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Studio Folder

Chi sono e come lavorano Elisa Pasqual e Marco Ferrari

Geschrieben von Angela Rui il 5 März 2018
Aggiornato il 20 März 2018

Foto di Delfino Sisto Legnani

Wohnort

Milano

Attività

Designer

Un prezioso scambio con Marco Ferrari ed Elisa Pasqual, alias Studio Folder – agency for visual research con base a Milano, mette in luce la questione fondamentale della ricerca nel progetto contemporaneo. Il loro lavoro, apprezzato a livello internazionale, si posiziona nella crocevia tra design, tecnologia e i diversi campi della scienza, dalla geologia alla cartografia: intendendo il progetto come forma di traduzione, praticano la rappresentazione del paesaggio e della realtà come strategia interpretativa per l’osservazione di temi irrinunciabili che oggi riguardano la nozione di umanità, dal climate change alle transizioni geopolitiche, fino all’ambiguità sull’evidenza di un sistema occidocentrico.

View of the Italian Limes interactive installation. Italian Limes is a research project and an interactive installation that explores the most remote Alpine regions, where national borders drift with glaciers. The project focuses on the effects of climate change on shrinking ice sheets and the consequent shifts of the watershed that defines the national territories of Italy, Austria, Switzerland and France. Photo by Delfino Sisto Legnani.
Italian Limes è un progetto di ricerca e un’installazione interattiva che esplora le regioni alpine più remote, dove i confini nazionali si spostano con i ghiacciai. Il progetto si concentra sugli effetti del cambiamento climatico sulla riduzione delle calotte glaciali e sui conseguenti spostamenti dello spartiacque che definisce i territori nazionali di Italia, Austria, Svizzera e Francia. Foto di Delfino Sisto Legnani.

Angela Rui: Mi avete raccontato che di Folder, il nome dello studio, vi piaceva il suono: un termine anglosassone che suona teutonico e comunica precisione… Letteralmente, l’idea della cartella per organizzare le cose, che allo stesso tempo porta con sé la radice “to fold”, “piegare”, come qualcosa che sta in piedi grazie ad una struttura autonoma. Una parola senza rimando immediato a un contenuto specifico, ma piuttosto a un contenitore e che possa essere adatta a rappresentare i diversi esiti del vostro lavoro. Mi sembra il contesto dentro cui convergono le vostre due diverse formazioni (ndr Elisa Pasqual, graphic designer e Marco Ferrari, architetto). Ma andiamo al punto: dove ha origine il desiderio di indagare mappatura, rappresentazione e visualizzazione del reale?

Quando cominciamo un progetto, tendiamo sempre a complicare le cose, a creare complessità anche lì dove sembra non esserci.

Elisa Pasqual: Credo che la volontà di rappresentare il reale e dotarlo di una forma leggibile sia prima di tutto legata ad un disegno della propria personalità. Come diceva Argan, chi rinnega di progettare accetta di essere progettato.
Con il tempo ho poi capito che il privilegio di questo mestiere sta nella possibilità di indagare aspetti diversi del mondo in maniera sempre nuova. Da qui nasce il desiderio personale di rendere comprensibile quanto assimilato dall’osservazione del reale, adattandola affinché tutti possano cogliere gli aspetti più rilevanti rispetto al contesto in cui vengono comunicati.
Marco Ferrari: Per quanto mi riguarda, questi sono temi che mi hanno sempre interessato molto, è stato il mio modo di sopravvivere all’architettura. La rappresentazione – il modo in cui osserviamo, misuriamo e restituiamo l’immagine del mondo – per me è l’essenza del pensiero architettonico, a cavallo tra una dimensione umanistica e una forma di sapere più tecnico, scientifico. Mi affascina la nozione di precisione che è intrinseca alla rappresentazione.

Installation of the border measurement devices on the Grafferner glacier in the Ötztal Alps, Austrian-Italian border, April 2016. Photo by Delfino Sisto Legnani.
Installazione dei dispositivi di misurazione del confine sul ghiacciaio Grafferner nelle Alpi dell’Ötztal, confine italo-austriaco, aprile 2016. Foto di Delfino Sisto Legnani.

Complessità e semplificazione: qual è il rapporto tra questi due termini, se applicati al vostro metodo di ricerca?
Quando cominciamo un progetto, tendiamo sempre a complicare le cose, a creare complessità anche lì dove sembra non esserci. Non limiamo la complessità per renderla più digeribile, perché solamente riuscendo a leggerla ci rendiamo conto di come gira il mondo. Quindi riuscire a raccontarla in modo efficace, coinvolgente, e logico – e quindi riuscire a catturare l’attenzione di chi ci ascolta – è intrinsecamente legato al fattore fondamentale di poterla controllare e manovrare, compensando poi attraverso la scenografia (leggi progetto, grafico e spaziale).

