Due anni di assenza si sono sentiti, anche se loro in realtà fermi non lo sono mai stati, continuando a muoversi come sempre dietro le vie, instancabili lottatori in un mondo che li vuole anacronistici. Invece i ragazzi e le ragazze de La Terra Trema non hanno mollato un centimetro e grazie al lavoro costante – anche attraverso i mercati agricoli e L’Almanacco – sono finalmente tornati negli spazi del Leoncavallo (che non hanno mai abbandonato) con La Terra Trema, fiera feroci di vini, cibi e relazioni. Li abbiamo intervistati qui perchè ci sembrava doveroso dopo due anni di pandemia e una crisi globale, chiedergli come va, come stanno, come se la sono passata in questi anni e soprattutto ricordare a tutti chi sono e da dove vengono. In questa intervista ci offrono anche il loro punto di vista su Milano, quartieri, gentrificazione, prospettive e futuro. Ci vediamo a La Terra Trema, dal 25 al 27 novembre.
La Terra Trema è diventata approdo desiderato, motivo di incontro, di viaggio, di coinvolgimento grandissimo.
Torna La Terra Trema, dopo due anni di assenza per le cause che tutti conosciamo e per cui voi non avete voluto piegarvi, sottostando a imposizioni e regole di condotta scese dall’alto. Come avete vissuto questo periodo di ferma, cosa avete maturato, perché La Terra Trema non si è mai veramente fermata?
Nell’arco di questo tempo lungo e cristallizzato abbiamo avuto modo di ragionare molto, forse addirittura troppo. Da una parte sapevamo che una manifestazione come La Terra Trema non avrebbe potuto aver luogo a quelle condizioni, neanche ci fossero state aperture “istituzionali”, quello che era accaduto e stava ancora accadendo lasciava postumi troppo dolorosi per passarci sopra con una festa. Dall’altra ragionavamo sulla necessità di non rinunciare, di tornare a lavorare per l’incontro fisico tra persone, di incrinare quella relazione iperconnessa e nuova che si stava insinuando attraverso gli schermi di smartphone e computer anche nella fruizione di vini e cibi.
Ridimensionando la misura, cercando di accudire l’occasione senza troppo intervenire, abbiamo messo in atto due anni di Eufemia, un mercato agricolo mensile nel cortile del Leoncavallo, creando le condizioni affinché ciascuno potesse riprendere in mano la responsabilità del confronto fisico, in presenza, in autogestione. È stata un’occasione d’incontro tra noi, con le produttrici e i produttori de La Terra Trema, con il pubblico che solitamente l’attraversa. Eufemia è stata luogo di un confronto molto più morbido, languido. La Terra Trema nei tre giorni non concede tutta quella quiete. Eufemia è stata attraversata da tanti agricoltori, vignaiole e vignaioli che non vedevamo da tempo: Sa Defenza dalla Sardegna, Marta di Dei Agre dalla Puglia, Granja Farm dalla Val di Susa, per citarne alcuni. Eufemia ci ha regalato la possibilità di un ultimo abbraccio a Gregorio Rotolo, che dall’Abruzzo aveva colto gioiosamente l’invito e che è venuto a mancare alcuni mesi dopo. Sopra tutto questo, negli anni pandemici, il lavoro su L’Almanacco de La Terra Trema ha continuato a scorrere copioso. Da questo punto di vista è stata una possibilità su cui abbiamo potuto mettere testa più che in altri momenti. La produzione di quelle pagine è stata linfa, motivo di viaggio, di analisi ed escursione nel mondo nuovo post covid.
Che edizione sarà la prossima, dal 25 al 27 novembre negli spazi consueti del Leoncavallo. Il motto di quest’anno è Vieni Tempesta. Ci spiegate quali sono le vostre politiche, i vostri pensieri, in che mondo torna La Terra Trema, in quale scenario e quali sono le urgenze da affrontare?
