Per la settima volta Milano viene occupata, a metà dell’autunno e per tre giorni, dal megaevento Bookcity. Comune di Milano, Fondazione Corriere della Sera, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e Fondazione Umberto e Elisabetta Mauri organizzano più di 1300 eventi legati al mondo dell’editoria in ogni angolo della città, quelli ovvii – biblioteche, librerie, spazi culturali, scuole, università – e quelli più impensati, all’aperto o al chiuso, centri e periferie, in movimento o in posti stanziali.
Ma perché? A che serve quest’orgia di autori editori lettori studenti e addetti? Tra gli obbiettivi indicati c’è quello di dare visibilità a Milano come città dell’editoria. Da questo punto di vista probabilmente ci siamo, perché i media vengono presi d’assalto e sono costretti a studiarsi ogni anno un comunicato sempre più lungo e complesso e a tradurlo in guide, mappe, itinerari, interviste, classifiche e altri format demenziali.
Quanto a promuovere la lettura, soprattutto quella di qualità, ci siamo molto meno. Com’è noto, le case editrici sono costrette da anni a fare lavorare i propri dipendenti come pazzi per organizzare l’incontro più popolare, e catturare quel briciolo di attenzione frammentata che può avere un pubblico di lettori scarsissimi strappandolo ai rivali. Gli editor non hanno più il tempo di lavorare ai testi. Gli uffici stampa devono studiare manuali di coercizione. I lettori vengono educati al culto della personalità e preferiscono ascoltare mantra ripetuti incessantemente dagli scrittori già visti in tv che leggere quello che hanno scritto. Gli studenti hanno essenzialmente il ruolo di gonfiare i numeri degli incontri e provare emozioni artificiali in cambio di crediti, o essere adescati dalle scuole di scrittura creativa.
Per leggere serve una cosa fondamentale: il tempo. Liberateci dagli inviti social, dalle centinaia di eventi quotidiani, dai programmi chilometrici, e leggeremo tutti di più. Amen.
Written by Lucia Tozzi