalizio ormai di lunga data
Conosco i ragazzi di 42 ormai da più di dieci anni e ho visto questa etichetta nascere e crescere. Action, Please! dei Kobenahvn Store – la mia band e progetto precedente – è stato il terzo disco prodotto da 42 Records, etichetta nata proprio mentre lo stavamo registrando con uno dei due futuri boss, Giacomo Fiorenza, con cui ho lavorato anche per il missaggio di Curaro.

Hai lavorato con una band per registrare i brani?
No, nel senso che non ci siamo trovati in sala prove tutti assieme. Partendo da una mia idea di brano, ogni musicista con cui ho collaborato ha aggiunto del suo, chi reinterpretando le mie idee e risuonandole a modo proprio, chi inventando proprio da zero. Con alcuni di loro ho lavorato a distanza e con altri fianco a fianco. A parte la prima traccia, Moran, con qualche flauto andino qua e là, ci sono pochissimi sample in questo disco, a differenza dei miei precedenti A Love Explosion e Novanta.

Più che chiederti un racconto dei singoli brani, mi piacerebbe un racconto dei vari featuring: cosa ti ha colpito di ogni singolo artista e che contributo ha dato all’album. Partiamo da Miriam Garcia.
Sono rimasto folgorato dalla sua voce quando l’ho sentita nel pezzo Coplita di Chancha Via Circuito; mi sono informato su di lei e ho scoperto un’artista formidabile. Le ho scritto e dopo mesi, proprio quando non ci speravo più, mi ha risposto dicendo di essere entusiasta di collaborare. Voleva cantare anche su altre demo che le avevo passato, ma non c’è stata la possibilità. Spero di collaborare ancora con lei in futuro e di conoscerla di persona.

Mai Mai Mai
A un certo punto le nostre strade si sono incrociate, dal punto di vista umano prima ancora che artistico. Poi è scattato l’amore anche dal punto di vista musicale: Mai Mai Mai è in grado di farmi piacere un genere di non facile fruizione, pur appartenendo a un mondo completamente differente in quanto a gusti musicali. In generale, io sono un curioso e attratto da tutto ciò che è diverso da me e da quello che faccio. Visti i temi trattati nel disco ed essendo Mai Mai Mai uno dei portabandiera della „psichedelia occulta italiana“, mi sembrava più che coerente fare un pezzo assieme. Ne è venuto fuori uno dei miei preferiti dell’album.

Soraia Drummond
Le ho fatto la corte per diversi anni quando scoprii dei suoi pezzi su Soundcloud e a ’sto giro ce l’abbiamo fatta. Una voce stupenda del panorama reggae brasiliano.

Technoir
Loro li ho scoperti grazie a un video (random) visto su Facebook. Era il video di una loro esibizione live su una terrazza a Milano e mi hanno colpito tantissimo: Jennifer ha una voce stratosferica e Alex è un bravissimo producer. Li ho contattati e, dopo aver scoperto che si erano appena trasferiti anche loro a Milano da Genova, li ho invitati a casa mia dove abbiamo ascoltato i pezzi e buttato giù idee. Nel frattempo è passata tanta acqua sotto i ponti e loro sono cresciuti moltissimo.

Populous
Va be‘, Populous è mio fratello. È impressionante come ci ritroviamo ogni volta a scoprire che stiamo facendo ricerca sulle stesse cose. La cosa bella, secondo me, è che partiamo spesso dalle stesse ispirazioni e poi ognuno le sviluppa a suo modo e col suo tocco personale. In questo disco Populous è stato molto importante per i consigli che mi ha dato, riguardanti non solo il pezzo in cui abbiamo collaborato. Ah, siamo anche vagamente telepatici.

Teme Tan
È un artista di origini belga-congolesi che ha debuttato l’anno scorso su Pias con un disco omonimo. L’ho conosciuto in un modo un po‘ assurdo. Suonava al Tunnel – club milanese situato proprio dietro casa mia – e ci ha contatto su Airbnb per affittare una stanza. Abbiamo passato una bella serata assieme, lasciandoci con la promessa di collaborare. E così è stato.

A Roma presenterai l’album all’interno di Manifesto, al Monk. Sarà il primo live di presentazione?
Sì, con tutti gli eventuali problemi e tutte le rigidità del caso. Ma è il suo bello.

Sarai da solo sul palco?
No, saremo in trio: elettronica, basso e batteria. Essendo un album più suonato che elettronico, avere dei musicisti reali sul palco è di sicuro più appropriato e interessante. Il live sarà supportato dall’uso di alcune maschere e costumi ispirati a creature immaginarie provenienti da altri mondi e all’estetica tribale globale.

Go Dugong Trio. Foto di Luca Orsi.
Go Dugong Trio. Foto di Luca Orsi.

Quanto ci sarà del nuovo album nel live?
Suonerò solo il nuovo album. Difficilmente suono vecchi pezzi quando presento un disco nuovo.

Quanto balleremo da 1 a 10?
Come ti dicevo, non è un disco pensato per il dancefloor. Vedremo che impatto avrà sulla gente. Ad ora non saprei dirtelo, non ne ho idea. Potrebbe essere 0 come 10.

Quali altri artisti di Manifesto sei curioso di ascoltare dal vivo?
In generale conosco molto bene tutti e ho avuto modo di suonare con quasi tutti gli artisti in line up. Sono molto curioso di sentire il nuovo materiale di Jhon Montoya.

Ti capita spesso di suonare per festival in Italia? Ce ne dici qualcuno dove ti sei particolarmente divertito ultimamente?
L‘Indie Rocket a Pescara resta sempre uno dei miei festival preferiti. Spring Attitude a Roma e roBOt a Bologna sono sempre divertenti, sempre belle vibrazioni e tanta empatia da parte di chi organizza, tutte cose che contribuiscono non poco a una migliore la resa sul palco.

E all’estero?
Sempre troppo poco. Festival pochi, una volta al Barrakud a Corfù (ma comunque organizzato da italiani) e una volta a Rennes al Trans Musicales. Ho fatto qualche data „spot“, ma mi piacerebbe tanto aumentare la mia attività live anche all’estero. Non è facile…

Chiudo con una domanda di ornitologia, visto che molti brani di Curaro iniziano con un cinguettio, ti chiedo la tua top five dei volatili.
1. Pappagallo Cacatua
2. Kakapo
3. Gufo della foresta
4. Tucano
5. Bucero bicorne

Il cacatua bianco.
Il cacatua bianco.