Ad could not be loaded.

Vita da bassifondi: Trash Secco

Una lunga chiacchierata per sviscerare tutte le storie, della città e del suo regista, dietro il film presentato all'ultima edizione della Festa del Cinema di Roma.

Geschrieben von Nicola Gerundino il 1 Dezember 2022
Aggiornato il 12 Dezember 2022

Foto di Niccolò Berretta

Geburtsort

Roma

Wohnort

Roma

Attività

Regista

Sua la firma su tantissimi videoclip della nuova scena hip-hop, romana e non, da Marracash a Noyz Narcos, da Achille Lauro e la crew Quarto Blocco a Drone e Ketama della 126 – sua la firma su „Nefasto“, una delle gemme underground capitoline che si è conquistata di diritto un posto in quell’Olimpo capovolto che va da „Amore Tossico“ e „L’imperatore di Roma“ in giù. E visto che lo stupore (leggi trip) da queste parti è di casa, Trash Secco quest’anno lo abbiamo ritrovato tra i protagonisti della Festa del Cinema di Roma con „Bassifondi“, un film che racconta la storia di due homeless – Callisto e Romeo, interpretati da Gabriele Silli e Romano Talevi – alla cui sceneggiatura hanno lavorato anche i Damiano e Fabio D’Innocenzo. Una scheggia impazzita avvolta da un mantello classicheggiante, dentro la quale si nascondono quindici anni di storie, suggestioni e ispirazioni, perché tanti ne sono passati dalla prima scrittura della storia. Ne abbiamo parlato direttamente con Trash in questa lunga chiacchierata, illuminate sul significato di passione e testardaggine artistica.

 

 

Iniziamo dal red carpet con i Fratelli d'Innocenzo, Romano Talevi e un Gabriele Silli con un outfit incredibile. Più l'emozione per la passerella e la proiezione o il “fomento” per la squadra messa in campo?

Sinceramente io non stavo benissimo: emotivamente parlando ero pieno di turbamenti interiori. Visionare il film per la prima volta insieme a giornalisti, registi, scrittori, attori e produttori non è stato facile. Allo stesso tempo, permettere al team creativo con cui lavoro da più di dieci anni di guardarli negli occhi mi ha restituito subito emozioni positive e una sensazione di orgoglio che mi ha fatto stare bene. Parlo della direttrice della fotografia Valentina Belli con cui ho girato moltissimi videoclip, del compositore Giacomo Falciani con cui ho creato „Nefasto“ (la mia primissima opera audiovisiva), del graphic designer Lorenzo Properzi che ha creato tutte le locandine delle mie opere e le grafiche delle scenografie, di attori ormai feticci con cui sono partito tanti anni fa. Insomma, è stata quasi una riunione di classe del liceo al quadrato! Romano Talevi e Gabriele Silli sono stati delle muse ispiratrici fin dall’inizio: nonostante siano delle persone molto complesse, sia sul set che fuori portano un energia positiva contagiosa, sono euforici al punto giusto. Aspetto che per me è stato fondamentale per affrontare momenti di stress e tensione.

Come hai trovato la Festa del Cinema di Roma? È una rassegna che ancora può dare qualcosa alla città?

Sono alle prime esperienze con l’ambiente „festivalero“, quindi è difficile dare un giudizio obiettivo. Il cinema a Roma ha grandi potenzialità e forse i festival locali potrebbero sostenere di più i giovani autori invece che le realtà già affermate. Sicuramente saprò risponderti meglio tra qualche anno, girando per festival in altri Paesi.

In generale cosa ne pensi dello stato di salute del cinema in città? Attori e registi non mancano, le idee invece?

Rispondo partendo sempre dalla mia umile esperienza: le idee ci sono, ma manca il coraggio, mancano produttori con le palle, mancano registi che morirebbero pur di portare avanti la loro idea. Io ho aspettato quindici anni per fare questo film, passando sopra ai vari „Caro, ci sono due tematiche che non produce nessuno e una sono proprio le storie di barboni“, „Ma che è sta robba così triste“, „Non siamo in America e te non sei Harmony Korine, siamo a Roma e ci sono le istituzioni, ci sono i fondi statali quindi attieniti a questo o vattene all’estero“. Ovviamente io ho insistito sulla mia idea e per fortuna ho trovato delle persone che si sono battute al mio fianco, forse anche suggestionati dalla mia testardaggine.

C'è qualcosa di particolarmente valido realizzato a Roma che hai visto negli ultimi tempi?