Vieni tempesta è ancora una volta un invito alla messa in discussione. Quelli pandemici sono stati anni di ridimensionamento anche per le pratiche politiche dei/coi nostri corpi. Sono stati teatro di un cambiamento fulminante che ha segnato un passaggio lampante sia per le «vecchie» generazioni, cresciute tra pratiche di militanza, occupazioni, cortei, sia per le nuovissime, che certi panorami non li hanno ancora/mai ben sondati. I segnali li percepivamo anche prima, erano evidenti, la pandemia ha solo assestato un colpo più forte e, si badi, non solo con le restrizioni. È diventato più difficile fare conflitto: il panorama istituzionale criminalizza fortemente le lotte, il dissenso, l’autogestione, l’autorganizzazione, la solidarietà, l’opposizione sociale. Lo spostamento dei «contenuti» delle nostre vite e delle nostre esperienze dal concreto alla «connessione» digitale, ha fatto il resto, segnando un passaggio epocale. Il tempo dedicato alla vita (anche politica) e il tempo dedicato alla rappresentazione digitale della vita (anche politica) hanno preso a intrecciarsi fortemente, in alcuni casi lasciando indietro le possibilità di un esperire senza l’interferenza digitale, sia essa filmata, bypassata da un social network o da una app, tracciata da un pagamento on line. Vieni tempesta dice che è il tempo di tornare a prendere un po’ di schiaffi reali e affrontare le intemperie/il mondo.
La Terra Trema è però diventata approdo desiderato, motivo di incontro, di viaggio, di coinvolgimento grandissimo.
Cosa sarà l’edizione che verrà de La Terra Trema è un grande enigma emotivo anche per noi. Certo è stata una costruzione faticosa, appesantita dalle incertezze, ma come ogni volta ha richiesto un grande lavoro di studio e questo ci piace. Pensare agli incontri, alle degustazioni, alla selezione degli agricoltori e delle agricoltrici, ai concerti e ai laboratori, elaborare una manifestazione di tre giorni in autogestione, autofinanziando ogni pezzo in modo indipendente è tutto meno che scontato, anche perché La Terra Trema è fatta da un numero infinito di pezzi. La Terra Trema è però diventata approdo desiderato, motivo di incontro, di viaggio, di coinvolgimento grandissimo. Moltissime persone decidono di partecipare a questa sfida, venendo a noi anche da tanto lontano. Quest’anno arriveranno fisicamente vignaioli georgiani, com’era successo con Fareed ed Eyad Taamallah dalla Palestina. Questa volta saranno storie di vigne lontanissime, un luogo che vanta 8000 annate e ha da raccontarci moltissimo.
Facciamo un passo indietro, anzi parecchi indietro. Dopo 14 fiere e 20 anni di attività di cose ne avete da dire. Ma partiamo dalle basi: chi c’è dietro LTT, chi siete e da che mondi provenite?
Dietro La Terra Trema c’è una manciata di persone che ha tenuto in vita questo progetto con molta ostinazione, portandolo dal niente sino a questo punto. Dietro La Terra Trema ci sono pratiche che si incrociano, ci sono Folletto25603, Leoncavallo spazio pubblico autogestito, le persone che hanno animato e animano questi spazi. C’è la storia di t/Terra e libertà /Critical Wine. La gran parte delle persone che hanno lavorato e lavorano a La Terra Trema arriva
dall’esperienza dei centri sociali occupati e autogestiti ma la forza di questa esperienza è quella di aver messo insieme anche mondi molto diversi, tra metropoli, periferia e provincia, campagna e vigna, mari e montagna.
LTT è una fiera con un suo riconoscimento nazionale e non, e parte da lontano. Una storia che merita di essere rispolverata, soprattutto alle nuove generazioni. Possiamo ripercorrere insieme la vostra genesi?
