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Marco Passarani

Un nuovo album dopo 14 anni, tantissime storie da raccontare.

Geschrieben von Nicola Gerundino il 11 Januar 2019
Aggiornato il 15 Januar 2019

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Roma

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Roma

Attività

Dj, Musicista

Sarebbe veramente lungo elencare tutti i progetti musicali e discografici che hanno coinvolto Marco Passarani, così come sarebbe difficile riuscire a tracciare con nettezza i contorni (vastissimi) del suo contributo alla causa dell’elettronica, fuori e dentro il G.R.A.. Limitiamoci quindi a dire che sono passati 14 anni dal suo ultimo album, „Sullen Look“, che questo 2019 inizierà con un suo nuovo disco, „W.O.W.“ per Offen Records, e che in questa intervista abbiamo cercato di parlare di tutto quello che è successo in questi quasi-tre lustri, dall’epopea della Pigna Records all’exploit mondiale delle produzioni a nome Tiger & Woods, realizzate in tandem con Valerio Del Prete. Ci trovate anche consigli per gli ascolti, riflessioni sugli attuali meccanismi dell’industria musicale e diversi frammenti di storia dell’elettronica romana.

 

14 anni fa usciva il tuo ultimo album. Chi eri e cosa facevi nel 2005?

Eh sì, apparentemente è passato un po’ di tempo, anche se non me ne sono accorto! Più o meno ero la persona che sono oggi, non sono cambiato molto. In quel momento venivo da una fase vorticosa chiamata Pigna, che è stata il progetto che ha segnato quegli anni. Era la fine del periodo d’oro per l’etichetta e, in maniera del tutto naturale, cominciavo a sentire l’esigenza di variare ed esplorare nuovi territori. Quello che successe con „Sullen Look“ fu proprio questo: suono di partenza Pigna, con aperture verso altre sonorità.

Ti ricordi qualche disco che passavi o ascoltavi a spron battuto?

Oddio, che domanda difficile! Sto cercando di rimettere insieme immagini e memorie, ma non riesco a ricordare molto. Mi sembra fosse il periodo in cui spesso passavo da „Kim Kong E.P.“ su Tigersushi a „Sexcrime“ degli Eurythmics, un mio classico di quei giorni. Era comunque iniziata già la fase in cui si mischiava tutto: electro, techno, house e italo. Con sprazzi di soluzioni più sperimentali in alcune circostanze.

 

Com'era Roma nel 2005, che serate o club ti capitava di bazzicare? Erano già gli anni di Nova al Brancaleone?

Il 2005 è stato un po‘ antecedente alla mia fugace esperienza al Brancaleone con Nova. Senza entrare troppo nello specifico, ricordo quegli anni come il momento di Dissonanze, o degli pseudo festival organizzati con la collaborazione del comune di Roma, come Enzimi per esempio. Nova sarebbe iniziata poco dopo. E comunque non è un segreto che non sono mai stato un assiduo frequentatore dei locali della mia città, quindi forse non sono la persona più adatta per descrivere quello che succedeva.

E nel 1995 invece?

Il ’95… Sempre più difficile! Parlerò al plurale perché quello che dico vale anche per Andrea Benedetti – così come per Francesco e Mario e tanti altri, anche se il loro ruolo era più artistico e più legato all’organizzazione degli eventi. Erano i giorni in cui provavamo a ricostruire qualcosa sulle ceneri dei rave party che avevamo conosciuto nel 90/91, parallelamente ai rave illegali che stavano letteralmente fiorendo ovunque intorno alla Città. Noi ci occupavamo di dare una struttura tangibile alla musica che ci piaceva, con un ufficio aperto dalla mattina alla sera, inventando etichette, facendo musica nei ritagli di tempo, importando dischi che nessuno voleva comprare, vendendo al telefono una o due copie per negozio di Dopplereffekt – quando eravamo fortunati – e provando a creare piccole situazioni da club alternativo con gli artisti che ci piacevano. Un periodo bellissimo, ma allo stesso tempo difficilissimo, che per poco non ci ha distrutto, considerando gli enormi sforzi fatti per tenere in piedi la baracca. O forse, ci ha distrutto e costretto a reinventarci. Ricordo una serata che facevamo il lunedì sera al vecchio Circolo degli Artisti: eravamo sempre impegnati su qualche fronte anche nei giorni più inusuali. Madonna che roba! In ogni caso, pensiamo all’oggi che c’è tanto da fare e lasciamo i ricordi ai nostalgici.

Ti è capitato di riascoltare di recente qualcosa di "Sullen Look"? Che disco era e che giudizio ne dai ora?

Come dicevo prima, „Sullen Look“ è un disco di chiara matrice Pigna, ma con aperture verso quell’elettronica meno dance che aveva contraddistinto alcune delle mie prime produzioni del ’93. Risentendolo, non posso non notare come sia sempre stata bilanciata la presenza del groove con la melodia. Ero molto soddisfatto di come si erano mischiati gli elementi, e anche oggi penso la stessa cosa.