„Re granchio“ mi è piaciuto molto, anche se è girato nel viterbese.

Tornano al red carpet, ho visto anche qualche scatto di Niccolò Berretta fatto durante l'occasione. Ecco, se devo pensare a un corrispettivo fotografico del tuo lavoro difficilmente saprei indicare un autore migliore. Penso ad esempio al suo lavoro incredibile fatto sulla stazione Termini, che da un certo punto di vista è un gran reame della vita da bassifondi.

Con Niccolò e Gabriele dividevamo uno studio dove io dipingevo, Niccolò stampava le foto e Gabriele faceva le sue sculture, per cui è stato davvero bello ritrovarsi tutti insieme. Per me gli incontri nella vita non sono mai casuali. Tra l’altro, è lo stesso studio dove è venuto a trovarmi Damiano D’Innocenzo la prima volta che ci siamo visti dal vivo.

Infatti, anche le opere artistiche di Gabriele mi sembrano un perfetto doppio: cumuli di materia dove ti viene voglia di rovistare per capire cosa c'è dentro e sotto.

Hai centrato l’affinità del tutto! Le sue opere sono presenti proprio nell’ultima scena del film, dove viene ritrovato in questi cumuli di materia informe. Ho trovato poetico farlo morire tra le opere fatte nella vita reale e che realizza anche nel film.

Com'è si è comportato Gabriele sul set!? Quest'anno lo abbiamo visto anche protagonista proprio di "Re Granchio", film che hai appena citato. Ormai ha un avvenire anche nel cinema!

Grande professionista. Io lo conosco bene quindi ero tranquillo, ma all’inizio effettivamente c’era chi era un po‘ spaventato. Personaggio perfetto per il film.

Ti faccio una domanda di rito, ma necessaria. Com'è nato il soggetto di questo film e cosa hai voluto raccontare?

È nato dopo una serata di bighellonaggio adolescenziale: io ero appena maggiorenne e mio fratello più grande ne aveva ventidue. Lui studiava cinema quindi guardavamo quintali di film scaricati su eMule, la prima pirateria. Dopo varie Tennent’s e qualche polvere magica mi ricordo che litigammo, in giro eravamo rimasti solo noi e qualche senzatetto su Ponte Sisto, a delirare sul mondo che è una merda… Le solite cose insomma. Dopo esserci picchiati ritornammo verso casa in motorino abbracciati per il freddo e un certo punto mio fratello disse: «Pensa se fossimo due barboni». Così ho scritto „Gli emarginati del fiume Tevere“, la storia che poi si è evoluta in „Bassifondi“. Quindi i personaggi sono ispirati a noi due: mio fratello è tipo Callisto, anzi, quando vuole è anche peggio! Poi sono andato per astrazione: raccontare una storia è sempre un pretesto per riflettere sull’essere umano e le sue fragilità. Due ultimi che vivono per strada hanno poi quel che di primitivo che serve per estremizzare il tutto. Se da spettatore non piangi durante la visione vuol dire che il film non ti è entrato dentro, che non ti sei sentito un po‘ come loro. Non mi professo il portavoce degli ultimi eh, non sono il profeta di niente, volevo solo scavare dentro me stesso e volevo che lo facessero anche gli altri. Su di me ha funzionato: dopo questo film so di non essere più lo stesso. Spero che accada anche ad altri.

Alla sceneggiatura hanno messo mano in un secondo momento i fratelli D'Innocenzo. In che modo è mutata la storia iniziale e come hai tradotto in immagini la loro riscrittura?

Loro sono stati geniali nel capire le potenzialità del racconto, che è tutta nei due protagonisti. Hanno tolto tutto il contesto, il contorno, e ampliato il dramma mettendoci la malattia. La morte nel fiume e l’abbraccio finale già c’erano nella prima sceneggiatura e ricordo che Damiano mi diceva: «È questa la grandezza della storia, il rapporto contorto tra loro». All’inizio invece ero molto concentrato nel voler raccontare Roma nel suo grandioso caos, influenzato da „Roma“ di Fellini, da „Trastevere“ di Tozzi: ero smanioso di riportare un sacco di cose viste personalmente in questa città, mille personaggi eccentrici e situazioni paradossali. Quando mi hanno consegnato la sceneggiatura rivista sono rimasto stupito di come avessi davanti dell’oro senza accorgermene. Ho capito che un autore deve saper gestire le proprie energie e non essere compulsivo nel „dover dimostrare“: devi sentire quello che hai in mano e soprattutto credere nel lavoro di squadra, perché magari, di riflesso, qualcuno può farti notare un pregio che non sai di avere perché non sai guardarti dentro con umile onestà. La nuova sceneggiatura oltretutto è quasi una forma di poesia, infatti non vedo l’ora di pubblicarla: i Gemelli hanno davvero una penna di una delicatezza unica. A detta loro si sono sentiti appagati al massimo dalla traduzione in immagini e questa per me questa è la vera vittoria: altro che festival, ’sti cazzi dei festival! Viva il confronto tra artisti, viva il pubblico che piange e dopo il film viene a dirmi «M’hai sfondato, sto male ». Questo è il mio podio: le competizioni da sempre o le evito o le perdo perché sono „troppo pesante“, „troppo gotico“, „difficilmente digeribile“.

