La storia delle Cantine Isola è tra le più ricche di fascino di tutta Milano: personaggi, guerre mondiali, un susseguirsi di eventi che hanno portato questo luogo sospeso nel tempo fino ai giorni nostri e che Luca Sarais – proprietario insieme alla propria famiglia – ci racconta in questa intervista. Nel cuore di Chinatown, le Cantine Isole sono protagoniste da oltre un secolo di tutti i cambiamenti di questo quartiere, a cui assistono imperturbabili tra scaffali pieni di vino e quell’atmosfera da vecchia osteria.
Chi c’è dietro le Cantine Isola? Puoi presentare le persone che ne fanno parte?
Dietro alle Cantine Isola ci sono una famiglia e una storia. Mia mamma Tina (Concetta), io, Luca, e i miei ragazzi, i miei zii Ignazio e Adriano, Michael ormai da quattro anni con noi e poi le nuove leve Federico Ji dalla Cina e che si sta laureando in enologia, Giada di Vicenza, Valentina di Firenze, Giuseppe di Milano.
Le Cantine Isole sono un’istituzione senza tempo: puoi raccontarci la sua storia?
Mio padre nella primavera del 1991 andò alle Cantine Isola perché cercava una bottiglia e gli era stato detto che lì l’avrebbe trovata. Aveva già un ristorante da vent’anni. Entrò in enoteca e si trovò davanti un folletto, un turbine che andava avanti e indietro al bancone. È Milly Isola, moglie di Giacomo Isola, una delle prime donne sommelier di Italia. Giacomo, molto più riservato, del sommelier non ha il titolo ma un gran palato, davvero sopraffino. Il negozio è in vendita e dopo un solo pomeriggio mio papà strinse la mano a Milly e Giacomo e comprò il locale. Un colpo di fulmine. Mio papà intuisce il potenziale di un locale storico, fatto di storie, di vino, di professionalità. La Milly lavorava alle Cantine dal 1960 circa, suo marito Giacomo da quando era ragazzino insieme allo zio Carlo Isola. Poco distante il papà di Giacomo, Secondo Isola, aveva un altro locale simile. Secondo era stato prima delle guerre cuoco del Re e poi di una famiglia nobile bresciana. Poi tutti i cinque fratelli si trasferissero a Milano e aprirono cinque osterie (per questo Cantine è al plurale). Fino al 1937 abbiamo notizie, poi un vuoto fino alla fine del XIX secolo con un articolo apparso sulla Rivista „La Battaglia“ di Filippo Turati del 1896 che parla del „Boeucc dell’Isola“ in via Paolo Sarpi con un Giovanni Isola patron, omonimo e non parente dei suoi successori. Incredibile coincidenza!
La passione per il mondo del vino ha sempre fatto parte della tua vita?
Il vino e io ci siamo conosciuti tardi. Fino a 21 anni quasi non bevevo, poi il mio papà comprò l’Isola, aiutarlo a lavorarci era la cosa più ovvia e piano piano cominciai ad assaggiare. Ma partiamo dall’inizio: non posso che lodare la mia maestra Milly. Con pazienza e caparbietà mi ha insegnato tutto quello che so. Soprattutto mi ha insegnato ciò che sta veramente dietro a un bicchiere di vino; non solo un profumo, un colore o un sapore. Ma la storia e il rispetto di chi l’ha fatto. Dietro a un bicchiere di vino c’è sempre la mano di un uomo, che ha sofferto e sudato per regalarci quello che stiamo bevendo, e se si sta attenti attraverso il vino si potrebbe risalire al carattere di chi lo ha prodotto.
Il lavoro al banco, stare con la gente e ascoltarla, curare i piccoli particolari, cercare sempre di accontentare i clienti, offrendo loro al calice ciò che normalmente non beveno a casa, sono solo alcuni dei piccoli segreti del nostro lavoro. Poi è stato comunque un piacere studiare, diplomarsi sommelier e Onav e partecipare a corsi, banchi d’assaggio e innumerevoli visite in cantina nei territori di produzione. C’è stato un periodo di alcuni anni in cui visitavo un centinaio di cantine all’anno. Tutto questo per dire che vivere alle Cantine Isola vuol dire anche vivere il mondo del vino a 360°. La storia, la geografia, i racconti dei produttori, le tecniche di produzione, le mode del vino in Italia e nel mondo. La famiglia Frescobaldi è forse la più antica produttrice di vino, dal 1300 circa. La famiglia Contucci è presente a Montepulciano dal 1008. E il suo palazzo è più antico del Duomo. E altre ancora.
Lavorare al banco è come stare su un palcoscenico dove il pubblico interagisce e bisogna sempre trovare una battuta diversa, mai banale cercando di catturare l’attenzione e sensibilizzare verso un gusto del vino nel quale ognuno troverà il proprio percorso ideale.
Come sono cambiate le Cantine Isola in questi lunghi anni? E la zona in cui vi trovate?
