Chi nel Belpaese ha un bel po’ di musica che gli scorre nelle vene incappa spesso in depressioni e scoramenti da sala semi vuota: “Ma perché ‘sta roba non viene ascoltata da nessuno?”, “Siamo sempre i soliti dieci…”, “Ma i giovani che musica sentono?”, “Si vede che sto diventando vecchio/a…”. Il catalogo è vasto e alzi la mano chi non ci si è mai ritrovato a pronunciare queste frasi.
Ultimamente, però, sta accadendo qualcosa di diverso e chi scrive, in prima persona si è ritrovato a dover fronteggiare situazioni “paradossali” di semi sold out. Sarà una fenomeno passeggero, sarà moda e hype, ma l’onda lunga che da Usa e Inghilterra ha portato alle nostre orecchie decine di nuove formazioni che si muovono lungo orbite black – jazz, afro, r’n’b, soul, funh – è stata un vero toccasana che ha riconnesso tantissime persone alla musica bella, suonata e suonata bene.
E, come è doveroso per un festival che ha la “Tradizione Contemporanea” nel proprio DNA, in questa edizione 2020 di Manifesto coglieremo i frutti di queste circumnavigazioni sonore. In prima linea dunque i 72-HOUR POST FIGHT, campioncini del nu jazz nostrano e in scuderia La Tampesta, cui segue un interessantissimo showcase della Hyperjazz, etichetta con base a Roma che invece si muove su territori più contaminati, dove il jazz si sposa con l’elettronica il global bass, e porterà in rassegna Go Dugong, Machweo e Phresoul.
Altri artisti che vi consigliamo di segnare con il circoletto rosso: LAFAWNDAH, r’n’b ipercontemporaneo in chiave Warp; Romare, in versione dj party oriented; Koralle, progetto abstract hip hop di Godblesscomputers; Kelly Lee Owens, anche lei in modalità dj, in attesa che quest’anno bissi il successo del suo album omonimo d’esordio. Chiudono il cartellone l’emo-trip elettronico di Christian Löffler, Lucia Manca e un secret guest che, grantiamo, vi farà scapocciare come non mai.
Written by Nicola Gerundino