Diego Sileo è l’anima del PAC, è la colonna che resta solidamente a sostenere l’istituzione anche nei momenti di vuoto, di passaggio tra una giunta e l’altra, tra un comitato scientifico e l’altro. Esperto di arte latino-americana e di arte performativa, ha portato a Milano, tra i muri di Gardella, dei giganti come Vanessa Beecroft, Yayoi Kusama, Franko B, e curato le mostre personali di Marina Abramović e Regina José Galindo. Cuba. Tatuare la storia è una mostra cruciale, che interseca la storia di un paese dove tutto è politico e tutto è turismo, con tutti i drammi connessi a questa condizione, con una produzione artistica di rara prolificità.
ZERO: Questa di Cuba è una mostra che fa parte di un ciclo di ricognizione dell’arte mondiale: una volta all’anno il Pac compie una grande ricerca su un’area geografica appartenente a un continente diverso. L’anno scorso era la Cina, l’anno prossimo sarà la volta dell’Africa. La scelta dell’America Latina ti appartiene al 100%, è la schiuma dei tuoi studi. Ma perché Cuba in particolare?
Diego Sileo: Perché Cuba indubbiamente è il paese dell’America Latina che più di ogni altro ha influenzato la storia politico-economica del XX secolo e a tutt’oggi ne sta muovendo i fili con sapiente e inaspettata lucidità; perché ha perseverato con diabolica ostinazione in un’ideologia e in un credo anacronistici, anche quando questi hanno decretato il fallimento di paesi politicamente affini a Cuba; perché nonostante l’epoca avanzata e tecnologica in cui viviamo, travolti da sempre più inimmaginabili scenari, tutti noi ci stiamo domandando come cambierà un’isola che si sta scontrando per la prima volta con la modernità; o non da ultimo proprio perché Cuba ha dato i natali ad alcuni dei più straordinari e rivoluzionari – mai termine fu più adeguato – artisti contemporanei.
La mostra, ricchissima di artisti, insiste soprattutto su due elementi: la relazione con la storia e con il corpo, spesso peraltro intrecciati. La critica e la performance, la reazione contro una violenza collettiva e personale, il rapporto complesso con la censura. Ci puoi fare qualche esempio di quello che vedremo?
L’azione performativa, la corporeità, la fisicità sono tutti elementi evocati sin dal titolo della mostra: Tatuare -appunto – la storia sul proprio corpo, raccontare la propria realtà attraverso il corpo. Corpo bello, corpo sublime, corpo spaventoso, corpo straordinario: lo sguardo gioca a inventare i suoi significati. Qui si annidano le forme e i simboli del vedere che inscrivono in questo territorio indefinito geografie e geologie della rappresentazione. Il corpo come scrittura geografica disegna i piani di significato, dai canoni dell’arte fino a quelli del suo significato politico. In mostra avremo numerose documentazioni di performance del passato – tra tutte, un vero e proprio omaggio ad Ana Mendieta – e tre nuove perfomance ideate appositamente per il PAC da 3 giovani artisti, forse i più talentuosi della nuova generazione cresciuta a Cuba sotto il vigile sguardo di Tania Bruguera. E laddove il corpo non è esplicitamente esibito, è soggetto da fotografare, riprendere e disegnare.
Negli anni passati hai ideato le mostre/performance di Vanessa Beecroft, di Franko B., di Regina Galindo, e di Marina Abramovic. Ci racconti come sono state concepite? Ricordi momenti emozionanti, a parte lo svenimento di Boeri?
Sono tutte nate da una mia forte passione per questi artisti, dal desiderio di conoscerli e lavorare con loro, e soprattutto dalla mia convinzione che potessero essere delle proposte interessanti e coinvolgenti per la città. Non sono tanti gli spazi espositivi/musei in Italia che si avventurano nella produzione e realizzazione di performance e il fatto che sia uno spazio pubblico a farlo ne accresce – a parer mio – la valenza. Ovviamente Marina era il sogno che si realizzava, il mito da avvicinare ma anche la delusione da somatizzare, conoscere Regina José Galindo, invece, mi ha cambiato la vita, non solo quella professionale. La sua sincerità e la sua professionalità sono disarmanti e rare in questo ambiente.
Come si posiziona il PAC nella costellazione milanese dell’arte contemporanea secondo te? E come vorresti che fosse? Se avessi i mezzi per trasformarlo a tuo piacimento cosa ne faresti?
