Il “retroscenista” che è in me si insospettisce quando troppe tessere del puzzle vanno a posto improvvisamente. Costui ultimamente sente parlare molto di Via della seta e, mettendo in fila i fatti delle ultime settimane – ricordate il Memorandum firmato a Roma da Xi Jinping e Giuseppe Conte il 23 marzo? – alla notizia della mostra dedicata a Zhang Enli sente odore di bruciato lontano un miglio.
D’altra parte, il “retroscenista” sa che esposizioni come questa si organizzano con diversi mesi di anticipo, che tutto ciò costituisce solo una fantastica coincidenza e che l’ideale viaggio da Mille e una notte sulla via commerciale più famosa del mondo, per Enli inizia da molto lontano e va dalle colonne greche ai palazzi persiani, dai minareti di Samarcanda alla Galleria Borghese di Roma.
E bisogna ammettere che per raccontare la complessità del tempo antico – suggerendo che il presente non sia affatto diverso – l’arte è la forma migliore. Così, sfruttando quattro strutture simboliche che fanno dialogare interno ed esterno, passato e futuro, vecchia e nuova Via della seta, Zhang riesce a tessere una narrazione che è anche un magnifico esempio di commistione fra l’arte non occidentale e il Bel Paese. Certo, quel vecchio adagio che recita “Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, continua a risuonare nella testa…
Written by Enrica Murru