Pensavo di presentarmi con uno striscione, o meglio, una bandiera tricolore dove campeggiano a lettere cubitali le seguenti parole: “Peppino ti metterei sul comodino”. Ma non ho il coraggio, anche se ho passato indenne gli anni in cui si votava Berlusconi e si vestiva tamarri. Nonostante questo e l’età che avanza, i dancefloor che si accumulano e le pretese pseudo musico-intellettuali, non mi sento una persona migliore.
Quando c’è Peppe metto in silenzioso il telefono, non rispondo su Whatsapp, saluto prima amici e parenti, e fronte alla consolle mi godo il casertano più famoso del mondo. E ai suoi poveri detrattori che vorrebbero vederlo vendere sfogliatelle a Mergellina, Capriati risponde facendo capolino nelle line up dei festival techno del globo intero. Un piacere vederlo b2b con Carlo Cox al Burning Man, un sollazzo affianco a Sven Vath e compagni tra Ibiza e Miami.
Paraculo e pacato quando si tratta di parlare di sé stesso, sempre attento a mostrare quell’aria bonaria e sorniona da amico della porta accanto, Capriati – che piaccia o no – è il tedoforo techno della nazionale italiana. Arriva diretto alle masse perché è da lì che viene, senza nasconderlo; più abile a mixare che a produrre (diciamoci la verità), il campano vestito di nero diffonderà al Social il suo verbo fatto di ripartenze energiche, beat scivolosi a tratti ginnici che spaziano dalla techno all’house. ‘Nammurata so’.
Written by Lady D.