Nel 2009 due operatrici cinematografiche al Film Festival di Locarno, Patricia Boillat e Elena Gugliuzza, ci chiedono di girare un cortometraggio per cercare di imprimere in pellicola l’atmosfera che si respira quando si entra alle Cantine Isola. Dopo due anni di riprese il corto diventa un lungo (1h48′), partecipa a diversi film festival e vince quello di Barcellona nella sezione Food and Wine. È un maquillage di interviste, immagini e racconti fatto di chi ci lavora, chi le frequenta abitualmente e da chi ci passa per una sola volta. Un bellissimo squarcio delle Cantine e di Milano in un momento di trasformazioni architettoniche: Via Paolo Sarpi pedonale, Porta Nuova, Piazza Gae Aulenti e il Palazzo nuovo della Regione.
Il cambiamento è sempre in corso. La nostra è la Chinatown 2.0, fatta di collaborazione e nuovi intenti. Milano con gli investimenti per Expo sta vivendo un turismo mai visto. Il mondo la sta scoprendo. L’antico e il nuovo, dalla Cattedrale di Sant’Ambrogio al palazzo Unicredit.
Chi sono i vostri clienti?
Le Cantine si sentono come Salgari. Non si muovono dal proprio luogo ma raccontano le mille e più storie che gravitano intorno fatte di racconti e personaggi come avventori: Mario Mertz, artista internazionale dell’arte povera, veniva sempre a bere un bicchiere quando poteva, oggi invece viene il re del popcorn americano. E poi una miriade di appassionati, di chi ha voglia di un buon bicchiere, di chi vuole scoprire un vino meraviglioso, chi viene solo per la compagnia, chi viene per una bottiglia, chi perché, anche se astemio, sa che si sta bene. La clientela è davvero trasversale e senza etichette. Anzi spesso viene apposta perché sa che qui si è Giovanni, Marta, Mario, Francesca e non dottore, avvocato eccetera.
Tutto questo perché pensiamo che approdare all’Isola voglia dire uscire anche dagli stereotipi di una città frenetica e talvolta formale. Per cui l’atmosfera è di freschezza, di socialità dove chi entra da solo in realtà solo non si potrà sentire.
Come scegliete le etichette che avete in lista? Cosa trova la vostra clientela?
Le nostre etichette sono un parco „macchine“ importante, come una biblioteca in cui scegliere il vino che faccia compagnia per il tempo necessario alla sosta. Si cerca di tenere tutte le zone di Italia e Francia, qualcosa della Spagna, tanta Mosella tedesca, Grecia, Cipro. Poco di California e Australia. Tutto non ci sta.
Milano sembra sempre più dominata dal mondo dei cocktail, a cui si sta dando grande attenzione. Il vino come si pone di fronte a questo attacco?
Milano capitale del cocktail, ma anche del vino. I numeri non li conosco, ma il vino si difende bene. Bisogna però tenere conto di un dato. Il mondo del vino che viene portato sul palmo della mano ed è conosciuto come perla dell’enologia italiana, così come quella francese, rappresenta circa il 7/10% del vino prodotto in totale. Ciò che finisce sfuso o a scaffale nei supermercati sotto i 7/10€ rappresenta invece il 90% circa del prodotto totale. Detto questo cominciamo a poter ragionare circa l’importanza del comparto. Il vino rappresenta comunque, nel paniere agroalimentare, la percentuale di PIL maggiore. Quindi parliamo di migliaia di persone coinvolte.
Ma il vino rispetto ai liquori non è così replicabile con in numeri di bottiglie prodotte. La natura, per fortuna, pone i suoi limiti, e la storia che si porta dietro mette il carico da undici circa l’importanza culturale del vino. È per questo che nonostante altre mode crescano, quella del vino non può cedere. È altrettanto vero che non bisogna abbassare la guardia. Ed è anche vero che si beve sempre meglio.
I giovani e il vino: qual è il loro rapporto?
Bisogna far crescere i giovani che nella birra e nei terribili softdrink trovano il primo approccio. La birra almeno ha una cultura pluricentenaria. I giovani troveranno il tempo giusto per avvicinarsi al vino, non bisogna avere fretta. Bisogna conquistarli con la qualità e la storia che il vino si porta.
Naturali, biologici, biodinamici, spesso c’è molta confusione: cosa ne pensi a riguardo?
L’Italia è un paese meraviglioso e sarà normale che un giorno si produca la maggior parte dei prodotti agricoli in conduzione bio. Le sfaccettature sono tante, basterebbero magari regole più semplici per rientrare nei parametri. Magari inserire le A o la tripla AAA per dare a caduta un marchio di maggior qualità cercata nella naturalezza di produzione. Poi la differenza la fa sempre il produttore e la sua serietà.
Il nome di tre bottiglie che portereste sulla luna.
Sulla Luna porterei Barolo, Barolo e Barolo.
Dove vai a bere quando non sei alle Cantine Isola?
In un sacco di posti, per scoprire cose nuove, luoghi nuovi e colleghi che si impegnano con tutta l’anima per lavorare bene. Purtroppo il tempo per farlo è poco.
Cosa bevi a parte il vino?
A parte il vino tanta acqua e ogni tanto birra. Distillati a seconda dell’occasione.
Bevi tutti i giorni? E se dovessi esagerare, qual è il rimedio per una sbronza?
Bevo tutti i giorni, l’oste assaggia sempre. Dopo una sbronza consiglio una bella dormita e bere tanta acqua. Fosse non solo per punizione!