«In un pugno di giovani estremi e Veronelli l’intuizione per il nuovo secolo: portare la campagna in città, nei centri sociali, negli spazi autogestiti, nei luoghi metropolitani per eccellenza, protagonisti e simbolo, in Italia, della cultura alternativa e conflittuale. L’incontro tra i vignaioli (i più conosciuti e famosi e quelli che lo diventeranno) e i giovani (e meno giovani) dei Centri Sociali. Uomini e donne di mondi così lontani si incontrano. Sono i primi giorni del dicembre 2003 quando Critical Wine approda al Leoncavallo». Questo è quello che puoi leggere nella nostra bio. Tra le migliaia di persone al Leoncavallo in quei giorni c’eravamo noi, animatori di un piccolo spazio occupato, un casello ferroviario lungo i binari ad Abbiategrasso, un territorio a tutt’oggi a forte vocazione agricola, abbracciato da Parco del Ticino e Parco Agricolo Sud Milano. Oltre ad essere attivi in uno spazio che riconduce alla storia dei centri sociali metropolitani portavamo l’esperienza di chi era cresciuto in campagna, in famiglie contadine. Avevamo letto Luigi Veronelli, Piero Camporesi e Mario Soldati. Le porte del Leoncavallo le avevamo attraversate tante volte, ma nei giorni di Critical Wine ci rendevamo conto che stava succedendo qualcosa di epocale. È stato questo il contatto con il connettivo carnale di t/Terra e Libertà/Critical Wine.
Luigi Veronelli muore il 29 novembre 2004. Nel febbraio del 2005, ad Abbiategrasso, tra le vecchie mura del Circolo dei Contadini, il Folletto25603 organizza per la prima volta La Terra Trema, invitando gli agricoltori della zona, i compagni del Critical Wine, alcuni vignaioli conosciuti al Leoncavallo e altri scoperti nelle prime timide ricerche. Per il territorio è una scossa. Si
intensificheranno le relazioni con le realtà agricole del Parco del Ticino e del Parco sud Milano con cui il Folletto25603 condivideva già da qualche anno la battaglia No Tangenziale per fermare la superstrada per l’aeroporto di Malpensa, ovvero la futura tangenziale ovest esterna di Milano, che avrebbe dovuto passare tra le campagne abbiatensi devastandole. Anni prima avevamo sfilato insieme agli agricoltori con i trattori, cortei dove il trattore dei folletti e delle follette trainava un carro che sparava musica e voci da un impianto audio. Sul trattore sventolava una bandiera con un Jolly Roger cucito dalle stesse mani che, anni dopo, avrebbero preparato tutte le Roncole d’oro che assegniamo in premio a fine manifestazione.
Nel 2005 compagni e compagne del Leoncavallo, della Chimica, del Folletto25603, del Magazzino47, di Radio Onda D’Urto e DeriveApprodi realizzano la seconda edizione della Fiera dei Particolari t/Terra e libertà/Critical Wine al Leoncavallo. Altre ce ne saranno in giro per l’Italia. Nel 2006, ad Abbiategrasso, ha luogo la seconda edizione de La Terra Trema. Si moltiplicano
riflessioni intorno ai temi del cibo, della gastronomia, dell’agricoltura, sulla distribuzione, il consumo, le filiere, gli organismi geneticamente modificati, le relazioni sensoriali e gustative, il sapere e i sapori, il prezzo sorgente, l’autocertificazione, la co-produzione. Si elaborano proposte e progetti, manifestazioni e incontri mai visti prima in Italia e in Europa. Ma arriva anche a un punto in cui il connettivo nazionale t/Terra e libertà/Critical Wine deflagra, per ragioni diverse, una buona per ognuno dei protagonisti di quella straordinaria storia. In noi, matura forte il desiderio di dare continuità e allo stesso tempo di sciogliere il vincolo. È così che, a partire dall’esperienza e dalle relazioni maturate negli anni precedenti, Leoncavallo e Folletto25603 decidono di portare La Terra Trema a Milano con la prima edizione del 2007.
E quali sono state le manifestazioni in questi anni più sentite o più difficili, quelle più belle e quelle più complicate.
