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Cesare Cucchi

Da decenni la pasticceria di corso Genova è luogo di ristoro, ritrovo, lavoro, vita. E vista dal suo bancone, Milano è sempre buonissima

Geschrieben von Corrado Beldì il 1 März 2016
Aggiornato il 26 März 2018

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Cesare Cucchi è deceduto il 24 marzo 2018. Lo ricordiamo con questa intervista che ripercorre la sua magnifica vita

Per alcuni amici, che preferiamo non citare, è qualcosa di simile a un ufficio: ci s’incontra, si fanno riunioni, ci si mette in un angolo a scrivere. Il Caffè Pasticceria Cucchi compie ottant’anni e il signor Cesare, uomo elegantissimo che incontriamo da anni dietro la cassa, ne ha quasi 84: un’occasione per ripercorrere la storia di uno dei luoghi di ritrovo più amati, proprio nel periodo pasquale, quando le colombe e le grandi uova di cioccolato fanno venire l’acquolina in bocca a tutti quelli che passano sui marciapiedi di porta Genova, davanti alle grandi vetrine.

Sono bellissime queste uova, signor Cucchi.
Pensi che il pasticcere le tiene nascoste fino all’ultimo momento. Guardi la vetrina: è bella, vero? Le uova sono un simbolo di Pasqua. Con tutti quei fiori, annunciano la primavera. Non dimentichiamo però la colomba artigianale, che è la stessa da settant’anni.

Cucchi_Uovo

Quali sono i suoi primi ricordi?
Da bambino, qui davanti, negli anni Trenta. I miei genitori avevano un bar tabaccheria dall’altra parte della strada, aperto nel 1928. Abitavamo all’angolo, in un bellissimo palazzo liberty dove ora c’è la banca. Qui davanti c’era il naviglio: vede questa foto?

Che meraviglia. Quando avete aperto in questi locali?
Ci siamo trasferiti qui nel 1936, esattamente ottant’anni fa. I miei genitori avevano deciso di aprire un caffè concerto. Ogni sera suonava un’orchestra spagnola diretta dal maestro Ferrazzano: suonavano la comparsita e ogni genere di tango. Si chiudeva alle due del mattino, con pasta o riso per tutti a mezzanotte. Io ero ancora un bambino. 

Si faceva musica tutte le sere?
Praticamente sì, c’era anche un’orchestra di cinque ragazze. Suonavano fox-trot e ritmi sincopati. Ricordo che salivano in casa a cambiarsi, io ero lì: mio padre socchiudeva la porta per sbirciare e la domestica la chiudeva. Mi chiedo ancora se fosse curiosità, o solo un gioco legato a mia madre…

cucchi_fuori

Che cosa ricorda di quegli anni?
Ricordo la dichiarazione di guerra di Mussolini alla radio. Ero solo in casa e mi venne un’ansia incredibile. Una cosa pesante, insomma. Forse aveva a che fare con l’oratoria di Mussolini. Poi vennero i bombardamenti. Noi bambini andammo dai nonni in campagna e i miei restarono in città per tenere il caffè sempre aperto. Di notte, per evitare troppi rischi, andavano in bicicletta a dormire a Lacchiarella.

Ha lavorato qui fin da bambino?
Non proprio, ci venivo spesso però ho fatto il liceo, studiavo fra gli altri con Italo Lupi. Ho anche giocato a pallone nei ragazzi del Milan, poi mi sono rotto una gamba sciando a Bormio su due stecche di legno. Ho iniziato anche l’università, ma devo ammettere avesse ragione il mio professore di lettere del liceo: «Lei è un simpatico ed elegante lazzarone». Così, ho lavorato qui per una vita.

Com’era il caffè in quei primi anni?
Era più largo, non c’era il laboratorio. All’inizio mio padre comprò un bancone usato. Si lavorava molto. Il 15 agosto del 1944 l’edificio liberty di fronte fu centrato da una bomba e gli spezzoni incendiari arrivarono fino al caffè, bruciando tutto e anche un armadio che conteneva tutte le foto che Alessandro Farabola aveva scattato agli interni. Insomma, non è rimasto proprio nulla.

Cucchi_Guerra

Avete riaperto subito?
Non ci siamo mai fermati, i miei genitori hanno riaperto a pezzi. Ricordo che un giorno accompagnai mio padre in sidecar fino a Lecco per comprare i nuovi arredi dall’azienda del marito della signora Cattaneo, proprietaria del Sant Ambroeus, che è nato nel 1936 come noi.

Quando avete cominciato a fare pasticceria?
Abbiamo iniziato proprio in quegli anni. Abbiamo aperto il primo laboratorio in cantina, negli stessi locali che erano serviti, qualche mese prima, da rifugio antiaereo. All’inizio facevamo cose semplici, poi sempre più evolute. Tenevamo aperto fino all’una di notte. Non c’erano molti altri posti dove poter trascorrere la sera. I Navigli non erano pieni di locali come adesso e così le persone stavano da noi fino a tardi.

Contratto_Cucchi

Avevate successo?
Abbiamo sempre avuto una buona clientela, anche se questo era un rione periferico e in qualche modo di dubbia fama. L’Albergo Popolare, proprio qui dietro su via Conca del Naviglio, era ricettacolo di borsaioli: i vecchi mi raccontavano che in via Scaldasole c’era una scuola di borseggio con tanto di manichini per esercitarsi a estrarre il portafoglio senza farsi notare.

Ci racconta di qualche vecchio cliente?
Preferisco rispettare la sfera privata. Posso dire però che abbiamo sempre avuto molti clienti affezionati. Vede le persone a quel tavolo? I loro padri e anche i loro nonni venivano già qui.