“W.O.W.” invece come e quando nasce? Hai ripreso vecchi spunti o hai cominciato a scrivere ex novo tutti i brani?

Tutta roba nuova nata nel novembre 2017, durante uno stress test del mio nuovo angolo produttivo nello studio. Da un po’ di tempo, con il mio socio, Valerio Del Prete, pensavamo di creare una seconda postazione di produzione più ridotta nell’area salotto/ufficio dello studio, e questo disco è principalmente frutto di esperimenti giornalieri per testare le varie soluzioni logistiche: ho provato e cambiato quasi ogni giorno una serie di tavolini e tavole di legno di fronte la finestra dell’ufficio! Una ricerca costante di un setup di emergenza compatto, che potesse essere buono allo stesso tempo per la seconda postazione e il live, permettendoci con un colpo solo di risolvere la problematica studio vs live, produzioni vs prove. Questo disco – e altri 20 brani che non hai sentito – nasce da questa ricerca. Ho usato molto, molto computer, con plug-in come Monark, Repro-5, il freeware PG8X, l’OP-X e la più fantastica emulazione della LinnDrum che si chiama Vlinn Pro. Negli esperimenti di “compattezza” mi sono forzato a utilizzare il controller Push 2 per la scrittura, con lo schermo del laptop spento. Per quello che riguarda l’hardware, su tutti cito l’Elektron Analog 4 e soprattutto il Novation Peak, synth comprato quasi per sbaglio di cui mi sono innamorato da morire e ora siamo fratelli inseparabili.

Ascoltandolo mi ha dato l'impressione di un viaggio intorno al proprio centro di gravità sonoro, da cui ci si può allontanare per esplorazioni e progetti di ogni tipo, ma dal quale non ci si stacca veramente mai e che dà sempre un'impronta, più o meno riconoscibile, a ciò che si fa.

Sinceramente non saprei analizzare con queste parole la mia musica. Ovviamente ho un rapporto diverso con quello che scrivo e ho difficoltà ad analizzare così „scientificamente“ l’ascolto. Posso solo dire che trovo naturale avere un proprio linguaggio che, per quanto l’esperienza e la crescita lo arricchisca nelle forme e nei termini, continuerà sempre a raccontare il proprio modo di vedere colori, di esprimere concetti e trasmettere emozioni.

C'è un brano del disco a cui sei più legato?

„Minerals“ è stato il primo pezzo di quella lunga chiusa in studio e mi ricorda alla perfezione il vibe che c’era in studio in quelle giornate. Ma non so se riesco a indicarlo come il brano con il quale ho un legame più forte. Forse „Coldrain“, che trasformò una giornata di merda in una giornata positiva.

 

Quello che hai buttato giù in cinque minuti e quello su cui invece sei tornato più volte?

Ho speso lo stesso tempo su ogni brano. Come ti ho detto, era un test. E nel test c’era anche una regola legata al tempo.

Ci sono stati degli ascolti che hanno influenzato la stesura dei brani di “W.O.W”?

Nella sessione dei 30 brani c’è di tutto, per cui non saprei con esattezza. Quello che posso dire è che sono due anni che sto divorando alcuni dischi della Parry Music (etichetta library Canadese) e della Sonoton (altra etichetta library, tedesca).

Che dischi stai ascoltando ultimamente?

Oltre ai miei ascolti su base quotidiana di qualsiasi cosa prodotta da Prince – è tipo un rituale religioso per me – ho letteralmente ascoltato fino alla nausea diverse library tra cui spiccano Claude Larson – “Plantlife”, V.A. – “New Technology vol. 4”, Tektron – “Silicon Valley”, Alan Hawkshaw – “Frontiers of Science”. Sfortunatamente ho in vinile solo i primi due, mentre per gli altri sono ancora in cerca di un’occasione a buon mercato, ma la vedo male…

 

Ti capita di buttare un occhio (e un orecchio) a quello che succede nella scena italiana/romana? Ci sono artisti o dischi che ti hanno colpito particolarmente negli ultimi tempi?

Su tutti, la crew che si cela dietro l’etichetta Cosmic Rhythm è stata una delle più piacevoli scoperte degli ultimi due anni. Tutto quello che producono trova sempre spazio nella mia lista acquisti.

È la classica domanda da un milione di dollari, ma se non la faccio a te che sei dentro questo mondo da più di 20 anni non la faccio a nessuno: abbiamo visto e sentito tutto nell'elettronica? Me lo chiedo perché gli ultimi 5/10 anni sono stati una centrifuga in cui tutto è riemerso e scomparso: abbiamo visto rinascere e rimorire house, techno, disco e anche la jungle. Tu che idea ti sei fatto?