Aerocene è un progetto a metà strada tra la performance, un manifesto ambientalista e una comunità di appassionati del volo

Ma forse ciò che ci aiuta ad essere efficaci nel racconto della complessità è il tentativo di mettere insieme spazio e tempo, e la rete delle cose complesse che accadono nella vita degli uomini, scovando le storie dimenticate, o trame di accadimenti che grazie alla ricerca emergono poi come parti di una stessa storia. E come fosse la risoluzione di un mind-game, queste vengono utilizzate come strategia interpretativa per cambiare punto di vista sulla storia in questione, ampliandone la complessità, e quindi la sua interpretazione.

Italian Limes, Foto Delfino Sisto Legnani
Italian Limes, Foto Delfino Sisto Legnani

In molti progetti recenti dello studio è chiaro il rapporto con l’ambiente, intendendo la nozione di environment come luogo alternativo di conoscenza. In che modo pensate che il vostro contributo possa ampliare la consapevolezza che abbiamo di Gaia, e con quali benefici?
Lo studio dedica molte energie a progetti di ricerca che cercano di formulare una critica di fondo rispetto al mondo in cui ci relazioniamo con il nostro ambiente. I tre progetti che raccontano maggiormente questo aspetto sono Italian Limes, dove il tema del cambiamento climatico e del suo impatto sul modo in cui pensiamo e organizziamo il territorio è centrale; The Value of Land – sviluppato per Faraway, So Close, la Biennale di design di Ljubljana – in cui si solleva il dubbio sul tipo di valore che viene associato alla terra, cambiando formulazione lungo la storia, e di come è poi stato restituito in un contesto culturale più ampio; e infine il progetto che stiamo sviluppando con Tomás Saraceno a partire da Aerocene – un progetto a lungo termine tra arte e scienza, pensato dall’artista come una sorta di comunità – che immagina un futuro in cui sarà possibile volare senza consumare alcuna forma di energia. Una sorta di manifesto “No borders and no fossil fuels”.

Aerocene launch over the Alps, December 30th, 2017. Photo by Delfino Sisto Legnani.
Aerocene, lancio sulle Alpi, 30 dicembre 2017. Foto di Delfino Sisto Legnani.

Mi raccontate di cosa si tratta?
Aerocene è un progetto a metà strada tra la performance, un manifesto ambientalista e una comunità di appassionati del volo. Nello specifico si tratta di un pallone con una forma tetraedrica, realizzato con un tessuto molto leggero, e capace di sollevare un piccolo carico. Viene riempito d’aria, correndo. Quando si è gonfiato abbastanza la sacca viene chiusa con il velcro. L’aria all’interno si scalda, e con la differenza tra le due temperature il pallone comincia a salire in aria. Potrebbe arrivare a 15.000 metri… solo grazie al sole. A fine dicembre abbiamo organizzato un lancio con un po’ di amici, per sperimentare quello che fino a quel momento avevamo solo sentito raccontare da Tomás e i suoi collaboratori. Siamo andati in Val Gardena, lontano dagli impianti sciistici, camminando sulla neve fresca fino a 2.200 metri. Era una giornata molto fredda ma molto soleggiata (perfetta per lo scopo!), e il pallone si è immediatamente alzato in volo… pura magia.
In realtà il vero progetto che stiamo sviluppando con Tomás si chiama Float Predictor: si tratta di una visualizzazione digitale interattiva (che sarà accessibile sia online sia, in forma di installazione, nelle prossime mostre di Tomás) in cui si può fare l’esperienza virtuale del lancio di un Aerocene Explorer. Grazie ad un modello fisico-matematico sviluppato dal MIT, e di cui noi abbiamo curato la visualizzazione, il Float Predictor permette di calcolare il tragitto di una di queste sculture volanti per 16 giorni. Ci sono dunque simulazioni e visualizzazioni interattive che possono essere salvate come “aeroglifi”, ossia firme nel cielo… L’obiettivo è che ognuno possa firmare i propri voli in una sorta di grande archivio che poi Tomás vorrebbe utilizzare per una petizione contro l’utilizzo delle energie fossili.

