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Messico e vicoli: Cristian Bugiada

Trastevere raccontato dal punto di vista dei due banconi più importanti del quartiere: Freni e Frizioni e La Punta

quartiere Trastevere

Geschrieben von Nicola Gerundino il 23 September 2020
Aggiornato il 8 Oktober 2020

Cristian Bugiada

Wohnort

Roma

Attività

Bartender, Imprenditore

In principio fu un meccanico, con le saracinesche a due passi dal Lungotevere e da Ponte Sisto. Decisamente un bel posto per aprirci un bar e per riempire di persone i muretti del piccolo piazzale antistante che è un piccolo gioiello: meno carburatori, più Bloody Mary! E infatti quando questo succede mezza Roma impazzisce e, nel giro di due anni, le persone che non si sono affacciate al bancone del Freni e Frizioni si contano sulle dita di una mano. In poco tempo poi la missione diventa doppia: non solo far (ri)scoprire la bellezza del bere miscelato all’aria aperta, con la luce di Roma che cala sugli alberi al tramonto, ma fa scoprire l’importanza del bere miscelato di qualità. È qui che la storia del Freni si fonde con quella di Cristian, gettando anche i ponti per un sodalizio con un altro faro del cocktail capitolino a pochi vicoli di distanza: il Jerry Thomas. Da questa liaison e da una passione condivisa da Cristian e Roberto – Artusio, uno dei fondatori del Jerry – per i distillati messicani, nascerà poi La Punta, il caveau romano dell’agave. Un percorso di crescita orientato alla qualità dell’offerta, che si auspica sia anche il futuro di Trastevere che, per Cristian, ha tutte le carte in regola per diventare un polo di eccellenza nel settore dell’accoglienza. A patto che ci si parli tra residenti ed esercenti. Magari davanti a un bel drink.

Foto di Alberta Cuccia
Foto di Alberta Cuccia

Il tuo è uno sguardo "privilegiato", che può raccontare sia di un prima che di un dopo, di una Trastevere arcinota e di una ancora sconosciuta a molti romani stessi. Andiamo in ordine temporale e iniziamo dal Freni e Frizioni. Come e quando sei entrato a far parte di questa realtà?

Come tutte le belle storie, anche questa ha bisogno di un’introduzione e di un piccolo accenno a cosa facevo prima. Io sono venuto a Roma spinto dal mio primo amore: la musica. Volevo frequentare una scuola, ma non avevo abbastanza soldi per pagarla, quindi ho iniziato a lavorare nei bar per permettermi gli studi e proprio al Freni e Frizioni ho capito che il bar era il mio secondo amore e che non riuscivo più a farne a meno. Così, mentre tagliavo i lime e sistemavo i bicchieri, ho imparato a fare questo mestiere meraviglioso.

Quali sono i tuoi primi ricordi di Trastevere? Com'era ai tuoi occhi il quartiere e qual era la sua attitudine all'accoglienza?

Vengo da un piccolo paese della Sicilia, per cui trasferirmi a Roma è stato un passo incredibile: per le dimensioni della città e per le possibilità che offriva rispetto a un piccolo centro. Trastevere già dodici anni fa – sono arrivato a Roma nel 2008 – era sicuramente un quartiere di riferimento per i giovani e meno giovani che volevano andare a bere qualcosa di buono, vivere un’atmosfera di festa e di condivisione, sfruttando anche i suoi bellissimi spazi all’aperto, come Piazza Trilussa, o i suoi vicoli, così caratteristici e affascinanti.

Come e in cosa è cambiato il Freni in questi anni?

Freni e Frizioni ha sempre avuto un animo di strada, aperto a tutti e a tutte le possibilità: un porto di mare nel centro di Roma, caratteristica che ha sempre generato arricchimento e scambio, soprattutto culturale. Negli anni però un cambiamento c’è stato ed è soprattutto legato alla ricerca e al lavoro di squadra, che ci hanno portati al raggiungimento di obiettivi e riconoscimenti internazionali molto importanti. L’innovazione e lo studio di tutto il team è sempre andato al passo coi tempi, spesso anticipando le tendenze e in alcuni casi anche creandone di nuove.

Il Freni è da anni uno dei simboli di Trastevere: si fa sentire questa “responsabilità” sulle spalle di chi ci lavora?

Lavorare al Freni è una grandissima responsabilità! E negli ultimi anni si fa sentire ancora di più. Oggi, rispetto a 10 anni fa, grazie al lavoro di alcuni colleghi e soci come i signori del Jerry Thomas, il livello si è alzato tantissimo (Freni e Frizioni e il Jerry Thomas sono entrambe soci de La Punta, ndr). Per noi del Freni la crescita si è sempre basata su dei capisaldi ben precisi: studio, passione e dedizione. Essere aperti a ogni opportunità, ma senza mai snaturare il concetto del locale. 

Da qualche anno, e dall'altro lato di Viale Trastevere, è partita una nuova avventura che ti vede coinvolto in prima persona: La Punta. Qual è la sua storia?