Che cosa bevevano, allora?
Bevevano già l’aperitivo, magari un bicchiere di vermut con ghiaccio oppure un Punt e Mes. Poi servivamo diversi prodotti dell’Acqua Giommi: acqua minerale, spuma, aranciata… c’era un furgone che la distribuiva. Molti clienti ordinavano caffè, d’inverno con panna, e cioccolata calda.

Avete sempre avuto degli ottimi stuzzichini.
Facciamo del nostro meglio. Siamo stati anche negli altri bar a osservare cosa facevano, per esempio al Bar Basso o da Taveggia. Però alla fine, naturalmente, noi facciamo le cose a modo nostro…

Cucchi_storia

Mi parli delle vostre specialità cocktail…
Ovviamente il Cucchi: è il nostro aperitivo fin dalla fine degli anni Quaranta, fatto con Bitter, Biancosarti, Aperol, un goccio di brandy per dargli forza e ghiaccio, servito in un tumbler basso. Devo dire, poi, che i clienti apprezzano molto il nostro Martini Cocktail e non trascurerei il Margarita.

Lei ha un cocktail preferito, signor Cesare?
Le dico la verità: il Negroni mi piace più di ogni altro cocktail. Purtoppo il medico mi ha detto di non abusarne. 

Quanto alla vostra pasticceria, che cosa preferisce?
Guardi, io mangio un babà tutti i giorni, nel primo pomeriggio. Lo porto anche agli amici quando sono invitato per cena. Per il resto credo siamo piuttosto bravi: per tanti anni abbiamo fatto un ottimo gelato, produciamo buone paste, praline al cioccolato. Anche col panettone ce la caviamo bene…

Cucchi_Colombe al contrario

Alcuni dicono sia il miglior panettone di Milano.
Lo facciamo con il disciplinare di ottant’anni fa. Certo, ne facciamo anche alcuni con aggiunte particolari, però il mio preferito rimane quello tradizionale. Con uvette, canditi di cedro e arancia. Devo dire, soprattutto, che il panettone lo facciamo tutto l’anno: una scelta che i nostri clienti apprezzano moltissimo…

Parliamo di Milano: quali sono gli angoli che le piacciono di più?
Sono affezionato a quel punto in cui finisce via Meravigli e inizia corso Magenta, quel crocicchio dietro via Brisa. Molti anni fa, se avevo una ragazza, la portavo sempre a fare due passi da quelle parti.

Che canzoni ricorda di quei tempi?
Solo me ne vo per la città…. Si ascoltava molta radio. Ricordo molto bene la voce di Nicolò Carosio, davvero particolare e inconfondibile.

Come è cambiato il quartiere negli anni Sessanta?
Sono stati costruiti nuovi palazzi, sono arrivati abitanti nuovi e il quartiere si è rivitalizzato rispetto all’immediato dopoguerra. Poi ci sono state molte manifestazioni qui di fronte negli anni Settanta, ma noi non siamo stati sfiorati.

Hanno girato qualche film in questa pasticceria?
Solo in tempi recenti: Happy Family di Gabriele Salvatores: c’era una scena girata da noi con Fabio De Luigi che prendeva uno zuccotto da regalare a una ragazza: «Il miglior zuccotto al mondo», esclamava. Gli ho scritto una lettera per ringraziarlo del finale stupendo, con quella ripresa panoramica della città in notturna. «Grazie: ci ha fatto rinnamorare di Milano!».

Che cosa migliorerebbe della città?
Guardi, non vorrei far concorrenza al Comune con i miei suggerimenti: Milano mi piace così com’è, da sempre. È una bella città, con il suo stile. Certo, mi piace immaginare questa piazza con il Naviglio riaperto. Potremmo mettere vasi con bellissimi fiori sulle sponde, come a Bruges o a Gand.

Qualche tempo fa Margherita Palli, durante un’intervista, ha fatto una lode ai vostri camerieri; come li sceglie?
Per la professionalità, ma anche per simpatia personale. Qui le persone diventano di famiglia. Ricordo un sardo passato negli anni Trenta: ha lavorato con noi per quarant’anni. Ho una foto sulle sue ginocchia da bambino. Qualche tempo fa abbiamo assunto una ragazza: al colloquio erano venuti in cinque, l’ho guardata negli occhi e mi è venuto naturale offrirle un caffè. Altri tornano dalle vacanze e mi dicono: «Mi siete mancati». Ecco, questa per me è una grande soddisfazione

Cucchi_camerieri

Che cosa sogna per il futuro della Caffè Pasticceria Cucchi?
Spero nella continuità. Sono un po‘ conservatore: gli arredi sono gli stessi del 1952 e non sento tanto il bisogno di cambiare. Sogno che le mie figlie vadano avanti con questa attività: per questo le ho strappate al loro lavoro.

Arriva Sara e il signor Cesare ci porta a visitare il laboratorio. I grandi forni, la frolla a riposo, i vassoi dei canditi, le uova di cioccolato pronte per la decorazione, le colombe rivoltate a essiccare. È meraviglioso pensare a quante leccornie si preparano in queste stanze, dove le persone del quartiere si rifugiavano durante i bombardamenti. Il signor Cesare descrive ogni particolare. Ha lo sguardo curioso di un bambino e dei bellissimi occhi azzurri. Sara dice una cosa che stavo pensando anch’io: «È un ragazzo nel corpo di un uomo di ottant’anni». È verissimo e ci piace scriverlo, con la dolcezza e il rispetto per un uomo che da molti anni vigila, con sguardo attento, sui nostri lunghissimi e gustosi aperitivi.

Cucchi_colori_bancone