3D visualisation of the floating trajectory of the Aerocene Explorer launched above the Alps on December 30th, 2017. Drone footage and trajectory computation by Studio Folder.
Visualizzazione 3D della traiettoria galleggiante dell’Aerocene Explorer lanciato sulle Alpi il 30 dicembre 2017. Riprese drone e calcolo della traiettoria di Studio Folder.

Da quanto emerge la dimensione scientifica sembra molto presente nel vostro lavoro. In un’intervista avete però dichiarato che la possibilità di rappresentare ogni cosa da un punto di vista matematico è una delle grandi tragedie della modernità…
Ci sembra che oggi stia emergendo un nuovo interesse nei confronti della magia, come una sorta di reazione rispetto alla tecnologia che sta diventando così complessa da diventare incomprensibile (si pensi ai neural networks, ad esempio). Se nel passato molte cose non potevano essere capite perché semplicemente non erano conosciute, nel futuro non saremo in grado di raccontarle per via della loro complessità, pur avendole create.
C’è poi il filone della Deep History, per il quale si sta mettendo in discussione tutto il modello storico che abbiamo in mente grazie a una rivoluzione nell’archeologia resa possibile dall’avanzamento delle tecnologie. Di fatto si sta riscrivendo la storia di tutto ciò che è avvenuto ancora prima di ciò che definiamo preistoria. Il passaggio dell’umanità da nomadi a sedentari, allo sviluppo dell’agricoltura, della nascita dello Stato e della civiltà… sembra essere tutto una chimera… Dunque queste previsioni stanno mettendo in crisi dei modelli culturali occidentali che diamo per scontato.

La ricerca nel design e nell’architettura non ha un mercato, come invece accade per l’arte

Rispetto a quello di cui ci occupiamo, c’è sicuramente l’ossessione per la dimensione numerica che ci ha sempre affascinati molto, specialmente se applicata all’idea di visione: la nostra cultura, con la nascita della prospettiva, si basa in modo intrinseco su un modello matematico: permette di rappresentare il mondo e dunque di vederlo. Abbiamo sempre cercato di tradurre il mondo in numeri. Ma questa è semplicemente una delle visioni possibili… E sarebbe interessante capire quali sono le alternative: cosa succederebbe se considerassimo la realtà non esclusivamente come la traduzione di un insieme di caratteristiche decodificabili e trasformabili in caratteri matematici? Da un lato è impossibile scapparne, fa parte di noi ed è il nostro sistema di riferimento. Ma dall’altro è anche la nostra grande condanna: probabilmente c’è molto che rimane insondato, perché non misurabile dal sistema che conosciamo…

Aerocene Float Predictor, online interactive visualisation. Aerocene is an open artistic project by Studio Tomàs Saraceno. Design and code by Studio Folder with Angelo Semeraro.
Aerocene Float Predictor, visualizzazione interattiva online. Aerocene è un progetto artistico aperto dello Studio Tomàs Saraceno. Design and code by Studio Folder with Angelo Semeraro.

Siete tra i pochi studi che si occupano di comunicazione ad essere riusciti ad installare una collaborazione continuativa con il settore della cultura, e con istituzioni culturali internazionali importanti (Serpentine Galleries, Guggenheim, Studio Tomàs Saraceno, Studio Olafur Eliasson e TBA21 – Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, ZKM – Karlsruhe, V&A), oltre alle numerose partecipazioni a biennali di design e architettura. Come si costruisce la propria attività senza rinunciare alla ricerca? E per quanto riguarda l’Italia, come viene percepito questo ruolo?
Come si costruisce un modello… non lo sappiamo ancora (ridono), ci rimodelliamo continuamente. La nostra difficoltà più grande è capire come gestire lo studio in modo efficiente ed economicamente sempre sostenibile. Molti dei nostri progetti non sono direttamente mirati al benessere economico dello studio… Facciamo cose molto diverse, sebbene sempre legate alle istituzioni culturali: c’è un processo di lavoro assodato che si dedica ad allestimenti, siti, libri per clienti e commissioni dirette, e che puoi pianificare; mentre per i progetti di ricerca è come se nascessero fallimentari perché non sono spendibili da un punto di vista economico (la ricerca nel design e nell’architettura non ha un mercato, come invece accade per l’arte). Allo stesso tempo richiedono lunghi periodi di ricerca, lungo i quali non sai ancora cosa stai facendo, e la retribuzione è minima. Ma questa dimensione ci è utile per imparare cose nuove, anche a livello tecnologico, e forzare la sperimentazione. Allora per quanto riguarda l’organizzazione dello studio, la ricerca rende la nostra attività estremamente interessante e disastrosa allo stesso tempo. Forse la cosa più difficile è trovare i giusti collaboratori che siano bravi designer, e che abbiamo allo stesso tempo la capacità di organizzare in modo indipendente il proprio tempo, inclusa la ricerca, per portare in studio stimoli di cui si nutrono individualmente.
Per quanto riguarda l’Italia, gran parte del nostro fatturato avviene all’estero. Non pensiamo sia un problema di risorse economiche, forse è una questione di opportunità. E non diciamo che in Italia ce ne siano meno, forse questo deriva dal fatto che la nostra rete è molto proiettata verso l’esterno per una serie di nostre vicende biografiche.