La Terra Trema è una manifestazione davvero viscerale, è difficile prenderla con distacco. L’abbiamo vissuta con ogni stato d’animo possibile, probabilmente. Con indolenza ed estrema serietà, con incazzature furenti, gioia, l’abbiamo vissuta da partorienti, allattando, con la schiena rotta, la faccia tosta, le febbri, inebriati, da nerd conclamati. Non è possibile stabilire una
graduatoria di amore e di odio. Anche questi stessi due anni di assenza, è mancata ma abbiamo saputo farne a meno, abbiamo saputo aspettarla.
Quanto Luigi Veronelli è stato importante per voi? E il Leoncavallo che ruolo ha avuto negli anni?
Luigi Veronelli è stato mentore, genio generativo ma non soltanto per aver saputo indirizzare la sua intuizione. La letteratura che ha prodotto è un patrimonio forse ancora più grande, perché disponibile a tutti. Noi abbiamo attinto moltissimo e continuiamo a farlo, ci ha insegnato che è un
bene scrivere, appuntare, prendere nota. Ha raccontato il cibo, il vino, i territori e le persone che li producevano materialmente, seguendo miceli sotterranei, nascosti, ramificati, invisibili, impercettibili ai più e li ha mostrati a persone come noi. Ha annotato passaggi cruciali della storia d’Italia. Non a caso ha visto nel Leoncavallo un luogo deputato alla sua visione. Per l’attitudine punk, riot e rigorosa al contempo. Negli anni della pandemia si è visto il Leoncavallo tenere botta, come pochissime altre realtà. Non ha mai chiuso le porte in faccia a nessuno, anzi, ha moltiplicato le possibilità di apertura non solo per le iniziative ma anche per i gruppi, le persone, senza paraocchi, senza paura, responsabilmente. Oggi in Italia pochi spazi possono vantare questa capacità.
Quali erano i problemi sociali del mondo in cui si affacciava LTT di quegli anni e com’è cambiato il suo corso nel tempo: quali differenze tra ieri e oggi?
Iniziavamo quando la questione del vino di qualità imponeva riflessioni sull’accessibilità e sul prezzo. Vini vivi, prodotti con «sensibilità planetaria» e cura venivano pagati ai produttori molto poco da ristorazione e distribuzione e solo in rare occasioni l’accesso al vino di qualità si dimostrava abbordabile, orizzontale. Le rivendicazioni di quei tempi, l’insistenza su questioni per
noi basilari come autocertificazione e prezzo sorgente hanno nei fatti cambiato di molto le prospettive. Oggi il panorama è molto diverso. Ma il punto centrale è che La Terra Trema ha insegnato al pubblico che la attraversa, noi compresi, cosa significa bere un vino di qualità conoscendo le sue origini e le persone che lo producono e, negli anni, tutti coloro che l’hanno attraversata hanno coltivato competenze che oggi sono altissime. La Terra Trema ha segnato nuove strade, anche professionali. Non è la prima volta che questa cosa accade dentro uno spazio occupato. Altre mille volte è successo che questi luoghi siano stati professionalmente propulsivi nella produzione musicale, nella street art, negli studi di urbanistica, nel panorama cinematografico, letterario, artistico e culturale tout court. Oggi attraversare La Terra Trema significa farsi avvolgere da dialoghi tra persone che si intendono bene.
LTT è la fiera feroce di vini, cibi e relazioni: dà voce a piccoli produttori, vignaioli indipendenti, gente resistente e contro le logiche del sistema. In questi anni ne sono passati tanti, potete dirci chi sono quelli più affezionati, chi non vi ha mai lasciato in questi anni. Insomma chi sono i vecchi amici de LTT?
