La luce è fatta anche di tempo, e la mostra di Cerith Wyn Evans al Pirelli HangarBicocca è una sorta di concrezione di questo fatto a volte sfuggente. Le colonne luminose di ordine gigante che aprono lo spazio, alternandosi in un lento processo di intensificazione e sparizione della luce, offrono l’immagine di “pilastri viventi” piovuti da chissà quale tempio cosmico di qualche remota galassia.
L’intera navata immensa è poi stata trasformata dall’artista e dai curatori Roberta Tenconi e Vicente Todolí in un buio universo popolato però, invece che da costellazioni, rifiuti tecnologici e buchi neri, da segni grafici complessissimi di neon, geroglifici tridimensionali che formano una sequenza la cui percezione cambia costantemente mano a mano che si procede, metro a metro, verso il fondo. Una sintesi impressionante, che sfida la scala smisurata dello spazio.
“HangarBicocca – dice Cerith Wyn Evans – ha una grandiosità laica che deriva dal concetto industriale o postindustriale di produzione, quindi c’è una sorta di consumo, di produzione, la storia di queste cose… l’idea dei fantasmi delle macchine che erano prodotte qui: c’è un senso di storia con cui bisogna confrontarsi. C’è la necessità di essere così grandi, devi sempre ricordarti che è come se stessi ereditando uno spazio che non era originariamente costruito per questo”.
Il terzo e ultimo segmento della mostra è un montaggio complesso di opere in movimento: i meravigliosi lampadari, le piante rotanti, gli specchi pendenti, la grande scritta e il suono. Un circo che avvolge nelle sue spire luminose, per un tempo che potrebbe essere infinito.
Written by Lucia Tozzi