“Uncharted—Footnotes to the Atlas”, Installation view, On Residence, Oslo Architecture Triennale 2016: After Belonging. Detail of the section “The Digital Earth: Charting the Z-axis”: three models represent a vertical section through the cloudless, evenly-lit skies of digital mapping services, showing the variety of sources of the current global remote sensing apparatus. Photo © Folder.
„Uncharted-Footnotes to the Atlas“, Oslo Architecture Triennale 2016: After Belonging. Dettaglio della sezione „The Digital Earth: Charting the Z-axis“: tre modelli rappresentano una sezione verticale attraverso i cieli senza nuvole e uniformemente illuminati dei servizi di mappatura digitale, che mostrano la varietà di sorgenti dell’attuale apparato di telerilevamento globale. Foto © Folder

Qual è il vostro rapporto con Milano?
Stavamo a Londra, poi per occasioni diverse siamo ritornati in Italia. Elisa per un incarico all’università e Marco per la creative direction della Domus di Joseph Grima nel 2010. Quando ci siamo trasferiti a Milano con l’idea di fonderci in uno studio, all’inizio l’entusiasmo non era molto, non era la città che avremmo scelto per vivere e operare. Oggi invece ci stiamo finalmente bene, lo dicono in molti e sembra scontato, ma è così: la città sta diventando più bella, efficiente, si respira un buon clima culturale. Siamo inseriti nella realtà milanese in modo molto tangenziale, e ci piace vivere a contatto con persone che ne fanno parte senza rinunciare allo scambio con chi come noi sfrutta la città come fosse una casa da cui allontanarsi agilmente.

“Mario Garcí­a Torres. An Arrival Tale” (details: http://www.sternberg-press.com/index.php?pageId=1731&l=en&bookId=624)
“Mario Garcí­a Torres. An Arrival Tale” (details: http://www.sternberg-press.com/index.php?pageId=1731&l=en&bookId=624)

Gira voce che vi stiate trasferendo a NoLo…
Stiamo cercando uno studio preferibilmente in quella zona, perché è un quartiere in cui si possono ancora trovare ampi spazi di lavoro, e in cui c’è un clima culturale e multietnico interessante. Ma non riusciamo nemmeno a trovare il tempo per contattare le agenzie… Ci piacerebbe trovare uno spazio che possa essere abbastanza grande da contenere diversi studi in modo da creare un ambiente fertile e collaborativo pur mantenendo ognuno la propria indipendenza.

Installation view of “Resilience of the Past”, 25th Biennial of Design, Ljubljana. Photo by Delfino Sisto Legnani.
“Resilience of the Past”, 25th Biennial of Design, Ljubljana. Photo by Delfino Sisto Legnani.

A parte quelli già citati, quali sono i progetti attuali a cui vi dedicate?
Stiamo cominciando a lavorare ora per la Biennale di Istanbul, siamo stati coinvolti Jan Boelen e Vera Sacchetti, che curano la prossima edizione dal titolo The School of Schools, per partecipare alla sezione Measures and Maps. Ci è stato chiesto di pensare la nostra partecipazione reagendo ad una collezione privata e sterminata di mappe. Stiamo poi lavorando al libro di Italian Limes, che uscirà in autunno per Columbia Books on Architecture and the City e ZKM, alla progettazione grafica di un volume curato da Brendan Cormier per il V&A. A Milano, stiamo collaborando con la Fondazione dell’Ordine degli Architetti per il progetto di una nuova collana editoriale e stiamo ultimando in questi giorni l’allestimento di una mostra in Triennale curata da Emilia Giorgi e Antonio Ottomanelli. Continuiamo insomma con progetti che riguardano l’arte, l’architettura e l’editoria.

“Green Light - An Artistic Workshop” (details: http://www.sternberg-press.com/index.php?pageId=1764&l=en&bookId=657)
“Green Light – An Artistic Workshop” (details: http://www.sternberg-press.com/index.php?pageId=1764&l=en&bookId=657)