Cosa altro c'è di tuo nei due protagonisti?

Come detto, quando ho scritto la primissima sceneggiatura nella mia testa io ero Romeo e mio fratello Callisto. Quando ho girato il film, quindici anni dopo, mi sono rivisto anche in Callisto, soprattutto quando fa quei monologhi pieni di rabbia e rancore. Nel film c’è molto di me, del mio vissuto, della mia propensione verso il nichilismo e sofferenza, ma, al tempo stesso, anche un grande spirito di sopravvivenza e una voglia di vivere matta. Negli anni ho vissuto esperienze homeless vere, ho dormito per strada per un mese intero nei miei viaggi all’estero ed è stato tremendo: vagabondando cominci a non lavarti e se non sei abituato ti riempi di irritazioni e dolori per i posti scomodi dove trovi da dormire. Per non parlare degli animali notturni: ti fanno cagare sotto! Per fortuna poi ho sempre trovato posti occupati dove alloggiare. DIO BENEDICA LE OCCUPAZIONI!!! A Londra mi hanno ospitato per un anno e mezzo senza pagare un euro, mi hanno insegnato a cercare nell’immondizia e a trovare cibo fuori ai ristoranti che chiudono. Lì c’è una cultura ben radicata sullo „skippaggio“ (da trash skip, nda), gli stessi cittadini hanno l’usanza di mettere mobili, biciclette o televisori semi-funzionanti fuori dalle abitazioni in attesa che vengano riciclati: se conosci il quartiere giusto a fine nottata hai un bottino niente male. Questa „scuola del riciclo“ è stata fatta da rave traveller provenienti da tutta Europa che hanno deciso di condividere la loro cultura con me, che avevo all’incirca vent’anni ed ero un cafoncello romano inesperto in una vera metropoli. Ringrazio ancora l’esperienza fatta con i Desert Storm e gli Hekate, che mi hanno veramente aperto la mente sulla cultura rave. Quando sono tornato in Italia ho cominciato a dipingere solo su superfici trovate per strada o nei cassonetti, non ho mai più comprato una tela bianca. Anzi, ho maturato una fobia per la tela bianca.

Il film è ambientato lungo il Tevere in zona Isola Tiberina, uno dei protagonisti si chiama Callisto: hai un legame particolare con Trastevere? C'è qualcosa di questo quartiere che hai portato dentro il film?

Sono nato sull‘Isola Tiberina e cresciuto sulla Portuense. Poi sono stato a Monteverde e a Testaccio e ho passato tutte le mie nottate a Trastevere. Conosco benissimo quel quartiere, lo amo, sarebbe un sogno viverci, anche se è un po‘ fuori budget per ora…. Infatti, quando me ne sono andato di casa dopo i diciotto/diciannove anni sono approdato a Centocelle, che all’epoca sembrava il paese dei balocchi punk. Lì ho girato la maggior parte dei miei video e la mia prima opera sperimentale, „Nefasto – Er mostro de zona“, che è interamente ambientata nelle periferie di Roma Est. A Centocelle eravamo un collettivo di artisti underground chiusi in un appartamento di 50mq: c’era chi dipingeva (Leonardo Crudi, pittore e attore in „Bassofondi“), chi suonava (Giacomo Falciani, il compositore della colonna sonora di „Bassifondi“). „Nefasto“ lo abbiamo realizzato noi tutti, insieme.

 

 

Sono curioso di sapere qualcosa sullo scouting delle location: ti sei divertito a scovare gli anfratti dove girare? Hai scoperto qualche angolo nuovo di Roma?