Il progetto nasce nel 2013 dall’amicizia tra me e Roberto Artusio – uno dei fondatori del Jerry Thomas Project – e da una passione comune per i distillati messicani, mezcal e tutti i suoi derivati, che ci ha spinti a viaggiare in lungo e in largo in Messico. Passione che abbiamo poi trasferito ai nostri collaboratori e anche ai nostri soci e che nel 2016 ci ha portato ad aprire La Punta Expendio de Agave e nel 2018 a diventare ambasciatori ufficiali del mezcal, titolo che al momento è stato riconosciuto solo a sei persone in tutto il mondo, ovviamente al di fuori del territorio messicano. La parte di Trastevere dove abbiamo aperto è un mondo veramente a sé. completamente diversa dalla zona di Piazza Trilussa: una Trastevere residenziale, più tranquilla, con sì tanti ristoranti, ma pochissimi cocktail bar. Abbiamo scelto di aprire in „questo lato“ del quartiere perché il progetto è molto rigoroso e di nicchia e i nostri clienti sono diversi da coloro che frequentano il Freni ad esempio. Una clientela sicuramente giovane ma che magari ama un’atmosfera un po‘ più appartata.

Come ti spieghi due volti così diversi di uno stesso quartiere? Quale preferisci?

È vero, il quartiere è spaccato in due da Viale Trastevere ed è surreale, perché le due parti sono a poche centinaia di metri di distanza l’una dall’altra. Credo che la differenza sia dovuta al fatto che da un lato ci vivono molte più persone e ci sono meno strutture ricettive. Personalmente mi reputo una persona molto aperta e mi adatto facilmente al posto che vivo, per cui il mare di gente a cui ero abituato ogni tanto mi manca, perché fa parte di me e perché la notte ha fortemente bisogno dell’energia delle persone. D’altra parte, dopo tanti anni passati dietro il bancone del Freni, non nascondo che mi fa piacere passare una serata più „tranquilla“ e lasciare il testimone a giovani più energici. Lavorarci è un privilegio e una responsabilità altissima, ci vuole tanta testa ma anche tanta energia, perché i ritmi nelle serate calde sono da Formula 1, anche se da fuori spesso non si percepisce. Quando una serata è una GRAN SERATA, c’è bisogno di cambiarsi la divisa almeno due volte.

Pensi che nella fase post lockdown Trastevere avrà una nuova dimensione, specialmente in relazione alla diminuzione dei flussi turistici?

Penso che quello che stiamo vivendo sia una situazione temporanea, ma che inevitabilmente porterà cambiamenti radicali. Molti romani si stanno „riappropriando“ di spazi che non frequentavano più anche per la forte presenza di turisti – che ovviamente non vediamo l’ora di poter riaccogliere – e, in generale, i posti dove andare a passare una serata vengono scelti con molta più attenzione. Questo secondo me potrebbe portare alcuni benefici in termini di qualità nel quartiere, che potrebbe a sua volta trasformarsi in un polo di eccellenza nel settore dell’ospitalità. O quantomeno questa è la speranza.

Qual è per te l'essenza di Trastevere ?

Trastevere ha un’anima spensierata, fortemente tradizionale e ancora legata al rione. Fortunatamente è ancora possibile incontrare persone che ci vivono da cinquant’anni e che ti strappano il sorriso anche senza parlare. Questa è la parte che mi piacerebbe preservare, spesso però non è possibile, per molte ragioni. Come dicevo, le attività dovrebbero lavorare con e per il quartiere, ma la sinergia con i residenti è difficile da trovare se vengono a mancare le basi del rispetto e dell’ascolto reciproco. E in questo 2020 purtroppo è successo diverse volte.

Il tuo luogo preferito del quartiere?

Tolti i nostri locali, ovviamente ponte Sisto: si può ammirare il Vaticano da una parte e l’Isola Tiberina dall’altra e se ci si lascia il centro alle spalle si può vedere Piazza Trilussa da una prospettiva privilegiata e ammirarla in tutta la sua bellezza. La luce che ha Mamma Roma al tramonto fa il resto.

Un aneddoto che ti è accaduto o che ti è stato raccontato che per te è rappresentativo dell'identità di questo quartiere?

Potrei raccontare tantissime storie a riguardo, ma quello che succede a Trastevere rimane a Trastevere!

Se dovessi portare in giro qualcuno per Trastevere, quali sarebbero le tue tappe fisse?

Sempre escludendo i nostri locali – che sono una tappa fissa! – direi Ponte Sisto; il San Calisto (mi piace vedere ancora i signori che giocano a carte di fronte al bar attorno a un piccolo tavolino e tutti gli spettatori in cerchio che hanno la stessa attenzione con cui si segue una finale dei Mondiali); il supplì da Venanzio a Via di San Francesco a Ripa (aiutami a dire buono!); Vicolo dell’Altleta, un tempo Vicolo delle Palme, dove è presente la prima sinagoga di Roma (mozzafiato); Otaleg, la mia gelateria preferita.