Questa domanda è per uno studioso di usi e costumi! Quello che posso dirti è che la musica tutta (o quasi), nasce da reinterpretazioni e ispirazioni. Il riciclo e rinnovo di alcuni temi e stili è cosa assolutamente normale e non è da legare alla dance. Chiaro che, essendo la dance molto codificata, si torni su alcune soluzioni e si cerchi di rinnovarle. Poi però, in fondo in fondo, viene rinnovato solo il nome e magari un pezzo con la ritmica spezzata adesso lo chiami „deconstructed house“.

È difficile continuare a fare musica e a proporsi sul mercato in questa situazione di saliscendi continuo?

È difficile confrontarsi con quello che la musica comporta nel 2019. L’aspetto social ha reso questo gioco molto molto complicato, al punto tale che, se uno dovesse fare veramente quello che il sistema chiede, praticamente non avrebbe più tempo per fare musica. E non è un caso che la scena si è riempita di pseudo manager che gestiscono l’aspetto social degli artisti più affermati. Sinceramente il saliscendi non è mai stato un problema, sono tutte queste altre cose che mi preoccupano. C’è gente che se ti incontra dopo un po‘ che non hai il profilo attivo, ti chiede se ancora fai musica…

In questi anni c'è stato un progetto che ti ha visto protagonista a tempo pieno: Tiger & Woods, in tandem con Valerio Del Prete, per l'appunto. Cosa è per te Tiger & Woods?

Tiger & Woods è il lato chiaro della luna, e lo sarà ancora per tanto tempo.

 

È stato difficile tornare a pensare “in solo” per "W.O.W.?"

Considera che anche quando lavoro da solo condivido lo studio con Valerio e il massimo della distanza che creiamo per avere spazio individuale è una scala a chiocciola di 15 gradini… Detto questo, non c’è stato nessun problema nel tornare a ragionare “anche” in modalità solo. Anzi, è stato ed è terapeutico per entrambi, non a caso è in arrivo il terzo album di Tiger & Woods, che beneficia di nuove energie e nuove idee nate anche grazie a questi sfoghi solitari.

Oggi, nel 2019, preferisci suonare i tuoi brani dal vivo o fare un dj set?

La mia condizione ideale è l’ibrido. Mezzo live e mezzo dj set.

Immagino che i dj siano sempre attenti alle ultime uscite per rinnovare i brani da proporre nei set. È così anche per te o preferisci piuttosto scavare nel passato? Riesci a seguire tutte le novità o è uno “sport” che pratichi solo sporadicamente?

Cerco settimanalmente delle novità perdendomi nel mondo delle uscite in digitale, con un coefficiente di difficoltà pari a 10 su 10. Ci sono troppe cose, sono spesso catalogate male, e la pazienza finisce subito. Però sono talmente fiducioso che oggi ci siano ancora più produttori bravi che non 20 anni fa – mi illudo forse? – che non mi perdo d’animo. Nel passato cerco di tanto in tanto, in maniera naturale e senza affidarmi ad algoritmi di Discogs o Youtube per scoprire cose che non ho vissuto.

A proposito di uscite ed etichette, “W.O.W” sarà pubblicatosu Offen: sono loro che ti hanno cercato o hai cercato tu loro?

Sono in contatto costante con Vladimir Ivkovic (il boss della Offen, nda) da almeno 17 anni. È sempre uno dei primi a ricevere la mia musica appena masterizzata (o non masterizzata). È stato il primo in assoluto a ricevere la demo di Tiger & Woods, proprio quando stavo facendo uscire „Flora“ su Desolat – operazione promossa da Vladimir stesso, che aveva suonato il mio brano a Loco Dice. In questa occasione specifica gli avevo mandato uno dei miei zip infiniti, ma con molti più brani del solito – 30, per l’appunto. Dopo mezz’ora mi scrive dicendomi: “Dobbiamo fare uscire queste cose, e lo faremo insieme stavolta” e io rispondo: “WOW!”.

 

C'è qualche artista di questa etichetta che apprezzi particolarmente? A me è piaciuto molto il lavoro di Suba uscito lo scorso anno.

„Metaclaw“ di Beck/Nash/Reyenga è il disco che mi è piaciuto di più.

Che tipo è Vladimir Ivkovic? Parlate spesso di musica?

Vladimir è un fratello. Le nostre conversazioni sulla musica sono nate una notte al Link, dove suonammo insieme per la prima volta. Non so neanche che anno fosse, forse il 2002 o il 2003. In questi mesi abbiamo filosofeggiato più che altro su come la musica viene ascoltata e su come i formati incidano sull’ascoltatore.

Stai pensando a un live per presentare il nuovo album o questa è una dimensione che manterrai solo per Tiger & Woods?

Voglio fare delle cose live anche per il mio progetto solista, ma credo che avranno la forma di un ibrido tra dj set e macchine. Fortunatamente la tecnologia permette cose incredibili nel 2019 e mi piacerebbe sfruttare quest’opportunità.

Posso dire che “Talk To Me” è un gran bel pezzo?

Posso rispondere che mi fa molto piacere sentirtelo dire?