Spesso gli artisti non sono solo i loro lavori o, meglio, è a noi che non bastano solo i loro lavori. Abbiamo fame delle loro vite, delle storie che si portano dentro creatività e scelte diverse. Ci raccontano qualcosa che sentiamo, che possiamo immaginare ma che magari non sarà mai noi, soprattutto se sono vite del passato, se sono secoli andati. Max Ernst è nato in Germania nel 1891 e da qui comincia la ricerca di un artista eclettico, dalla vita densa di amori, arte, passioni, viaggi e incontri. E ogni cosa si è riversata sulle sue tele, quelle che dal 4 ottobre troviamo a Palazzo Reale in un percorso ampio (400 lavori da musei e collezioni di tutto il mondo) e materiali di approfondimento. Ogni sala è un periodo di vita, un insieme di quelle scelte che includono la storia di quegli anni, dalla rivoluzione industriale alle guerre, ma anche il paesaggio, la natura e le passioni umane. Un viaggio con la pittura che si spinge oltre di essa, perché il lavoro di Ernst è senza dubbio visionario, nel vero senso della parola. Nei suoi tratti e accostamenti di forme si intravedono delle visioni sublimi, che germogliano dai saperi più viscerali dell’essere umano per sfumare nell’onirico e ricadere vicino a noi, ci parlano di noi. Ed è questo suo non dissociarsi da quello che chiunque di noi può sentire, che lo rende importante da vedere e approfondire, anche se le sale di Palazzo Reale traboccano di lavori fino all’opulenza. Le retrospettive sugli artisti sono un percorso fondamentale, che va curato e pensato e non basta mettere tutto quello che l’artista in analisi ha fatto. Essere esaustivi su una ricerca non è horror vacui, con display sommari e una mancanza di respiro. Ma purtroppo a questo approccio Palazzo Reale ci abitava troppo spesso, anche se ogni volta che Max Ernst ha tracciato una linea, ha modellato una forma e accostato dei colori, qualcosa nell’universo ha vibrato in modo più giusto.
Written by Annika Pettini