Si posiziona in trincea, tra giganti privati che oggi dominano il panorama dell’arte contemporanea (dettando in taluni casi anche „le regole del gioco“) e una crescente difficoltà economica della Pubblica Amministrazione che ne accentua le differenze. Ciò nonostante non ci arrendiamo e riusciamo ancora a sorprenderci delle nostre stesse forze. Vorrei che fosse quello che è: la voce dell’arte contemporanea a Milano….certo, qualche mezzo in più ci aiuterebbe a perfezionarci e ad affrontare meglio le esigenze che avanzano nel settore, anche se non posso non ringraziare i nostri fedelissimi sponsor grazie ai quali riusciamo comunque a proporre alla città mostre importanti e impegnative come sono state quelle di Yayoi Kusama o Marina Abramovic.
Dal punto di vista strutturale il PAC è un’entità difficile da interpretare per i non addetti: è pubblico, lo staff curatoriale dipende dagli assessori alla cultura in carica, ma ospita anche mostre di privati. Com’è visto dall’interno, nel ruolo di unico conservatore fisso? Cambiare spesso squadra rende il lavoro più faticoso o più interessante?
I cambiamenti sono sempre difficili e faticosi, ovvio, e spesso sono il nemico giurato della programmazione a lungo termine. C’è anche da sottolineare, però, che pur essendo il PAC ancora un’entità difficile da interpretare per i non addetti (in questo forse hai proprio ragione), è la diffidenza dei cosiddetti „addetti ai lavori“ che rende il lavoro più faticoso. Consentimi, a tal proposito, una specifica alla tua domanda: non ospitiamo più „mostre di privati“ da parecchi anni ormai. Anche noi siamo cambiati.
Come è nata e come si struttura esattamente la relazione con Edicola Radetzky?
È nata con la voglia di mettersi in gioco, quella stessa voglia che di fatto caratterizza anche la nostra programmazione. L’edicola ci è da subito sembrata la vera novità del contemporaneo in città: originale, vivace, motivata, audace e ironica! La nostra collaborazione si concretizzerà una volta l’anno, nel mese di luglio, in occasione delle nostre mostre collettive sulle culture cosiddette altre. Un modo anche per raggiungere e mescolare pubblici e contesti diversi, legati soprattutto alla zona in cui si trova l’Edicola.
Come funziona il rapporto con il contenitore, con l’architettura di Gardella?
Funziona molto bene ed è sempre piuttosto fertile: il PAC è la loro creazione e noi siamo qui a valorizzarla, cercando di coinvolgere sempre più lo Studio Gardella nelle nostre attività. Infatti, il 6 settembre si svolgerà al PAC un incontro mitico e leggendario tra Vittorio Garatti, uno degli architetti progettisti delle Scuole d’Arte di Cuba fortemente volute da Fidel Castro, e l’architetto Jacopo Gardella. Quando abbiamo scoperto che Garatti è stato allievo di Ignazio Gardella ci siamo quasi commossi per la straordinaria coincidenza.
Il PAC ospiterà a ottobre una mostra di Armin Linke, che hai curato insieme a Ilaria Bonacossa. Che cosa ti piace di lui?
A onor del vero, la mostra è curata solo da Ilaria Bonacossa. Un progetto fortissimo, che punta tutto sulla capacità creativa interdisciplinare di uno degli artisti italiani più equilibrati e preparati della scena artistica attuale. E poi questa mostra sarà una sorta di ritorno alle origini per lui, che da giovane spesso si ritrovò qui a fotografare gli allestimenti delle opere dei grandi maestri che hanno esposto al PAC. Quella di presentare ogni autunno mostre di artisti italiani affermati è una scelta e una sfida che portiamo avanti con AMACI da anni.
Cosa pensi dei cambiamenti milanesi degli ultimi anni, soprattutto in campo culturale?
Penso che Milano stia facendo uno sforzo senza precedenti, raggiungendo livelli di forte espansione culturale, al pari di molte città europee. Il problema è come Milano gestisce questi cambiamenti: è una città che vive tutto come una perenne e costante competizione, in ogni settore, anche in quello che dovrebbe essere il più disinteressato a logiche di queste tipo. Il mio non è un anatema contro gli investimenti economici privati che animano sempre più spesso sterili polemiche, ma una riflessione che vuole proporre una mappa dei sintomi evidenti di un cambiamento, che vuole esprimersi in più cammini, che vuole formulare una domanda atta a riproporre – da un punto di vista diverso – la relazione tra l’arte e i contesti.
Quali sono gli spazi (musei, gallerie e spazi indipendenti) più interessanti in città secondo te?
MUDEC e Assab One. Il MUDEC ha un fortissimo potenziale che sono sicuro riuscirà ad emergere e a cambiare molte cose in città (per ritornare ai cambiamenti di prima!) e Assab One è uno spazio pionieristico e coraggioso.
Dove vai la sera? Dove incontri le persone?
Soprattutto al cinema e ai concerti.