Beh sì, è vero, c’è uno zoccolo duro, un intero peristilio di colonne portanti e succede che qualcuna ci lasci dolorosamente come Claudia Panichi di Paterna, Fabien Pascaud, Gregorio Rotolo recentemente. Succede anche che qualcuno prenda strade diverse, anche qui tra le mille declinazioni che questo comporta, per mille scelte diverse. Daniele Marziali, ad esempio, fornaio anarchico iconico, ha deciso da qualche anno di ridimensionare la portata dei suoi affari, di rimanere nel suo territorio, di vendere il suo pane, i suoi biscotti, i bustreng solo e non oltre gli immediati paraggi del suo forno, andando a consegnare lui stesso, giorno per giorno, alle signore sue belle. Scelte così ci auguriamo siano sempre più ricorrenti. Autosostegno dei territori, economie contenute, veramente ecologiche. Per il resto c’è una dimensione affettiva che rende
impossibile fare un nome piuttosto che un altro, una relazione continuativa, che delle volte prevede anche di sentirsi ogni giorno. Una specie di famiglia amorosa che non vede l’ora di dirsi cose anche frivole delle volte.
Nel 2015 in una precedente intervista ci avete detto che LTT non è una manifestazione sul vino biologico o naturale o biodinamico. Non assecondate etichette né mode ma parlate di vini di territorio e di persone. Oggi c’è un particolare “trend” verso questi tipi di vini, che ne pensate? Quanto è autentico?
Forse il problema non è nell’autenticità ma in tutto quello che questo trend produce. Una marea sconfinata di luoghi del consumo, su questa terra e in quella degli infiniti metaversi. Quanto tutto questo possa reggere ce lo chiediamo.
Chi secondo voi invece fa un lavoro coerente e preciso sul vino o sulla tematica del cibo?
Esistono tante realtà che a partire dai propri territori lavorano in modo coerente su produzione e consumo. Piccole comunità di luogo che determinano sorti, economie, socialità, combattendo anche. Accade in Abruzzo, in Val di Susa, in Valtellina, in Lunigiana, in Francia…
A proposito di mode e tendenze, parliamo di Milano: gentrificazione, turistificazione, gastrocrazia, riqualificazione, foodification, sono sempre state le vostre denunce verso la città. Come vedete Milano ora e quale secondo voi è una previsione plausibile del suo futuro.
Non è difficile immaginare una città sempre più inabissata nelle sue contraddizioni. La credibilità mondiale di questa città, malgrado il proclamato rinascimento, malgrado i palazzi, City Life, gli «eventi», deflagra su se stessa se guardi allo stato (vergognoso) delle cose dentro i CPR, a certi quartieri periferici, all’accesso a una casa, ai servizi sociali senza subire l’umiliazione e il ricatto della carità. Anche qui, ci chiediamo quanto possa durare tutto questo, quanto può durare se politiche di aiuto, progetti sociali e welfare sono gestiti quasi esclusivamente da capitali privati. Quanto se il welfare pubblico si dissolve nel silenzio. Milano sembra non comprendere più altro che la ragione imprenditoriale, è un peccato. «Milano è una città che sbrana, sussume, rivende. Emblema di questo insano mercimonio, è riuscita a mercificare ogni cosa: visioni, riti conviviali, solidarietà, quartieri, questioni sociali, relazioni, cultura, uso di strade e piazze. I vini, i cibi, le agricolture, l’indotto che ne consegue, sono spesso funzionali a tutto questo. Venirne a capo non è facile». È quanto abbiamo scritto sul comunicato.
Cosa vi piace di Milano invece, cosa per voi è ancora autentico.
Forse perché li abbiamo visti (e quindi siamo vecchi), ci piacciono tutti quegli spazi residuali ancora pieni di Novecento, quei luoghi che continuano a esistere senza portare i segni del nuovo secolo. A volte sono apparizioni: ragazzi su biciclette sgangherate con la borsa per il calcio e la maglia della squadra, vecchi che giocano a carte al bar, vita di cortile nelle case di ringhiera,
profumi forti delle case all’ora di pranzo e di cena, certi alberi enormi.
Una volta vi abbiamo chiesto quali bottiglie portereste sulla luna. Ci avevate detto: Il Dolcetto di Pino Ratto, il Prosecco di Eris Spagnol, il chiaretto di Elena Parona de La Basia. È ancora valido?
Sì, è ancora questa la cassa del cuore.
Possiamo portare anche un po’ di farina di castagne? Quella di Alessandro Cagnasso de La Bucolika di Fazzano di Fivizzano (MS).