Guarda, è stata dura perché ero abituato a girare in modo molto „piratesco“, senza permessi, senza Comune di Roma di mezzo, sempre pronto a nascondere il cavalletto e a scappare a seconda dei controlli. Approdare nel mondo delle grandi industrie è un’esperienza folle per uno che ha sempre „rubato“ in modo documentaristico i fondali. Girare al centro di Roma costa di permessi tanto al kilo (a inquadratura), addirittura mi hanno detto di non accostare il Colosseo a due clochard e ho dovuto tagliare una parte con il Colosseo di sfondo: per quello ci abbiamo pisciato sopra all’inizio del film. Il rapporto tra fondi statali e beni culturali è contorto. Forse è per questo motivo che girano tutti quei film in periferia: non ti fanno pagare mila euro per inquadrare la Collatina o il Mandrione. Non ho potuto mettere un sacco di cose appartenenti ai beni culturali romani: Bernini o Caravaggio non possono apparire in un film low budget. Non so se girerò ancora a Roma, almeno non al centro: è stato molto difficile.

Domanda simile, forse un po' più morbosa: qual è la situazione homeless di Roma che più ti ha colpito? Io sono rimasto impressionato dal sottopasso tra via Giolitti e via Marsala e anche dai giacigli che trovo tra le aiuole della Colombo in estate.

Eh, ne ho viste tante. Sicuramente le baracche rimediate tra le fratte del Lungotevere sono le cose più particolari che ho visto. Anche all’ex Miralanza c’è una situazione molto suggestiva, o nella fabbrica di medicine sulla Tiburtina all’altezza di Tor Cervara, dove c’è una moltitudine di sfollati da case occupate e case popolari. Anche il campo rom dove ho girato un video a cui sono molto legato, „Hate This World“, è praticamente un’altra città indipendente. All’inizio mi volevano picchiare perché pensavano fossi un giornalista, poi quando ho spiegato che si trattava di un video musicale indipendente ho fatto amicizia.

 

 

Cosa dei tuoi lavori precedenti hai portato dentro questo film, dai videoclip a “Nefasto”? Ci sono legami ed elementi comuni o si tratta di lavori totalmente eterogenei?

Molti hanno trovato delle similitudini con „Nefasto“: nelle dinamiche dei personaggi, nel linguaggio usato. Callisto è un bel mostro del Lungotevere! Diciamo che l’anima da „videoclipparo“ l’ho dovuta mettere un po‘ a cuccia, giusto nel finale e in alcune scene è venuta fuori, ma non ho voluto esagerare: alla fine è una storia molto classica e non ho voluto contaminarla con „virtuosismi registici“ inutili, soprattutto con due performer del genere e una città così monumentale nello sfondo.

Quindi anche Romeo e Callisto sono due mostri de zona.

Esaaaaattto!

Sbirciando sul tuo instagram ho visto una foto con un numero di Linus, un libro su Caravaggio, uno sugli homeless di Lee Jeffries, l'Anticristo di Nietzsche. Quali altre sono state le tue fonti di ispirazione?

Se vedi i dettagli del film è pieno di contaminazioni culturali: ovviamente non emergono a pieno perché sono dell’idea che le cose da cui attingi si devono respirare e non devono invadere quello che stai facendo, snaturandolo o dandogli un identità non sua. I personaggi sono dionisiaci, nei fratini del volontariato puoi leggere „Amor Fati“, alla radio sentiamo una reinterpretazione di Modugno di „Che cosa sono le nuvole“ scritta da Pasolini… Non voglio svelare tutto del film: molte immagini sono evocative e devono destare suggestioni personali ed essere interpretate liberamente.

Chiudiamo con due domande più leggere. Se Romano e Gabriele si ritrovassero veramente nella condizione di homeless, secondo te chi avrebbe più chance di sopravvivenza?

Gabriele è a due gradi di separazione dall’homeless e Romano ne ha viste talmente tante che sopravvivrebbe nelle foreste del Vietnam senza bussola. È una bella sfida!

Se invece diventassi tu homeless? Cosa faresti, dove ti rifugeresti e, soprattutto, ti daresti al vino o alla birra!?

Ci ho pensato molto, anche ultimamente. Ovviamente fare questo film mi ha fatto riflettere su questo aspetto. Lavorare tutta la vita per guadagnarsi un posto nel mondo e sbandierarlo sui social è una dinamica che mi intristisce e probabilmente trovo molto più dignitoso scegliere di vivere per strada. Non penso che mi darei agli alcolici, ho lo stomaco malmesso per via della salmonella presa in Cambogia mentre giravo un documentario. Magari mi darei alla lettura di un buon libro: tutto quel tempo a disposizione sarebbe l’ideale per riprendere a leggere più spesso.